Libri/ Ai confini del mondo e Morso d’amore

a cura di Stefano Donno

Spiagge d’autore e Presidio del libro di Nardò per una lettura a km 0 presentano Giorgio Fornoni “Ai confini del mondo” (Chiarelettere). Gli orrori del mondo visti con gli occhi di un reporter.

Martedì 9 agosto 2011 ore 21.00 presso Oasi Tabor prov.le 177 Santa Caterina di Nardò (Le) Giorgio Fornoni, autore di “Ai confini del mondo” edito da Chiarelettere, dialogherà con Tonio Tondo (giornalista “La Gazzetta del Mezzogiorno”) e con il “lettore” a km 0 Massimo Albanese.

Il 9 agosto 2011, ultima data della rassegna Sentieri a Sud, Luigi Chiriatti presenterà insieme a Milena Magnani “Morso d’amore” (Kurumuny) la ristampa del fortunatissimo testo che raccoglie le oramai ritenute classiche ricerche di Chiriatti sul tarantismo nelle quali l’autore racconta la propria esperienza di ricercatore, nato e cresciuto nei luoghi e nella cultura su cui

La chiesa di San Pietro in Vincoli a Galatone (1795)

di Giuseppe Resta

Non sarà sfuggita a molti di coloro che percorrono la strada che esce da Galatone per dirigersi verso Santa Maria quella cappella dalle belle forme misurate, proporzionate, austere che si incontra appena il paese comincia a dilatare gli spazi fra le sue case.
Pochi conoscono come si intitola, ancor meno sono quelli che la hanno visitata all’interno. Forse la notano di più per la rigogliosa siepe di allergizzante erba parietaria che la recinge, spesso abitata da qualche cane clandestino. Pochissimo è stato scritto su di essa.
E’ la chiesetta di San Pietro in Vincoli. Una volta era di proprietà privata; ora appartiene per lascito alla parrocchia dei Santi Medici in Galatone.

L’amante di dettagli tecnici sarà interessato a sapere che è situata in catasto al foglio 24, allegato A, particella A, del Comune di Galatone; ed è anche dichiarata monumento nazionale in virtù della declaratoria della Soprintendenza di Bari in data 18/04/1985.

La chiesetta di San Pietro in Vincoli a Galatone è posta all’incrocio delle vie Del Mare e Giacomo Caputo. Si presenta come una piccola cappella gentilizia, un tempo facente parte del complesso della masseria di Torre Moro (1673 circa) presso la masseria Vasce.

Posta sul tracciato storico tra Galatone e Santa Maria Al Bagno, come tutte le antiche edicole e cappelle, funge anche da indicatore stradale. Infatti i dipinti interni raffigurano S. Maria e il Crocifisso, indicando precisamente da dove si viene e dove si va.

Di pianta rettangolare, ha il lato minore con l’ingresso principale posto in direzione nord, su via Del Mare. Uno dei due lati maggiori, quello est che ospita una porticina laterale, è posto su via Giacomo Caputo; mentre gli altri due latiprospettano su di proprietà privata. L’altezza della cappella, a meno delle sovrastrutture, è di circa ml 5.50; le misure dei lati sono di circa ml 6.70 per il alto lungo,  ml 5, 20 per il lato corto. Copre una superficie di circa 33 mq lordi, mentre l’interno è di  17.50 mq. .

La tipologia è quella della cappella a camera unica.  I tratti stilistici sono di un maturo e sobrio neoclassico settecentesco. Difficile inquadrarla nella stessa epoca della Torre Moro ma certamente in epoca successiva. Ce ne dà conferma la data del 1795 dipinta sull’altare. Sebbene è logico supporre con evidente certezza che la struttura architettonica sia precedente di qualche tempo alla tavola dell’altare. Dovremmo essere all’incirca all’epoca che a Nardò era vescovo Carmine Firmiani.

Tutto il paramento murario esterno, cornicioni compresi, è di pietra arenaria locale del tipo “tufo carparino”. Si riscontra un’alta fascia di zoccolo secondo i già diffusi stilemi vanvitelliani e richiami alle mature opere razionaliste e illuministe di Ferdinando Fuga.  Le lisce lesene sugli spigoli, che incorniciano dei campi murari altrettanto lisci, terminano con un doppio fregio sommitale, mentre le specchiature sottosquadro hanno il solo cornicione poco aggettante.
Sul prospetto est, posto perfettamente al centro della facciata laterale di via Caputo, è presente un campanile a vela, di forme molto semplici con cornicione piano, sormontato da una croce lapidea. E’ ancora dotato di campanella funzionante. Il concio posto alla base della monofora reca la scritta “A.D. 1807”. Pertanto si può dedurre che il campanile è opera postuma di completamento.

Nel Regno Delle Due Sicilie siamo in pieno decennio Francese con a Napoli il re Giuseppe Bonaparte, fratello dell’imperatore Napoleone.

Su tutti e due i prospetti laterali di dimensioni maggiori, quelli est e ovest, si notano due doccioni di pietra leccese per ogni lato. Sono di forma cilindrica, con alcuni fregi floreali agli angoli sull’innesto murario.  Sul prospetto principale, invece, al centro sopra al cornicione finale, spicca un cartiglio di forme ancora  baroccheggianti. Due pinnacoli piramidali svettano in corrispondenza delle lesene laterali. Niente a che fare coi pennacchi floreali ai quali ci aveva abituato il nostro barocco. Il prospetto principale è caratterizzato dalla porta incorniciata e sovrastata da un cornicione. Ancora sopra al cornicione della porta una finestrella rettangolare contraddistinta dalla scorniciatura liscia dotata solo di uno semplice smusso interno.

L’interno è caratterizzato da una volta a crociera del tipo “leccese semplice”, ossia formata dall’intersezione di una volta a crociera con una cupola. Semplicissimi i paramenti murari interni mossi solo da due lesene in aggetto poste sugli estremi dei lati lunghi e connotate da modanature lapidee semplicemente scorniciate all’imposta degli archi di volta. Al centro il concio di chiave pende in giù con un artificio plastico piramidale scolpito a foglie d’acanto.

L’altare è di semplici forme e presenta ai lati delle volute solo nell’ultimo livello più in alto, leggermente inclinate verso la sala. In compenso la parte bassa dell’altare è chiusa da un tavolato dipinto con un motivo a losanghe, francesizzante di stile e di cromie, che richiama un cassettonato. Al centro troneggia lo stemma dei Moro, sempre dipinto, incastonato in un coronato cartiglio, festonato da ghirlande floreali azzurre. La corona è quella di “nobile”. Qui è riportata in bell’evidenza la data “A. D. 1795”.

Chi fu il Moro committente? Felice o Michele Moro, che troviamo in quegli anni partecipi della galatea Accademia degli Infiammati o altri? Allo stato non mi è possibile affermarlo. Il blasone dei Moro raffigura un moro bendato di profilo, sul quadrante inferiore destro per chi guarda, e una falce di luna in campo azzurro, in alto a sinistra. La simbologia del Moro Bendato è direttamente riconducibile alla dominazione aragonese (vedi la Bandiera di Aragona, così come a quelle, a questa ispirate, di Corsica e di Sardegna). La simbologia del Moro ripropone la vittoria degli Aragonesi sui re Saraceni. La benda (in araldica: capo bendato) dovrebbe rappresentare la simbologia del turbante accostata alla allegoria della cecità di chi no conosce la “vera fede”. Il blasone, comunque, differisce da quello recensito dall’Armoriale Delle Famiglie Italiane per la famiglia Moro. Questo ci fa supporre che sia un blasone locale.
All’interno si notano un’acquasantiera lapidea incassata a destra della porta principale e un piccolo lavamani lapideo incassato nel muro a caduta posto a destra dell’altare, entrambe ornati con sculture a lievi risalti di forme naturalistiche accennate.

Dominano l’aula due dipinti murali. Il più grande sormonta centralmente l’altare. Misura cm 220 in altezza e 140 in larghezza. Rappresenta la classica scena della Madonna del Rosario. La Madonna è in alto, assisa in trono, contornata di angioletti e due le sorreggono la corona,  col Santo Bambino in braccio. La Vergine porge il rosario a S. Domenico di Guzman, mentre il Bambino lo porge a S. Caterina da Siena, posta sul lato destro di chi guarda. Esattamente all’ inverso a quella più diffusa iconografia della Madonna del Rosario di Pompei dove i santi sono posti nella stessa maniera ma il bambino è a sinistra e porge il rosario a S. Domenico. Da quanto ci è pervenuto, grazie al racconto del beato Alano della Rupe, nel 1212 San Domenico, durante la sua permanenza a Tolosa, ebbe la visione della Vergine Maria e la consegna del rosario, esaudendo ad una sua preghiera di avere un valido mezzo per combattere l’eresia albigese senza uso della violenza. Da allora il rosario divenne la preghiera più diffusa per combattere le eresie e nel tempo una delle più tradizionali preghiere cattoliche. A Santa Caterina, anch’essa dell’ordine dei Domenicani, i maggiori propagatori del culto del S. Rosario, si deve la recita meditata del Rosario. La devozione della recita del Rosario, chiamato anche ‘Salterio’, ebbe larga diffusione per la facilità con cui si poteva pregare.  Fu chiamato il “Vangelo dei poveri” perché dava il modo di poter pregare e nello stesso tempo meditare i misteri cristiani, senza la necessità di leggere un testo in un’epoca dove l’analfabetismo era la regola.

 
Questa particolare iconografia della Madonna Del Rosario presente del dipinto di San Pietro deve ascriversi a quella nata con l’istituzione della “Madonna della Vittoria”. Ricorrenza, come ricorda l’amica dottoressa Daniela Bacca in un suo dotto e completo articolo comparso sul sito di Cultura Salentina (http://culturasalentina.wordpress.com/), ”promossa ed istituita da Papa Pio V, in ricordo della battaglia di Lepanto, avvenuta il 7 ottobre 1571, in cui la flotta della Lega Santa sconfisse l’Impero Ottomano, per intercessione della Vergine Santissima, si diffuse con viva intensità e devozione nella terra salentina, per secoli minacciata, saccheggiata e torturata dai sanguinari turchi. La battaglia, tra le più attese e partecipate del XVI secolo, fu vinta grazie alla protezione di Maria, che i cristiani  invocarono recitando il Rosario prima dei combattimenti, tanto che il papa Gregorio XIII, nel 1573, intitolò il culto alla “Madonna del Rosario”, la cui iconografia è tra le più note e tradizionali legate alle raffigurazioni mariane.”
E ancora la Bacca nota come “I pregevoli dipinti che seguono questo specifico ed emblematico schema iconografico furono commissionati, molto spesso, dalle nobili casate della Provincia di Lecce, al fine di promuovere il culto del Rosario, esprimere la propria spiritualità cristiana, ricordare il ruolo attivo della nobiltà che combatte, si sacrifica, prega e partecipa alle vicende religiose, politiche e territoriali, ed abbraccia il motto “Non virtus, non arma, non duces, sed Maria Rosarii victores nos fecit” (“Non il valore, non le armi, non i condottieri, ma la Madonna del Rosario ci ha fatto vincitori”) .” Il discorso pare calzare perfettamente con la nostra cappella gentilizia.
Fra le due figure dei santi, in basso, al livello del libro di San Domenico e dei due gigli che simbolizzano la purezza dei due santi personaggi, si intravede un panorama di un gruppo di edifici visto in lontananza.

Nonostante il paesaggio sia molto distante e lo stato di chiarezza del dipinto oggi non sia ottimale, lo skyline sembrerebbe proprio quello della Torre Moro, vicinissima alla stessa cappella e degli stessi proprietari. Se così fosse risponderebbe alla richiesta di mettere devotamente sotto la protezione della Madonna Della Vittoria tutto il sito della masseria Vasce. Anche se l’altura delle attuali contrade Coppola e Palmentola che fa da sfondo sarebbe stata veramente esagerata.

In basso nel dipinto, separato e incorniciato da volute dorate, vi è la scena  che rappresenta S. Pietro nel carcere di Gerusalemme in compagnia dell’angelo che qui, secondo quanto raccontato nel capitolo 12 degli Atti degli Apostoli, lo liberò dalle catene con le quali era stato imprigionato nell’anno 43/44 da Erode Agrippa. Infatti la scena è ambientata in una stanza con una finestra chiusa da una grossa grata di ferro alla quale Pietro è assicurato con una catena e delle manette. Nel dipinto l’Angelo, calzato alla romana, si accinge a compiere la liberazione.

 
Il dipinto fa riferimento solo a questo episodio dell’agiografia d San Pietro e non all’altro della prigionia dell’Apostolo nel Carcere Mamertino a Roma. La  nota basilica romana di San Pietro in Vincoli, con la stessa dedicazione della nostra cappelletta, – basilica fatta costruire all’incirca negli anni prossimi al 442, presso le Terme di Tito all’Esquilino, da Licinia Eudossia, figlia di Teodosio II il Giovane e moglie di Valentiniano III –  fu, invece, fatta erigere per custodire le catene (in lingua latina vincula) di san Pietro che la madre di Licinia Eudossia, l’imperatrice Elia Eudocia, aveva avuto in dono da Giovenale, patriarca di Gerusalemme, durante il suo viaggio in Terra Santa insieme alle catene che avevano legato il santo nel carcere Mamertino a Roma prima della sua crocifissione. La reliquia orientale fu offerta al papa S. Leone il Grande, che la unì all’altra catena con cui in Roma era stato avvinto il S. Apostolo sotto Nerone, ed ambedue i ceppi furono deposti nella basilica. Pertanto quella romana racchiude in sé  i simboli reliquiari di entrambe le due prigionie note dell’apostolo Pietro. La festa di commemorazione di San Pietro in Vincoli è il 1 Agosto.

Perché il Moro edificatore della cappella volle dedicarla a S. Pietro in Vincoli?

Possiamo fare congetture (una visita alla basilica di Roma, una liberazione da un’ingiusta detenzione…) ma non abbiamo prove storiche.
Un altro dipinto murario presente nella cappella è posto a destra dell’entrata, sulla parete ovest. E’ alto 77 centimetri e largo 57 e si trova a 123 centimetri da terra. Praticamente è perfettamente ad altezza d’uomo. Rappresenta l’immagine del SS. Crocifisso della Pietà di Galatone nella classica e particolare posa con le mani dietro la schiena. Il dipinto, oltre che con la cornice lignea giustapposta in epoca decisamente successiva, è inquadrato in una cornice dipinta. La tecnica di rappresentazione è pregevole e dimostra, nel soggetto raffigurato. una competenza artistica di buon rilievo sia nell’agilità delle pennellate, sia nella anatomia del torso che nel bel volto che esprime calma sofferenza. È una delle quattro rappresentazioni del Crocifisso di Galatone, oltre a quella originale custodita nell’altare maggiore dell’omonimo santuario galateo, presente negli edifici di culto a Galatone. Le altre sono nella chiesa della Madonna della Grazia, presso la chiesa di Santa Lucia, nella chiesa di S. Sebastiano. Una quinta è nella cappella conosciuta come “Cristu Ti Tabelle”, ma questa, catastalmente, è in agro galatinese, e pertanto fuori diocesi.
La situazione statica della cappella è buona. E’ stata edificata su di uno strato emergente di roccia calcarea dura. Non presenta dissesti murari né pleiadi fessurative preoccupanti. I problemi che si riscontrano sono invece dovuti prevalentemente ad un inesistente stato manutentivo. Prima di tutto si riscontra una forte umidità proveniente dal lastrico solare che pervade tutta la volta e minaccia la parte superiore del dipinto murale posto sull’altare. Inoltre si nota una vegetazione infestante in più punti del paramento murario ed alla base della cappella. In particolare ci sono tre dirompenti piante di cappero nella parte bassa. Inoltre tutto l’apparato murario esterno denuncia in più punti lo sgretolamento delle giunzioni in malta di calce fra i conci di arenaria.
I dipinti murari sono fessurati e coperti da strati di sali calcarei. L’astraco che ricopre il pavimento è in cattivo stato di manutenzione.

L’interno della cappella, così come l’altare, è stato tinteggiato a calce più volte coprendo le cromie originali e il disegno a conci della volta che oggi si intravede appena dietro gli strati di pittura. Gli infissi esterni in legno sono molto malandati ma recuperabili. I due lati che prospettano sulla proprietà privata sono contornati dal terreno vegetale di un giardino. E’ lecito immaginare che buona parte dell’umidità di risalita che si riscontra sulla fascia basale provenga da questa situazione. Urge un intervento.

La parrocchia Santi Medici Cosma e Damiano, quale proprietaria, tramite l’interessamento del dinamico parroco Don Cosimo Fabrizio Rizzo, ha richiesto un finanziamento alla Provincia tramite il Bando del 24/03/2011 “AMMISSIONE A FINANZIAMENTO DI INTERVENTI CONNESSI AL PROGRAMMA DI VALORIZZAZIONE E RECUPERO IMMOBILI DI INTERESSE STORICO – ARTISTICO.”
Si spera in un accesso a questi fondi per poter affrontare i lavori, ogni giorno più improcrastinabili, se vogliamo conservare questo prezioso lascito del nostro passato d’arte.

per continuare la lettura: http://galatown.splinder.com/post/25273857/dossier-sulla-cappella-di-san-pietro-in-vincoli-a-galatone

(pubblicato sul numero 12  di Maggio 2011 della rivista A LEVANTE)

Le lac de bauxite d’Otrante dans la province de Lecce

de Rocco Boccadamo

Les mots ne suffisent pas, du moins, ils ne seraient pas adaptés aux simples observateurs de la rue, qui écrivent pour pouvoir dire d’Otrante, de son cœur, de son âme, de son histoire, imprimés entre deux moments de louange, de gloire et parenthèses de tragédie, de ses propres alentours.

Nous pouvons dire que Otrante est un inégalable trésor, que dire, un ensemble de trésors, un authentique petit, grand mirage royal.

L’approche mentale à son endroit, ne peut que se conjuguer avec émotions et sensations profondes.

À quelques kilomètres de la localité, le long de la route qui serpente en direction du sud vers Porto Badisco, Santa Cesarea Terme et Castro, plus ou moins à la hauteur de la Baia delle Orte, on trouve, s’imposant à l’admiration hébétée des visiteurs, les restes des caves de bauxite et cela en raison de sa forme ressemblant à un bassin d’eau alpestre.

Mais, cela dénote l’exceptionnalité du site, situé sur l’autre versant de

Fantasmi neri che vagano per i campi profumati di origano e mentastra

di Gianni Ferraris

“Siamo qui per la dignità”.  Il volantino inizia con queste parole. Volti sorridenti, fra loro ci sono anche ragazzi di  Tecnova, che già subirono l’umiliazione di nuove forme di schiavitù. Oggi chiedono solo banale “dignità” nel mondo luccicante della movida e dei turisti con il naso all’insù pronti a meravigliarsi di cotanto passato e nobiltà che racconta il barocco leccese.

Loro, i ragazzi,  non sono arrivati qui per fare i turisti ma semplicemente per sentirsi persone.

“Chi ha gestito la vicenda Boncuri, noi delle brigate di solidarietà e l’Associazione Finis Terrae, ha trovato una situazione allarmante, campi stracolmi, sfruttamento, disservizi. E’ stato tutto molto complicato,  centinaia di braccianti che non hanno aiuti da nessuno. La sorpresa positiva è stata la coesione che questa drammatica situazione ha generato. Camerunensi, nigeriani, tunisini e ragazzi di altre nazionalità hanno avuto la capacità di fare corpo unico ed autoorganizzarsi in questa manifestazione. Il sindacato è praticamente di appoggio, anche se in forte sinergia.

Loro subiscono i caporali, sono sottopagati, non lasciamoli soli, informate, fate sapere”. E’ quasi una preghiera la sua. “ Ivan è stato minacciato di morte dai caporali, questa è la situazione.   Boncuri ha confini più vasti di quel che si crede, non è solo Nardò, arrivano anche da altri comuni i lavoratori. Ora siamo all’assurdo di un campo che dovrebbe contenere 200 persone, invece sono oltre 350, manca anche l’acqua calda, dovrebbe occuparsene l’amministrazione comunale,  tutto tace. I ragazzi chiedono il rispetto dei diritti fondamentali, il caporalato è un cancro”.

A parlare è Francesco delle brigate della solidarietà. Ed i numeri sulla popolazione del campo ci vengono confermati telefonicamente da  Gian Luca Nigro dell’Associazione Finis Terrae.

Antonella Cazzato, segretaria confederale CGIL precisa “Ovviamente ogni forma di protesta nasce per volontà dei lavoratori che non sopportano più. Nel nostro territorio è la prima volta che gli immigrati occupati in agricoltura decidono di scendere in piazza. Il lavoro del sindacato è, si, di sostegno, ma abbiamo il compito di organizzare la protesta cercando le soluzioni dei problemi. Senza la mediazione del sindacato rischierebbero di essere voci  senza ascolto”.

“Caporalato, parliamone, non ci sono gli ispettorati del lavoro che controllano?”

“Abbiamo da tempo denunciato un calo di attenzione da parte della politica, delle istituzioni e dell’attività ispettiva.  Questi lavoratori, di fatto, sono invisibili. Abbiamo chiesto da sempre di organizzare un’accoglienza dignitosa,   a Boncuri volevamo uno sportello dell’occupazione che permettesse una vigilanza contro i caporali. Ai datori di lavoro chiedevamo invece il rispetto delle paghe e delle condizioni di lavoro. Il contratto prevede che a loro carico   ci siano: vitto, trasporto, alloggio ed acqua. Nulla di tutto ciò esiste, parliamo di sfruttamento vero e proprio. Per non dire delle paghe irrisorie”.

Annotiamo che la paga dovrebbe essere tra i 6 e i 10 euro a cassone di pomodori, mentre ora per riempire un cassone di 100 chili vengono pagati 3,5 euro. In più alla fine della giornata il caporale    rapina ai ragzzi  3 euro più altri 5   per il trasporto. Una giornata di oltre 10 ore di lavoro sotto il sole, dunque, frutta agli immigrati lavoratori stagionali meno di 20 euro.

Diritti, appunto. Abbiamo raggiunto telefonicamente il Sindaco di Nardò, Marcello Risi, che assicura dia aver fatto accertamenti personalmente nel campo e che non gli risultano problemi si sovrappopolazione. Secondo il Sindaco le tende  a sei brandine, e quelle più piccole con meno posti letto, sono piene, ma non si va oltre. “Il problema dell’acqua calda esiste, in realtà, ed è in fase di risoluzione”.

Anche se siamo in agosto e una doccia fredda non fa poi così male, in fondo è pur sempre un servizio essenziale.  Inoltre, secondo Risi, il problema caporalato  è in mano interamente agli immigrati, “Non è un’attività criminosa gestita da italiani”.

Qualcuno saprà pur qualcosa fra datori di lavoro, controllori e osservatori, sembra però un muro di gomma contro il quale rimbalzano le responsabilità. Loro, i lavoratori, sono davanti alla prefettura, a ritmare con i loro tamburi il tempo che scorre e la rabbia pacata che hanno dentro. Caporali, sfruttamento del lavoro, migliaia di uomini invisibili che vagano per i campi a raccogliere angurie e pomodori, sembra un altro mondo, diverso dal luccichio delle sagre strapaesane e delle feste della taranta. Sembra il passato remoto. Eppure siamo nel 2011, in terra di Salento, con mare, sole, jentu che chiamano vacanzieri. Nel Salento dell’assenza dei politici a portare solidarietà. Neppure uno si presenta per tutta la mattina. Siamo quasi in ferie, e poi, diciamolo, i poveretti del PDL hanno già dovuto rinunciare al pellegrinaggio in Terra Santa, volete che perdano tempo qui in strada? Gli altri… beh, lasciamo andare. Tentiamo di dare visibilità ai fantasmi neri che vagano per i campi profumati di origano e mentastra. Ora anche di rabbia.

Arneotrek. Cronaca di un’escursione guidata

ph Mino Presicce – ripr. vietata

 Camminando per il Salento: il territorio dell’Arneo

di Mino Presicce

L’Arneo: vasto territorio posizionato nel cuore della penisola salentina, in passato scenario di sanguinose lotte contadine.

L’Arneo: terra di latifondi, distese immense di pascoli, uliveti, macchia mediterranea; territorio aspro, crudo, arido, rifugio di briganti.

L’Arneo: terra rossiccia, terra deserta, terra assetata.

Per chi ha la fortuna di esplorarlo, oggigiorno,  l’Arneo conserva ancora le cicatrici di un indelebile e triste passato. Quella fortuna noi l’abbiamo avuta e grazie all’abilità nonchè all’esperienza di Roberto (la nostra guida) in un caldo pomeriggio di luglio, abbiamo girovagato per una quindicina di chilometri, lungo i tortuosi sentieri dell’Arneo. Abbiamo visitato masserie, ville gentilizie, dimore signorili e incontrato, lungo il cammino, ruderi di antiche abitazioni, furnieddhi [1], vecchi pozzi per la raccolta dell’acqua piovana, torri colombaie, abbeveratoi per animali, ecc.

ph Mino Presicce – ripr. vietata

La nostra spedizione è partita da masseria Carignano Grande, in territorio di Nardò. Lo scenario che si presenta davanti ai nostri occhi è quello di un paesaggio in via d’estinzione: un impianto masserizio cinquecentesco con masseria fortificata (ben visibili ancora oggi le numerose caditoie lungo il perimetro della costruzione), ampio giardino con cisterne, chiesetta con campanile a vela e, poco distante, la torre colombaia. Già il primo impatto è

Nicola Carducci e Francesco Lala, intellettuale leccese

FRANCESCO LALA E L’ESPERIENZA DE “IL CAMPO” NEL RICORDO DI NICOLA CARDUCCI

di Paolo Vincenti

 

Definito “Formicone” dal grande meridionalista Tommaso Fiore nella sua opera “Formiconi di Puglia” (Lacaita 1963) e “Il Formicone di Via Palmieri”  dal suo amico Luciano De Rosa in un articolo apparso su “La Gazzetta del Mezzogiorno” il 9 ottobre 1979, Francesco Lala è il protagonista dell’ultimo libro di Nicola Carducci, che ha mutuato la definizione di De Rosa per il titolo del suo volume: “Francesco Lala il Formicone di Via Palmieri”, con sottotitolo “Società e cultura nella Lecce del ‘900”, edito da Sigillo (2006).

Ma andiamo con ordine. L’autore del libro, Nicola Carducci, crediamo non abbia bisogno di presentazioni: lo conosciamo tutti,  studioso sensibile, preciso e attento, navigatore di lungo corso nel mare magnum della cultura letteraria salentina, che ha percorso in tutte le sue latitudini e longitudini, un “mostro sacro”, insomma, per tutti noi; fra le sue ultime pubblicazioni, basti ricordare “Vittorio Pagano, l’intellettuale e il poeta” (2004) e “Scrittori salentini tra coscienza del passato e letteratura” (2005).

Francesco Lala, intellettuale leccese a cui il Carducci ha voluto tributare questo  omaggio ,  è stato uno dei protagonisti più attivi della vita culturale della città-capoluogo nella seconda metà del Novecento.

Lala ha attraversato mezzo secolo di esperienza letteraria salentina, a partire già da “Letteratura italiana del Novecento”, un’opera del 1940 , in cui egli

Niente di nuovo sotto il sole, ma il sole da qualche decennio non vede altro che il peggio del vecchio.

di Armando Polito

I proverbi qui raccolti in tre succinti gruppi rappresentano un’impietosa diagnosi dello stato morale comatoso dell’attuale società, con la differenza, non di poco conto, che i disvalori da loro fustigati costituivano in passato una rara eccezione. Nutro, tuttavia, una speranza e in questo credo di essere in buona compagnia: quando la corda è sottoposta ad un’eccessiva tensione inesorabilmente si spezza e finisce rovinosamente a terra chi imperterrito continuava a tirarla.

Non tutto il male vien per nuocere: il lettore trarrà giovamento dai conati di vomito (chiedo scusa per l’immagine) che mi impediscono questa volta di stilare la consueta trascrizione in lingua, qualche nota etimologica e qualsiasi ulteriore commento, fatta eccezione per l’ultimo proverbio del secondo gruppo da me adattato per la circostanza.

a) La meritocrazia, la raccomandazione e la fuga dei cervelli.

Lu pruèrbiu è generale,/lu canòsce ogni nazione:/ola l’omu senza ale,/basta ca hae nna proteziòne.

Ungi l’assu ca la rota camìna. 

A cci fatìa nna sarda, a cci no ffatìa una e mmenza.

Ci càngia paese càngia sorte.

b) La litigiosità, l’ingordigia, la connivenza, l’opportunismo, la corruzione  e il trasformismo della politica.

Li ciucci si àttinu  e li bbarìli si scàscianu.

Ci cumànda no stracca mai.

Ci cumànda no ssuta.

La entre ggh’è co’ piddhècchia: quantu cchiù mminti cchìù si stindècchia.

Li sordi ndi càccianu l’uècchi allu tiàulu.

Lu tiàulu iuta li sùa.

Mangiàndu mangiàndu ti ene l’appetìtu.

Nna manu llava l’addha e tott’e ddoi  si llàvanu la facce.

Rrobba t’addhi, curèscia larga.

Ti la capu nfitèsce lu pesce.

Nnu pete intr’a ddo’ scarpe no ppò stare (quando è un piede normale, non un piede “responsabile”).

c) La manovra finanziaria

Li sordi pòrtanu li sordi e li pitùcchi pòrtanu pitùcchi.

Gesù Cristu, pruìti li pruitùti ca li spruitùti sontu bbituàti.

Lu cane ci mòzzica? Lu strazzàtu.

Lu pesce cchiù grande si màngia lu pesce piccìccu.

Pùlici cu ppùlici fàcinu lìndini.

Quàndu lu pòveru tae allu riccu lu tiàulu si ndi rite.

Totte li mosche vonu alla mula scurciàta.

Orto dei Tu’rat, dal tramonto all’alba

di Fernando Bevilacqua

Il grande poeta salentino Antonio Verri (un autore incredibilmente ancora escluso dalle antologie dei poeti nazionali), guardando il paesaggio caratteristico della sue parti, scrisse: “Continua il dialogo con la terra, con una realtà di volta in volta essenziale, lineare, un po’ amara, un po’ magica …”.

In queste parole sono racchiusi i contenuti di una serata straordinaria che viene proposta

                                    Sabato 6 Agosto, dal tramonto all’alba,

presso l’Orto dei Tu’rat, un parco culturale/agricolo/ecologico, situato nel Comune di Ugento (Lecce), si terrà l’evento, dal titolo

  “PAROLE SANTE… soffiate, musicate, perdute tra vento e acqua”

Durante la lunga serata si ascolteranno poeti, musicisti e performer, si guarderanno video artistici, si potranno assaggiare prodotti del Salento e bere vini di Puglia.

L’evento dà l’occasione di visitare e conoscere la bellezza disarmante dello scenario proposto da l’Orto dei Tu’rat, in assoluta sintonia con il paesaggio e l’atmosfera ambientale circostante.
Entrando nell’orto ci si trova infatti di fronte a dodici mezze lune di pietra a secco immense, costruite con pietra di Alessano, e la prima cosa che a tutti viene spontanea è il silenzio. L’idea immediata di un vivere con lentezza, la suggestione di una natura impalpabile che respira e si mostra senza alcuna vanità.

Strani movimenti sulla "Collina dei Fanciulli e delle Ninfe" tra Giuggianello, Palmariggi e Minervino di Lecce

Lettera aperta al Presidente della Provincia di Lecce, Antonio Gabellone

per conoscenza, sollecitandone comunque l’urgente intervento, anche a

Ministero dei Beni Culturali – Ministro Giancarlo Galan

Soprintendenza ai Beni Culturali e Paesaggistici di Puglia

Regione Puglia

Provincia di Lecce 

ARPA Puglia

 

''Collina dei Fanciuli e delle Ninfe'', Giuggianello, Monte San Giovanni

 

Comunicato Stampa Congiunto

del 2 agosto 2011  sottoscritto da

Coordinamento Civico apartitico per la Tutela del Territorio, della Salute e dei Diritti del Cittadino

Forum Ambiente e Salute del Grande Salento – Rete Apartitica

Save Salento – Associazione Salviamo il Salento

 

Divieto di accesso alla Prov di LECCE per le torri eoliche industriali

 

DIVIETO di TRANSITO e di ACCESSO ASSOLUTO per le TORRI EOLICHE INDUSTRIALI nella PROVINCIA di LECCE, TERRA di LEGALITA’, di VITA e CIVILTA’, PROPRIETA’ di tutti i SALENTINI

Strani movimenti di tecnici sulla “Collina” del più grande scandalo eolico d’Italia, quella “dei Fanciulli e delle Ninfe”, e monta subito una mobilitazione preventiva 

Giungono ai comitati ambientalisti locali numerosissime telefonate di allerta in cui cittadini e turisti, pur di difendere il Salento e quei luoghi cari dichiarano d’essere pronti pacificamente:

 

“a legarsi agli alberi”, e “a mettere i loro corpi di traverso alle ruspe”!

 

Masso detto ''Letto della Vecchia'', roccia sacra sulla Collina di Giuggianello

Una sensibilità, un amore, ed un’indignazione che commuovono da un lato ed esaltano le inadempienze e/o colpe gravi delle nostre istituzioni territoriali dall’altro!

Storie di ambientalisti e di spedizioni punitive

 

“Chi la fa l’aspetti”

di Raffaella Verdesca

Sandro è in compagnia del suo respiro, pesante come un carico di piombo.

Si sente risuonare nelle orecchie i soliti proverbi della madre: “Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te.”

Strana donna quella, non l’ha mai sentita parlare fuori da frasi fatte: ne è morta soffocata.

Questa volta, però, Sandro le darebbe ragione, anzi si autoaccuserebbe di stupidità davanti al mondo intero.

Da bravo ambientalista, milita da molti anni nel WWF: ne ha fatte di spedizioni punitive contro i trasgressori della natura! Lui, Carlo e Francesco, sempre uniti negli ideali e nella vita.

Mentre la fronte gli si ricopre di sudore, Sandro rimane immobile nel suo riparo di fortuna e per non pensare al pericolo che sta correndo, ricorda la volta in cui tutti e tre hanno disegnato un enorme fiore sulla pelliccia del sindaco Marina Salieri. Ha ancora davanti agli occhi l’immagine della faccia inviperita di quella: “Imbecille! I fiori a una donna si regalano, non si disegnano!”

Ma è un ricordo che si consuma in un lasso di tempo troppo breve per far dimenticare la paura.

Quando hanno liberato dalle ville i cani legati alla catena hanno ricevuto in cambio qualcosa di poco vicino alla gratitudine, ma di molto simile a un morso nel sedere.

Fortuna, poi, non aver subìto la legge del taglione il giorno in cui hanno svuotato un intero flacone di lassativo nella minestra del guardiano dei polli! Quel poveraccio non è più tornato al lavoro nell’allevamento!

Piccoli eroismi di ragazzacci idealisti, davvero poco consolanti ora che uno di loro si trova aggrappato a un tronco che può cambiare il suo destino. E poi parlano di abbattimento degli alberi!

Meno male che qualche mese prima il WWF si era battuto per la conservazione dei dieci ulivi secolari attorno alla zona industriale della città, altrimenti a

ADESIONE MORALE ALLA BATTAGLIA CIVILE DI BENIAMINO PIEMONTESE

ph Mino Presicce (ripr. vietata)

 

Vieste, 1° agosto 2011

     Il Signor Beniamino Piemontese, socio fondatore dell’Associazione
Ideale “Osservatorio Torre di Belloluogo”, nonché autore del sito
Messapi.info, ha comunicato al Presidente della Provincia di Lecce, Dott. Antonio Maria Gabellone e al Sindaco di Lecce, Dott. Paolo
Perrone, che nella mattinata del 2 agosto effettuerà un sit-in davanti
al Municipio di Lecce e davanti la sede della Provincia di Lecce per
sollecitare un intervento istituzionale del Comune e della Provincia di
Lecce contro le concessioni d149 e d71 del Ministero dell’Ambiente alla società inglese Northern Petroleum

     Con le concessioni d149 e d71 la società Northern Petroleum
avvierebbe l’iter burocratico per trivellare le coste del medio e basso Adriatico pugliese mediante indagini esplorative con la tecnica dell’airgun e l’installazione di pozzi estrattivi a una ventina di chilometri dalla riva, in aree dall’alta valenza turistica con ben nove aree naturalistiche protette e rilascio di sostanze inquinanti

Lucugnano (Lecce), meraviglie in terracotta

laboratorio “La Terracotta” di Giampiero Indino (ph M. Gaballo)
L’Associazione Porta d’Oriente propone, in collaborazione con il Centro Culturale Ricreativo Sportivo Lucugnanese e Casa di Ritrovo “Giovanni Paolo II”, la terza edizione de

La Sagra della Terracotta

 
il 1° Agosto 2011, con l’intento di recuperare e rivitalizzare la manualità, l’utilità e la creatività di un’arte che la nostra terra, in maniera esclusiva e plenaria, ha ereditato dalla notte dei tempi.

La storia ci porta a considerare gli eventi degli ultimi tremila anni che hanno visto protagonisti la creta e i suoi innumerevoli utilizzi: la sua duttilità, la sua facile reperibilità, la sua durata nel tempo, la sua resistenza alle alte temperature, all’acqua e ai cambiamenti climatici e la sua facilità di trasporto ci inducono a scommettere sulle notevoli potenzialità dei manufatti da essa ottenuti anche in futuro.

Il bacino del Mediterraneo è stato notoriamente la culla delle lavorazioni di questa materia prima anticipando di diversi secoli uno dei fenomeni culturali, sociali ed economici più attuali: la globalizzazione.

Difatti, la sua praticità rese la creta uno degli elementi fondamentali nella vita quotidiana di diverse popolazioni delle più svariate ere e per tale motivo divenne oggetto di scambi commerciali, culturali religiosi dell’intero Mediterraneo.

Oggi, l’immaterialità delle relazioni sociali e l’indifferenza verso la storia, le identità e le usanze che ci appartengono hanno deviato l’attenzione e l’interesse delle nostre generazioni dalla portata artistica della terracotta, quale motivo di valorizzazione del territorio e di riqualificazione sociale. L’unica eccezione all’oblio di questa tradizione perdura nel Salento ed in particolare nella nostra cittadina, Lucugnano.

L’Associazione culturale e di volontariato Porta d’Oriente intende dar seguito al successo ottenuto il 1° Agosto 2009 e 2010 con la prima e seconda edizione de “La Sagra della Terracotta”, tenutasi nell’ambito del Coordinamento delle Sagre del Capo di Leuca. L’evento è stata occasione per le centinaia di persone presenti per degustare le specialità culinarie tipiche della nostra terra, per ascoltare e ballare la musica popolare de “Lu Rusciu Nosciu” e, soprattutto, per ammirare la lavorazione e la decorazione sul posto dei manufatti degli artigiani lucugnanesi. Grande curiosità ed apprezzamento, infatti, sono state manifestate dai visitatori salentini e dai turisti delle più svariate provenienze che per tutta la serata hanno potuto constatare con i propri occhi il significato raffinato e concreto della lavorazione della creta e il connubio tra la fantasia e la laboriosità artigianale di tale attività. Per tale motivo, con lo stesso entusiasmo e la stessa passione della passata edizione, Porta d’Oriente, C.C.R.S.L. e Casa di ritrovo “Giovanni Paolo II” rinnovano le loro intenzioni per l’estate 2010, precisamente il 1° Agosto in Piazza Comi, quale ulteriore occasione per il pubblico di avvicinarsi alla evoluzione storica della nobile arte, alle tecniche di manipolazione della materia e di creazione dei prodotti e alla decorazione artistica degli stessi.

aboratorio “La Terracotta” di Giampiero Indino (ph M. Gaballo)
Alla realizzazione della Sagra collaborano (attraverso l’esposizione dei loro lavori) gli stessi artigiani figuli di Lucugnano, i “critari” (“La Terracotta” di Giampiero Indino, “La Bottega” di Giuseppe Indino” e “Ferrari Ceramiche” di Massimo Ferrari”) impegnati nell’evoluzione delle tecniche di lavorazione della creta, la quale continua ad offrire numerosi oggetti di grande bellezza artistica, che fanno da sfondo a tutti i prodotti genuini dell’agricoltura lucugnanese.
Numerosi gli stand, ben undici, che arricchiranno l’evento, offrendo davvero di tutto a residenti e turisti che si annunciano numerosissimi: antipasti caserecci, pasta, carne arrosto e alla griglia, rosticceria, “pittule”, angurie paesane, dolci, crépes, bibite e vino. Ad allietare ed a rendere più invitante il tutto ci penserà, immancabilmente, la musica.

Tutelare le nostre eccellenze agricole è un dovere di tutti

campi di angurie rimaste sul campo

Tutelare le nostre eccellenze agricole è un dovere di tutti.

Non solo il vino, ma anche l’olio extravergine d’oliva, le angurie, i pomodori, le patate, la frutta e gli ortaggi del Salento devono avere il giusto riconoscimento a livello nazionale ed europeo.

Creare un marchio d’eccellenza in sinergia con una buona politica di marketing sarebbe auspicabile per risollevare dal tracollo il lavoro e i prodotti sani  della campagna salentina!

 (Roberto Gennaio)

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