di Daniela Lucaselli
Insigne patriota, compì i primi studi presso il seminario predilendo i grandi della letteratura latina ed italiana, quali Livio, Tacito, Dante, Machiavelli, Alfieri e Foscolo. Sono i grandi che predilesse, le cui “ossa sembrano ancor fremere amor di patria”. Andò a Napoli a studiare medicina e si iscrisse alla “Giovane Italia”.
Il suo “vivace” carattere ne fece un “capo” fra i giovani che lo conoscevano e lo seguivano. Lo sdegno contro la tirannide, l’odio contro chi usurpava la sua terra con il proprio dominio, venne alimentato dall’esito negativo della spedizione dei fratelli Bandiera, ragion per cui si impegnò in prima linea per indurre il governo borbonico a concedere un sistema politico meno oppressivo e più libero.
Le riforma di Pio IX, di Carlo Alberto e del Granduca di Toscana alimentarono di speranza gli ideali patriottici, anche se Fernando II perseverava nel suo vetusto sistema poliziesco.
L’insurrezione di Palermo e la proclamazione della Repubblica in Francia diedero l’avvio ai moti rivoluzionari nel Mezzogiorno. Il 12 febbraio 1848 il nostro concittadino, alla testa di accesi liberali, diede vita ad una significativa rivolta. Percorrendo le vie di Napoli gridava”Abbasso il fedifrago Bozzelli”, che da liberale era diventato reazionario. Passò davanti al palazzo dell’Ambasciatore d’Austria, si appropriò dello stemma che raffigurava l’aquila bicipide, la ruppe e distribuì i pezzi a coloro che erano con lui. Era palese lo sdegno verso la nazione che aveva sostenuto i borboni e l’aveva privato della libertà. Il Bozzelli si salvò ma il ministero reazionario cadde.
Il 10 marzo chiese ed ottenne l’espulsione dei gesuiti. Dopo aver partecipato ad altri conflitti tumultuosi si rifugiò a Roma, accostandosi ai repubblicani.
Presidente del Comitato dei cospiratori contrastò e si prodigò per abbattere il potere temporale dei Papi; con la proclamazione della repubblica romana, avendo saputo di essere stato condannato a morte, si arruolò, con Mameli ed altri, al seguito di Garibaldi.
Caduta la Repubblica volle raggiungere Venezia, ultimo presidio austriaco. Fu fatto prigioniero e sottoposto a crudeli torture, ma una notte si precipitò in mare e fu salvato da un veliero turco che lo portò in salvo in un villaggio presso Costantinopoli.
Riuscì a raggiungere Marsiglia e poi Parigi, ma fu espulso per aver ancora una volta cospirato contro il Borbone.
A Genova entrò in contatto con il Pisacane e quando nel 1854 scoppiò il colera si dedicò a curare i malati.
Ecco nel frattempo sopraggiungere la Spedizione dei Mille: vi prese parte col grado di maggiore.
Catalafimi lo vide valoroso combattente, al Ponte dell’Ammiragliato salvò Benedetto Cairoli.
Calmò i tumulti accesi in Irpinia e partecipò alla battaglia del Volturno.
Fedele agli ideali mazziniani e garibaldini, combattè durante la terza guerra d’indipendenza nel Tirolo contribuendo alla vittoria di Bezzecca.
Sempre tra i seguaci di Garibaldi prese parte alle imprese di Monterotondo e Mentana.
Il 18 novembre 1865 fu eletto dai suoi tarantini deputato e, postosi alla sinistra, difese con veemenza la democrazia e i diritti di Taranto.
Morì a Roma nel 1901, portando con sé il ricordo di quanto aveva fatto fieramente come patriota per l’unità e la grandezza dell’Italia e, nella vita privata, come medico.
La città di Taranto gli dedicò una delle piazze principali.
Bibliografia:
- U. Foscolo, Dei Sepolcri, Firenze (2009);
- S. La Sorsa, Il Centenario dell’Unità d’Italia a Taranto, in Rassegna Mensile della città di Taranto, edita dal Comune di Taranto, Anno XXX – Gennaio-Dicembre 1961, Numero 1-12, Locorotondo (1961).