Piccoli tesori nascosti nel centro storico di Lecce: un’edicola di San Francesco da Paola

di Giovanna Falco

A Lecce vecchia, in piazzetta Scipione da Summa, nelle vicinanze del monumentale palazzo Giaconìa, un piccolo giardino chiuso fa da scrigno a un’edicola votiva dedicata a San Francesco da Paola[1].

ph Giovanna Falco

Lo stato d’abbandono in cui versa lo slargo è evidente. Una certa devozione nei riguardi della sacra immagine si denota dall’infisso in alluminio montato per preservarla. L’edicola sembrerebbe posata su una trave in cemento, probabilmente il simulacro in passato si trovava in un altro luogo, tant’è vero che nel puntuale e bel lavoro di Giuseppe De Simone Lecce. Le edicole sacre del borgo antico[2], questa nicchia non è menzionata.

Non si ha, dunque, alcuna notizia di questo piccolo monumento, che nella sua cornice lapidea denota tratti stilistici tipicamente seicenteschi, mentre l’immagine del Santo presenta numerose lacune.

L’area in cui è ubicato il giardinetto, è limitrofa a un palazzo segnalato nell’elenco degli edifici e manufatti sottoposti a vincolo di tutela dal Piano Regolatore di Lecce, con il n. 120[3]. Questo edificio, ormai cadente, è in fase di rifacimento. Non si sa se il giardino sia di pertinenza di questo palazzo o ricade in un’altra particella catastale. Attualmente è chiuso da una grata in metallo, così come si denota dalla foto.

La vicinanza al complesso conventuale dei Minimi di San Francesco da Paola fa presupporre che potrebbe esserci un nesso tra l’edicola e questo pio luogo, voluto nel 1524 da Giovannella Maremonte, su disposizione testamentaria del marito Bernardo Peruzzi. All’epoca l’area dove ricadono giardino, chiesa e convento, era situata al di fuori dalle mura cittadine, realizzate a partire dal 1546 da Gian Giacomo dell’Acaya, quando questa porzione di campagna fu inglobata nel tessuto urbano di Lecce.

Qui, tra il complesso conventuale e il giardinetto con l’edicola, il vescovo di Castro Angelo Giaconia iniziò a costruire il monumentale palazzo, passato in proprietà al vescovo Daniele Vaccardo e poi all’illustre umanista Vittorio de’ Prioli. Costui nel 1606 lo abitava, così come denota la denominazione dell’isolato elencato in quell’anno nella parrocchia di Santa Maria della Porta[4]. Dopo la morte di Prioli, avvenuta nel 1619, continuò ad avere la stessa denominazione e nel 1631 l’isola di D. Vittorio è compresa, nella parrocchia della Madonna della Porta, tra quelle di Lup. Ant.o Costa e di S. Gioe (ovvero di San Giovanni Evangelista delle suore Benedettine)[5].

Non è dato sapere se il giardinetto ricadesse nell’isola di D. Vittorio o in quella di Costa, dove abitavano quarantatré nuclei familiari[6].

L’esistenza del palazzo, riportato tra i monumenti sottoposti a vincolo dal Piano Regolatore di Lecce, fa presupporre che il giardino fosse di pertinenza di una ricca dimora. La casa di Giovanni (o Giovanna) Paladini è la prima dell’isola di D. Vittorio, elencata con il numero 95. Leonardo e Gio. Filippo Prato abitavano nell’ultima casa dell’isola di Lup. Ant.o Costa, con la numerazione 94.

Naturalmente queste sono supposizioni che possono essere verificate solo portando a termine una puntuale ricerca.

Potrebbe datare l’opera un’approfondita analisi del dipinto nella nicchia seicentesca.Il Santo è rappresentato con la consueta iconografia: vestito di un saio, con il bastone in mano ed la barba bianca fluente; il motto dell’Ordine dei Minimi, Charitas, è posto nell’angolo in altro a sinistra.

ph Giovanna Falco

Nel centro storico di Lecce vi sono altre quattro edicole dedicate a San Francesco da Paola, datate dalla seconda metà dell’Ottocento in poi e commissionate da privati cittadini[7]. La loro fondazione denota una devozione popolare per il Santo taumaturgo, che continua a essere perpetuata a distanza di secoli dalla divulgazione del suo culto in città.

A pochi anni dalla Canonizzazione del frate, proclamata da papa Leone X nel 1519, Giovanna Maremonte, residente a Firenze, «mandò» a Lecce «Frà Giovanni Francese, ch’era stato compagno del detto San Francesco»[8] con il compito di edificare chiesa e convento dedicati a Santa Maria degli Angeli: era il 1524. La comunità dei Minimi fu rappresenta a Lecce anche dal Secondo Ordine, o Paolotte: nel 1542 Antonio e Gio. Pietro De Marco fondarono per le tre sorelle nubili il Convento di Santa Maria degli Angelilli detto l’Annunziata (attuale palazzo Carafa), dove le pie donne osservavano una «vita quaresimale co(n) molto rigore, & osserva(n)za»[9]. Il culto di San Francesco da Paola si diffuse a Lecce, così come denotano gli altari nelle chiese di Sant’Antonio della piazza (San Giuseppe), dov’è riposta una statua lignea policroma datata 1581; di Santa Croce, dov’è lo splendido altare commissionato dal barone di Sternatia Giovanni Cicala e realizzato da Francesco Antonio Zimbalo tra il 1614 e il 1615; nella chiesa di Sant’Anna, realizzata da Giuseppe Zimbalo tra il 1684 e il 1764.

Il culto di San Francesco da Paola riprese vigore nel 1857, quando Ferdinando IV concesse alla Confraternita Maria SS.ma presentata al Tempio (la cui sede sin dal 1688 si trova presso la chiesa di Santa Maria degli Angeli) di aggiungere il nome del Santo calabrese, ovvero Confraternita di Maria SS.ma presentata al Tempio e S. Francesco da Paola[10].

Il piccolo simulacro in piazzetta Scipione da Summa è parte della storia cultuale di San Francesco da Paola, meriterebbe, dunque, di essere studiato approfonditamente, per aggiungere un nuovo tassello alla storia dell’arte e della religione leccese.


[1]L’edicola è in un giardinetto ubicato, oltrepassando l’incrocio con vico dei Raynò, a destra.

[2]G. DE SIMONE, Lecce. Le edicole sacre del borgo antico, Lecce 1991.

[3]Cfr. Tavola 3.11 Edifici vincolati e proposti per il vincolo nel centro storico, del Documento Programmatico Preliminare al Piano Urbanistico Generale.

[4] Cfr. N. Vacca, Lecce nel ‘600. Rilievi topografici e demografici. I gonfaloni dei quattro «pittagi» che componevano la città, in “Rinascenza Salentina”, VII, 1939, 1, pp. 91-95.

[5] Cfr. P. DE LEO, Uno sconosciuto stato delle anime della città di Lecce del 1631, in “Almanacco Salentino 1968-69”, Cutrofiano 1968, pp. 57-66.

[6]L’isola di D. Vittorio nel 1631 ospitava trentaquattro famiglie, tra cui quella di Giovanni Paladini con Isabella e Maria Mattea una schiava e il cocchiere. Probabilmente vi fu un errore di trascrizione da parte dell’amanuense, perché Giovanni Paladini non dovrebbe essere altri che la vedova di Vittorio de’ Prioli, Giovanna, figlia di Luigi barone di Campi. Oltre a Paladini (residente nella 95a casa), vivevano in quest’isola Maria Donata Paladini con i fratelli Carlo e Titta (106a casa), Orazio della Lena (111a casa), D. Diego dello Giovanne (117a casa), e la famiglia di Angelo Marangio (123a casa).

[7] Cfr. G. DE SIMONE, op. cit., pp. 54-55, 78-79, 96-97, 126-127, 160-161.

[8] G. C. INFANTINO, Lecce sacra, Lecce 1634 (ed. anast. a cura e con introduzione di P. De Leo, Bologna 1979), p. 93.

[9] Ivi, p. 177.

[10] Cfr. G. DE SIMONE, op. cit., pp. 203-204; A. M. MORRONE, I pii sodalizi leccesi, Galatina 1986, pp. 92-95.

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5 Commenti a Piccoli tesori nascosti nel centro storico di Lecce: un’edicola di San Francesco da Paola

  1. Tra Cinque e Settecento il reimpiego di frammenti antichi all’interno di molti giardini pugliesi si configura essenzialmente come collezionismo antiquario: emblematiche a Lecce la residenza di Vittorio de’ Prioli e quella della famiglia Morisco.
    Nel corso dell’Ottocento la pratica diviene recupero di elementi architettonici e decorativi di epoca barocca, a seguito della pesante svalutazione ottocentesca nei confronti dell’architettura salentina del XVII-XVIII secolo. È quanto accade nel 1820 nell’Orto Botanico di Lecce, ma anche in diverse ville del territorio salentino, all’interno delle quali l’inserimento di frammenti barocchi rientra in una consuetudine che va consolidandosi nel corso del Novecento.

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