L’edificio storico archeologico Faggiano a Lecce

di Giovanna Falco

L’intrecciarsi e compenetrarsi degli elementi decorativi delle varie epoche che si affastellano sulla maggior parte dei prospetti degli edifici di Lecce vecchia, è dovuto all’estensione urbanistica della città, che per secoli e secoli ha mantenuto pressappoco la medesima superficie, racchiusa dalla cinta muraria. Alcuni tratti delle mura urbane hanno testimoniato la sovrapposizione di blocchi lapidei messapici, romani, medievali e, infine, cinquecenteschi. È datata a quest’ultima epoca la trasformazione dell’ipotetica forma ovoidale medievale (ancora leggibile esaminando la pianta della città), nell’attuale “trapezio”[1].

L’ampliamento, però, interessò solo alcune zone perimetrali della città. Da qui la stratificazione della maggior parte degli edifici nel centro storico di Lecce, frutto di continui adeguamenti dettati dalle esigenze dei proprietari che nel corso del tempo li possedettero. Là dove oggi sorge un’abitazione, forse in passato si ergeva una cappella, un magazzino, o quant’altro.

Nel centro storico, ovunque si scavi, sono riportati alla luce reperti delle varie epoche: basti pensare ai ritrovamenti nell’area delle piazzette Vittorio Emanuele II, Lucio Epulione, Sigismondo Castromediano, nei sotterranei del Castello e di palazzo Vernazza. Sono tutte aree di proprietà di enti pubblici, studiate scientificamente e, nel caso di piazzetta Sigismondo Castromediano, riqualificate.

Ma quando è un privato a “imbattersi” nella storia, cosa succede? Nella maggior parte dei casi non si sa.

Se i proprietari sono Luciano Faggiano e famiglia, nasce un “Edificio storico archeologico” di notevole suggestione: una sorta di grotta di Alì Babà, dove gli appassionati di archeologia, storia e architettura si trovano inaspettatamente di fronte ad un tesoro ammonticchiato e possono percorrere una passeggiata nel tempo, lunga duemila anni.

Lo stabile è articolato su tre livelli: il piano terra è suddiviso in sei ambienti, il seminterrato è distribuito in tre vani, al primo piano sono visitabili quattro locali. Presenta un anonimo prospetto in via Ascanio Grandi al numero civico 56, la seconda traversa a destra, entrando nel centro storico di Lecce da porta San Biagio. Ricade all’interno del confine di una delle aree interessate all’ampliamento urbanistico cinquecentesco di cui si è accennato sopra, nel versante orientale della città.

Probabilmente sorgeva a ridosso delle mura medievali, ancora individuabili in pianta e corrispondenti a un tratto di via Marino Brancaccio (prima traversa a destra dopo porta San Biagio) e vico dei Panevino.

L’Edificio Faggiano conserva tra le sue meraviglie una torretta belvedere, del tipo a balconcino, risalente al XIV secolo. È una delle torri d’avvistamento delle mura medievali? Il vano sottostante la torretta conserva tracce di un affresco raffigurante un triangolo sormontato da una croce (il Calvario?), alla cui base è tracciato il prospetto di un edificio, il tutto è racchiuso in un altro triangolo senza base.

L’Edificio ricadeva nel portaggio San Biagio. Al piano terra conserva, tra l’altro, un ambiente anticamente adibito a luogo di culto.

Nell’area in questione, oltre alla cappella di San Matteo – menzionata nell’inventario dei beni posseduti a Lecce dai Templari nel 1308[2], e annessa da Audisia de Pactis al convento delle Terziarie francescane che fondò nelle sue case nella prima metà del Quattrocento[3] -, nel corso del Cinquecento sono attestate anche la cappella di San Lorenzo delli Scarani (o delli Turri) e quella di Santa Maria della Candelora[4] e, nel 1472, la cappella di San Giacomo de Pactis[5].

Probabilmente, ma è un’ipotesi tutta da verificare, nel 1631 l’Edificio ricadeva nell’area dell’isola dei Caraccino, dove abitavano, tra gli altri, Ascanio Grandi con i fratelli Giulio Cesare e Giovanna, i chierici Emilio e Gio. Battista Guarini, e la famiglia di Gio. Francesco Stomeo[6].

La scoperta delle meraviglie che racchiude l’Edificio storico archeologico Faggiano risale al 2000, quando i proprietari, per un banale problema di umidità, dovettero rompere il pavimento dello stabile acquistato vent’anni prima. Ne conseguirono varie beghe, di cui non si ha alcuna intenzione di parlare in questa sede. Sta di fatto che i ragazzi Faggiano sino al 2007 hanno condotto personalmente i lavori di scavo, sotto la supervisione della Soprintendenza Archeologica di Taranto e la guida degli architetti Franco e Maria Antonietta De Paolis. Si è scavato sino al banco roccioso, pareti e soffitti sono stati stonacati: ogni singolo elemento è stato riportato a vista. La maggior parte dei reperti recuperati, circa tremila, sono stati presi in custodia dalla Soprintendenza, altri sono esposti in loco.

Nell’aprile 2008 l’Edificio è stato aperto al pubblico grazie all’Associazione culturale “Idume”, fondata da Luciano Faggiano, che ne cura la gestione e la promozione turistico culturale. L’Associazione ha voluto dedicare uno degli ambienti al piano terra alla scoperta della Grotta dei Cervi di Porto Badisco: in particolare a Severino Albertini[7].

Una delle tante peculiarità di questo posto, è l’orgoglio con cui i Faggiano lo descrivono quando accompagnano i visitatori. Chi scrive, dunque, lo presenterà sommariamente, per lasciare spazio alle emozioni di chi si recherà a conoscerlo, accennando solo ad alcuni manufatti, fonti di riflessione.

Quando si entra nello stabile, si ha subito l’impatto con una realtà nota agli archeologi: nel pavimento si aprono a pochi passi uno dall’altro un buco di palo di una capanna e una tomba di epoca messapica. Testimoniano l’usanza della gente messapica di coabitare con i propri defunti. Molte stanze parlano dell’importanza dell’acqua: sono presenti opere di canalizzazione e cisterne delle varie epoche adibite alla raccolta dell’acqua piovana, e un pozzo medievale profondo 12 metri da cui si attingeva l’acqua del fiume Idume, che scorre nel sottosuolo. Un silos (X° secolo), una vasca quadrangolare di raccolta e una macina (XII° secolo), quest’ultime due poi adibite a ossario, potrebbero testimoniare la presenza di un mulino. Anche le pareti tramandano il passaggio del tempo: i conci medievali s’intersecano a quelli cinque-seicenteschi, creando strani giochi stratigrafici, per cui in una parete medievale si apre una nicchia recante lacerti di un affresco cinquecentesco. Appaiono qua e là frammenti di ceramica incastonati nelle murature, riadoperati come riempitivo. L’angolo di un vano è tappezzato da piastrelle settecentesche, preposte a preservare il muro dall’umidità quando dal piano superiore si attingeva l’acqua dalla cisterna.

Nella stanza in cui si accede dall’ambiente adibito a cappella, la parete medievale presenta finestrine di tipo conventuale: testimoniano l’esistenza di un antico cenobio? Nell’ambiente sottostante a questo vano si apre una grande fossa rettangolare adoperata per secoli come sepoltura, da cui è stato recuperato un anello recante la scritta IHS[8]. Nel vano adiacente a quello della fossa, un’apertura circolare, profonda circa sei metri e scavata in origine come via di fuga, fu poi adoperata come sepoltura temporanea del cadavere (essiccatoio). I sotterranei conservano anche camminamenti orientati in direzione dell’anfiteatro romano e del Duomo.

Anche il primo piano, adibito a esposizioni e incontri culturali, custodisce alcune meraviglie. Il salone è coperto da una volta del XVII° secolo, realizzata con una tecnica costruttiva difficilmente riscontrabile nell’area leccese: i quarti non sono stati realizzati con conci in tufo, ma sono costituiti da “vasi” cilindrici in terracotta: è un espediente adoperato sia come isolante termico sia per alleggerire la volta. Nella stessa stanza nel vano di una porta è incastonato il frammento di un’epigrafe cinquecentesca, riferibile a un’epistola ai romani di San Paolo apostolo[9]. La stessa iscrizione è presente nella Cattedrale di Lecce.

Sono tante le domande che ci si pone entrando in questo luogo, e tante le testimonianze cui dare il giusto significato. Molti esperti, dopo averlo visitato, hanno espresso le proprie ipotesi. La famiglia Faggiano, inaspettata custode di tale tesoro, è ben disposta ad ascoltarle per conoscere e divulgare più informazioni possibili.

Edificio storico archeologico Faggiano, via Ascanio Grandi, 56 Lecce

Aperto tutti i giorni dalle 9.30 alle 13.00 e dalle 16.00 alle 20.00.

Info: Tel. 0832 300528 – 360 722448 – Sito: www.museofaggiano.it – E-mail info@museofaggiano.it


[1] La definitiva cinta muraria, è stata realizzata a partire dal 1539 su progetto di Gian Giacomo dell’Acaya, architetto di Carlo V. Marcello Fagiolo ha affrontato il tema della nuova «forma urbis» in M. FAGIOLO – V. CAZZATO, Le città nella storia d’Italia. Lecce, Lecce-Bari 1984, pp. 40-45.

[2] Cfr. E. FILOMENA, Presenza dell’Ordine dei Templari in Terra d’Otranto, in «Lu Lampiune. Quadrimestrale di cultura salentina», a. V, n. II Agosto 1989, pp. 5-40: pp. 35-37.

[3] Cfr. G. C. INFANTINO, Lecce sacra, Lecce 1634 (ed. anast. a cura e con introduzione di P. De Leo, Bologna 1979), pp. 60-63.

[4] Le due cappelle, così come San Matteo, nel 1508 davano il nome a due isole del portaggio San Biagio (Cfr. A. FOSCARINI, Lecce d’altri tempi. Ricordi di vecchie isole, cappelle e denominazioni stradali (contributo per la topografia leccese), in “Iapigia”, a. VI, 1935, pp. 425-451. Le altre notizie sono state apprese da vari regesti notarili consultati).

[5] Cfr. B. VETERE, «Civitas» e «Urbs». Dalla rifondazione normanna al primato del Quattrocento, in B. VETERE (a cura di), Storia di Lecce. Dai Bizantini agli Aragonesi, Bari 1993, pp. 55-195: pp. 63,131 e 162.

[6] Cfr. lo Status animarum civitatis Litii 1631, manoscritto conservato presso l’Archivio Vescovile di Lecce. La presenza della famiglia Guarini in questa zona della città è attestata sin dal 1308 vicino a San Matteo, così come, nel corso del Cinquecento, nelle isole di San Lorenzo delli Scarani e di Santa Maria della Candelora. Il notaio Giovanni Battista Stomeo nel 1568 abitava nell’isola di Santa Maria della Candelora (Cfr. G. COSI, Notai leccesi del ‘500. Regesti degli Atti conservati presso la Biblioteca Provinciale di Lecce, Lecce 1999, p. 53). Il sito della cappella di Santa Maria della Candelora (elencata tra gli edifici di culto nel 1634 da Giulio Cesare Infantino), però, è sempre stato individuato di fronte alla chiesetta della Trinità dei Pellegrini (conosciuta anche come Chiesa del Bambino), anch’essa ubicata in via Ascanio Grandi.

[7] La Grotta fu scoperta tra l’1 e l’8 febbraio 1970 da Severino Albertini, Isidoro Mattioli, Enzo Evangelisti, Remo Mazzotta e Daniele Rizzo. Nella sala  è esposto materiale fotografico e archivistico donato dalla signora Romano Albertini.

[8] L’anello rotondo presenta al centro la sigla IHS con la croce e i tre chiodi, racchiusi in un cerchio contornato da quattro triangoli e otto volute. È il trigramma all’interno del sole con dodici raggi, promosso da San Bernardino da Siena (1380-1444) per venerare il nome Gesù (IHS è l’abbreviazione del nome in greco di Gesù). Nel 1427 papa Martino V impose che vi fossero aggiunte la croce e i tre chiodi.  Il simbolo fu adottato da Sant’Ignazio di Loyola come sigillo della Compagnia di Gesù, fondata nel 1539.

[9] Si legge (sciogliendo le abbreviazioni) “…OB, QUIS CONTRA NOS”.

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10 Commenti a L’edificio storico archeologico Faggiano a Lecce

  1. Capisco l’emozione di Giovanna Falco provata nel vedere tanta storia della nostra bella Città visitando il Museo Archeologico Faggiano, emozioni forti e comuni ad altri visitatori, luogo msterioso, unico, sacro e profano dove la presenza di energia ti avvolge e ti colpisce, luogo che ti fa capire veramente chi siamo e da dove veniamo.
    Bene ha fatto a rendere pubbliche tali emozini su Spigolature Salentine in modo che altre persone potranno visitare “la grotta di Alì Babà”(giusto termine di Giovanna Falco sul Museo).
    Chi scrive è Luciano Faggiano ideatore insieme ai figli Marco, Andrea e Davide del Museo Faggiano, che con enormi sacrifici si è portato in luce certo 2000 anni di storia, della nostra storia.
    Dopo circa 8 anni di lavori e tutto a nostre spese abbiamo deciso di far conoscere la vera stratigrafia della nostra città aprendo il museo al pubblico credendo anche in una maggiore attenzione da parte delle istituzioni per aver aggiunto valore alla Città, ma l’attenzione è solo da parte di privati cittadini che amanti del proprio territorio come Giovanna Falco si prodigano quotidianamente a far conoscere quello che i nostri avi hanno realizzato e custodito per noi.

  2. Grazie, ma è stata tanta la meraviglia, la curiosità, e la voglia di saperne di più, che ho deciso di condividere le mie emozioni con chi ama Lecce e la sua storia

  3. La gratitudine di numerosi visitatori per una famiglia che ci ha donato questo scrigno di storia, ricompensi col tempo dei sacrifici fatti, colmando il silenzio e l’indifferenza delle istituzioni con sguardi rapiti dalle meraviglie disvelate. Ad majora!

  4. “realizzata con una tecnica costruttiva difficilmente riscontrabile nell’area leccese: i quarti non sono stati realizzati con conci in tufo, ma sono costituiti da “vasi” cilindrici in terracotta: è un espediente adoperato sia come isolante termico sia per alleggerire la volta”

    Le volte con elementi cavi non sono così rari nel Salento Leccese, Vedasi palazzo ducale Filomarini a Cutrofiano ad esempio. per una bilbliografia più approfondita sul caso la invito a leggere il Quaderno numero 12 del museo della ceramica: volte con elementi cavi in terracotta. di Salvatore Matteo. pag.47-56 per il resto complimenti.

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