Da Marittima: voci, volti, figure, sensazioni ed emozioni

 

 di Rocco Boccadamo

Marittima, piccola e amena località del Basso Salento, si presenta, per un cospicuo tratto del suo perimetro territoriale, come incorniciata da un susseguirsi di scogliere, seni, calette e anfratti, un mare letteralmente da favola.

In aggiunta, annovera apprezzabili attrattive naturali e paesaggistiche, fra cui vecchie torri costiere d’avvistamento e spettacolari sempre verdi distese d’ulivi, dalle vivide sfumature argentee, rese scintillanti dai riflessi dei raggi solari.

E, però, nella circostanza, al comune osservatore di strada, viene l’estro di soffermarsi su una connotazione del paesello solitamente sottaciuta, un aspetto incorporeo, in altre parole sulla sua anima.

Una bozza di rosario distintivo e descrittivo senza tempo, una copertina di semplici meditazioni, riflessioni e ricordi, solo in apparenza con correlazione esclusiva al passato, di fatto, invece, serbanti tuttora palpiti, segni, tracce di valori e modelli esistenziali che potrebbero utilmente calarsi anche nella quotidianità.

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E’ sufficiente spostarsi di un centinaio di metri dalla piazza principale e ci si trova immersi, quasi celati, in una serie di viuzze della tradizione, “a rreta a chiesia” si precisava una volta, delimitate da datate ma sempre linde casette a piano terra, alcune con la classica tinteggiatura bianca di calce, altre rivestite da allegre tonalità color pastello.

Davvero superfluo, davanti alle immagini che vanno sfilando, ogni altro commento del curioso passante, basta qualche istantanea per fissare indelebilmente le sequenze della pellicola.

La prima inquadratura è di casa Maroccia, che riconsegna alla mente le figure, uniche e in certo senso eccezionali in seno alla minuscola comunità, di Costantina e Filomena, madre e figlia, abili pasticciere, la seconda, in più, animatrice delle attività parrocchiali – religiose, a cominciare dalla vestizione, a sua cura, dello stuolo di ancileddri e ancileddre per l’arrivo del Bambino, ad ogni Natale di anni lontani.

Lì vicino, ancora, s’affaccia la casa, con annesso piccolo frantoio oleario sul lato opposto della via, già di Vitale F., detto Pisanelli, contadino, agricoltore e proprietario, attrezzato anche con calesse e cavallo.

Correva la voce che Vitale F., fra le altre sue abitudini, era in ogni tempo disponibile a ritirare, corrispondendo in cambio un piccolo compenso, un soldo per l’esattezza, le bisce, specialmente i comuni serpentelli neri, incontrati e catturati dai paesani durante i trasferimenti e i lavori nei campi.

Fra i terreni posseduti dal predetto, si distinguevano, per ubicazione e pregio, il “Casino” sovrastante l’area costiera di Chiancaliscia e la “Viia”, apprezzabile estensione situata lungo la strada di campagna che termina con il pianoro sormontato dalla Torre Lupo.

Un podere, la “Viia” (nome probabilmente influenzato da un francesismo), abbellito da una confortevole abitazione, più che rurale residenziale per la stagione calda, chiaramente secondo i canoni d’inizio 1900, le pareti esterne dipinte d’un rosso/viola tenue e carino, di cui, anche adesso, permangono chiari segni, sulla parte della struttura rimasta saldamente in piedi.

Dal confine a levante della “Viia” , si gode di una pregevole vista su Castro e sul Canale d’Otranto, in certe mattinate, specie d’inverno, con l’impressione supplementare di toccare con mano addirittura i rilievi vicini alla costa albanese.

In omaggio alla sopravvivenza, sempre auspicabile, di ciò che è bello, se non alla completa continuità delle sane abitudini e tradizioni, è incoraggiante e confortante sapere che, qualche anno addietro, la “Viia” è stata assunta in proprietà da un giovane artigiano, non sarebbe esagerato definirlo artista, marittimese, Simone F., il quale, ammirevolmente e lodevolmente, sta eseguendo, sull’immobile,  importanti opere di ristrutturazione e mantenimento, a partire dall’elegante ingresso da Via Torre Lupo, delimitato da due solide ma  armoniche colonne in muratura con conci di  cave locali, nello stile d’una volta.

Intanto, Simone, in un progetto che prevede, nella “Viia”, l’esercizio di attività agricola biologica, ha animato il fondo con la presenza e l’allevamento allo stato brado di due magnifiche oche, nonché di una mula, al momento in addestramento presso una masseria di Otranto, da utilizzarsi per la sella e per l’aratura del terreno con metodi biodinamici, senza, cioè, il ricorso a trattori o mezzi meccanici similari a motore. Bravo, Simone!

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Ritornando alla strada di casa di Vitale F., Via Toselli, esistono, nei paraggi, altri indicativi punti o stazioni: la dimora di Clemente M., in vita ucciere (macellaio) part time e genitore di tre belle e brave figlie. Poi, l’uscio di Cosimo ‘u Barone, conosciuto e temuto dai ragazzi di ieri, soprattutto quale proprietario di un giardinetto confinante con il camposanto del paese e lo slargo adiacente adibito a campetto di calcio: tutte le volte che il pallone finiva col cadere nel podere del Barone, erano mal di pancia, con iniziali sonore proteste del buon uomo, minacce di sgonfiatura della sfera e lunghe trattative che, alla fine, peraltro erano sempre a favore dei giovanissimi giocatori.

Quindi, la casa dei coniugi Nuzzo, una coppia piissima, con sei figli tutti maschi, di cui il terzultimo e l’ultimo si sono fatti monaci e, ancora oggi, ormai nella terza età, si vedono arrivare d’estate per brevi periodi di vacanza.

Come non ricordare, infine, il piccolo terraneo, con confinante giardino, di zio Francesco e Zia Pietrice, i quali, tutti gli anni, in occasione delle Festa dei Santi Medici, avevano l’abitudine di regalare alla mia famiglia un paniere di uva e noci?

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Sono particolarmente affezionato a questo volto, un po’accantonato, del borgo natio, la sua anima senza tempo che va oltre le generazioni e gli eventi, un substrato interiore che, in fondo, sento alla stregua di un tutt’uno con la mia stessa anima.

E’ un legame della medesima intensità di quello che mi unisce a questo mare e alle persone più care.

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