di Giuseppe Massari
Se la storia di un popolo passa attraverso il culto o la cultura di un feticcio, di un totem portafortuna, scaccia crisi o scaccia jella, non è un fatto negativo, anzi è il frutto di una creatività popolare fatta di strumenti con i quali poter esprimere un linguaggio, alcuni concetti, semplici parole, emissioni di suoni o messaggi. E’ quanto si è sforzato di spiegare, riuscendoci, Amedeo Visci, con la sua ultima fatica editoriale: “Il cola – cola tra il mito degli dei e degli eroi”.
Un testo che analizza aspetti storici ed etno antropologici di uno strumento a fiato realizzato e plasmato con le mani di artigiani locali abituati a modellare l’argilla, o volgarmente chiamata creta, trasformandola in terracotta. D’altronde, Gravina, ricca, nei suoi insediamenti di questa materia prima, è stata, sin dai secoli scorsi, maestra d’arte, maestra di vasari illustri le cui testimonianze sono state rinvenute nelle tombe della zona archeologica di Botromagno.
Ma oltre a questi illustri trascorsi di importanza notevole, è possibile dire e affermare con certezza che la cola – cola, sotto le sembianze di un galletto o di un volatile somigliante alla gazza (Pica Caudata), è un simbolo di Gravina in Puglia? Con certezza, si, perché, se viene alla mente uno dei toponimi di questa città, soprattutto sotto la dominazione romana, quando si chiamò Silvium, cioè luogo di selva e di boschi, dove di solito la gazza vive, diventò l’oggetto identificativo della città e della sua comunità.
E’ doppiamente simbolo della città peuceta se si considera che, soprattutto letto e visto sotto forma di gallo, animale sacro ad Esculapio, legato al culto di Ercole, ad alcuni eroi mitici richiamati nel titolo del libro, ha rappresentato l’ idea vincente della morte sconfitta dalla vita, il bene che vince il male, soprattutto, in Puglia, dall’arrivo dell’Arcangelo Michele, che sostituì il culto misterico di Esculapio, sconfiggendo, prima,gli angeli ribelli e, successivamente, debellando gli artefici delle distruzioni barbariche, che tanti morti seminarono anche a Gravina, tant’è che la città lo elesse suo protettore.
Quindi, la cola – cola segno di rinascita, di riscatto. E non può essere diversamente, soprattutto, se le leggere fasce cromatiche, che adornano questo manufatto, sono vivaci e non spente, improntate all’ottimismo, ai mesi primaverili dell’anno, quando la natura mostra la bellezza dei suoi colori.
Questi oggetti di terracotta vengono prodotti anche in altre zone della Puglia e della Basilicata, ma hanno altre forme e hanno altra valenza. Sono comunemente chiamati fischietti, tanto è vero che a Rutigliano, in provincia di Bari, ogni anno si svolge la sagra del fischietto.
La cola – cola, è vero, è un fischietto anomalo, non più in uso, ma bello da vedere, da mostrare, da regalare, da acquistare sulle bancarelle dei mercatini delle feste paesane o delle sagre di paese.
Un simbolo, un modello espressivo di arte paziente e povera, ma ricca di contenuti, di quell’arte intrinseca, specialistica e specializzata, pronta a colmare di speranze il presente, quasi sempre, senza domani.
Il testo di Visci ha racchiuso, immortalato, conservato e consacrato, nel breve volgere delle sue pagine, i tesori di un popolo, di una generazione che ha creduto al niente, al falso, all’immaginario costruito dalla sola arma della fantasia, costruendo, comunque, la verità di una esistenza quotidiana, fatta di stenti, di sacrifici, di credenze e credulità; di fede arroccata nell’intimo di un cuore, sia pure manifestata, a volte, in maniera volgare, espressiva, o non completamente tale, di sofferenze recondite e celate. I frutti della storia sono anche questi. I prodotti dell’umanità sono, purtroppo, anche questi, ove e quando la felicità tarda a manifestarsi in maniera evidente e palese, o traccia solo segmenti incomprensibili di seduzioni, tentazioni, lusinghe ed inganni.
L’autore della pubblicazione termina la sua fatica editoriale ponendosi l’interrogativo: quale futuro? Quale deve essere il destino da riservare a questi ornamentali soprammobili o antichi giocattoli manuali e non tecnologici? Non è una domanda d’azzardo e né retorica. Essa cela l’amarezza di chi non si rassegnerebbe tanto facilmente nel vedere sparire un pezzo di storia e di umanità che il misterioso oggetto ha racchiuso in se.
Forse, una speranza c’è. Quella della continuità produttiva dell’artigianale fischietto affidata ai giovani attraverso corsi di formazione professionale. E’ solo quello che resta per evitare che anche di essi si faccia illacrimata sepoltura.