Lu rrumàtu…e altre zozzerie, antiche e moderne

di Armando Polito

1 Tu sai che c’è dietro la parola rrumatu?

2 Io so solamente che ti complichi la vita pure con la merda!

3 Io sto col mio padrone e perciò gli preparo altro materiale perché approfondisca i suoi studi!

 

Rrumàtu (nel Brindisino e nel Tarantino rummàtu) è il nome con cui si indica il letame. Il plurale (li rrumàte) è sinonimo, forte e pittoresco, di spazzatura. Voce derivata: rrumatisciàre=letamare. Per quanto riguarda l’etimologia Il Rohfs nel suo Vocabolario dei dialetti salentini si limita solo a dire che è “identico al toscano rumato=fango”.

Per la sua terminazione la voce ha tutta l’aria di essere il participio passato del verbo rumàre attestato a Lucugnano, Salve e Ugento (altre varianti nell’area salentina: riumàre, riumbàre, riumbàri, riumà, riummàre, reumbàre, rriumàri, rraumàre, rreumbàre) col significato di ruminare. Ma rumàre (con lo stesso significato) oltre che voce italiana obsoleta è anche forma regionale toscana dove assume il significato di rimescolare un liquido o un impasto; è dal latino ruma=gola.

È intuitivo che ruminare deriva da rumine, dal latino rumen, insieme con la variante rumis chiaramente connesso con ruma; nella  inesattezza anatomica degli antichi le tre voci potevano significare ora esofago, ora rumine, ora stomaco e, addirittura, poppa (di animale).

Ma torniamo a rumàre; la voce non è attestata nel latino classico ma in quello medioevale nel significato di allattare1. Si noterà come nel latino medioevale la voce denota la perdita per ruma (da cui inequivocabilmente rumàre deriva) di quell’ambiguità semantica già rilevata (anche se gravitante, comunque, nell’ambito dell’alimentazione).

Se ci fermiamo qui, però, l’empasse semantica tra rumàre=allattare e rrumàtu=letame appare insormontabile.

Ci accingiamo, perciò a percorrere un viaggio le cui tappe nessuno avrebbe immaginato prima di intraprenderlo.

In latino il lemma irrumàre indica il sesso orale attivo e irrumàtor chi (sempre attivamente) lo pratica e irrumàtio la stessa pratica.

Leggo nel Calonghi-Badellino2: “irrumàre (in e rumo), aliquem=insero…in os alterius [ficco…nella bocca di un altro]3, Catullo (ed unda irrumata, dell’acqua insozzata della piscina, Marziale 2, 70, 3”).4

Più pudico appare il Castiglioni-Mariotti: “irrumàre trattare impudicamente, Catullo, Marziale”5.

Siccome i documenti per me sono quelli che contano sono costretto a riportarli:
Catullo, Elegie, X, 9-13
Respondi, id quod erat, nihil neque ipsis
nunc praetoribus esse nec cohorti,
cur quisquam caput unctius referret,
praesertim quibus esset irrumator
praetor, nec faceret pili cohortem.

(Risposi, ed era la verità, che non c’era nulla per gli stessi pretori, nè per la coorte, perché qualcuno portasse la testa più leccata, specialmente quelli che avessero un pretore irrumatore e non stimassero un pelo la coorte).

XXI
Aureli, pater esuritionum,
non harum modo, sed quot aut fuerunt
aut sunt aut aliis erunt in annis,
pedicare cupis meos amores.

Nec clam: nam simul es, iocaris una,
haerens ad latus omnia experiris.
Frustra: nam insidias mihi instruentem
tangam te prior irrumatione.
Atque id si faceres satur, tacerem:

nunc ipsum id doleo, quod esurire
a temet puer et sitire discet.
Quare desine, dum licet pudico,
ne finem facias, sed irrumatus.

 

(Aurelio, padre degli appetiti, non di questi solo, ma di quanti o furono o sono o saranno negli altri anni, vuoi sodomizzare i miei amori. Né di nascosto: appena ci sei, scherzi insieme, attaccandoti al fianco tenti tutto. Invano: mentre mi macchini insidie ti toccherò per primo con una irrumazione. E se tu lo facessi sazio, tacerei: ora di questo proprio mi dolgo, che il ragazzo impara ad aver fame e sete da te. Perciò smetti, mentre ti è possibile da pudico, affinché tu non vi ponga fine, ma da irrumato).7

Marziale, Epigrammi, 2, 70, 3
Non vis in solio prius lavari
quemquam, Cotile; causa quae, nisi haec est,
undis ne fovearis irrumatis?
Primus te licet abluas: necesse est

Ante hic mentula, quam caput, lavetur.

 

(Tu, o Cotilo, non vuoi che nessuno si lavi nella vasca prima di te: qual è il motivo se non questo, che non vuoi lavarti in acque irrumate8? Ti è concesso di lavarti per primo: però bisogna che qui sia lavato il pene prima della testa).
Ancora più significative perché non filtrate da afflato più o meno poetico ma diretta voce del popolo sono le testimonianze che paradossalmente il Vesuvio ci ha conservato nei graffiti di Pompei seppellendola:

CIL IV, 1529
Ir(rumator) irrumator

(Irrumatore, irrumatore!)

CIL IV, 1931
Irrumabiliter

(Alla maniera di chi è abile nell’irrumazione)

CIL IV, 2277
Irrumo set V[3]K[3]AS

(Irrumo ma…)9

CIL IV, 4547
Ir(r)umo

(Irrumo)

CIL IV, 8790a
(Irru)mator(?)

(Irrumatore?)

CIL IV, 08790b
Va(le) (i)rrumato(r?)

(Salve, irrumatore!)

CIL IV, 10030
Malim me amici fellent quam inimici irrument

(Preferirei che gli amici mi succhiassero piuttosto che i nemici mi irrumassero)

CIL IV, 10232a
L(ucius) Habonius sauciat / irrumat Caesum / Felice(m)

(Lucio Abonio è odioso: irruma Ceso Felice).

I graffiti appena esaminati (che, tra quelli attinenti la sfera sessuale, sono tra i più pudichi…) denotano chiaramente, nonostante la naturalezza con cui nel mondo romano fossero vissute certe situazioni, la connotazione negativa della pratica in questione (soprattutto nella sua prospettiva passiva); a tutto questo si sottrae, nella sua asetticità pubblicitaria, solo il terzo. Emergono, insomma, anche in quei tempi, l’equazione sesso=cosa sporca, antesignana della cristiana, anzi cattolica, sesso=peccato.10

È evidente, allora, che rrumàtu, se ha questa nascita, la deve proprio alla traslazione allusiva dei tre significati già detti di ruma (rumine, stomaco, poppa) con ulteriore traslazione metaforica, è superfluo dire volgare o addirittura oscena, dal significato medioevale di allattare alla pratica dell’irrumazione. Può forse suscitare scandalo questa connessione che coinvolge una meravigliosa attività, purtroppo in disuso, che è alla base della vita; al di là degli insegnamenti di Freud, la nostra intelligenza, purtroppo, è in grado di fare cose (qualcuno le chiama perversioni) che le bestie non fanno o fanno per natura…

Ma le cose, a parziale riscatto, potrebbero stare diversamente. Me lo fa pensare lo stesso Rohlfs che alla voce rrumàtu, come ho detto, non rinvia a rumàre, da lui stesso registrato. Non credo che ciò sia dovuto all’ovvietà del rinvio, perciò mancato, quanto piuttosto al fatto che per l’insigne studioso era difficile conciliare l’idea del letame con quella del ruminare.

E allora? In soccorso può venirci la voce latina medioevale rumènta11: ”f.s. gen. Purgamenta [immondizie]…Statuta Placentiae lib. 4 fol. 45 recto: Nemini liceat projicere aquam vel Rumentas vel pulverem vel aliud turpe in civitate vel suburbiis a balcono vel fenestra…[a nessuno sia consentito di gettare acqua o immondizie o polvere o altra cosa sporca nella città o nei suburbi dal balcone o dalla finestra].

Immediatamente dopo è registrata, con lo stesso significato, la voce neutra rumèntum.

Esclusa la possibilità che rumènta/rumèntum possa essere dalla radice di rumàre (rum-)+il suffisso –entum (l’unico esempio nel latino classico è adsumèntum=toppa da adsùmere, verbo della terza coniugazione e non, come rumàre, della prima), bisogna pensare ad un suffisso, frequentissimo in latino, –mentum ed ipotizzare una derivazione dalla radice ru– di rùere=rimuovere+-mentum. Fonologia e semantica (la spazzatura è lo sporco rimosso) convalidano in tutta evidenza questa ipotesi.

Ma in filologia solo in pochi casi può essere posta la parola fine.

Ecco, allora, dopo il latino intervenire il greco rumma=sapone, lisciva (in Galeno sporcizia, sedimento sporco12), da rupto=pulire, a sua volta da rupào o rupòo=essere sporco, a sua volta da rupos o rupon=sporcizia.

Nulla impedisce di pensare che dal plurale di rumma (rùmmata) si sia sviluppato rrumàtu (le varianti rummàtu, riumbàre, riumbàri, riumbàre, riummàre, reumbàre, rreumbàre potrebbero essere le forme originali che hanno conservato, tutte con dissimilazione eccetto rummàtu e riummàre) la doppia m.

Proprio il plurale rrumàte (femminile) in contrapposizione al singolare rrumàtu (maschile) potrebbe denunziare, secondo me, la derivazione dal greco rùmmata (neutro plurale del citato rùmma) con scempiamento di m nella voce neretina e con normale spostamento dell’accento in questa e nelle altre.

Spero di non aver annoiato il comune lettore che abbia avuto la pazienza di seguirmi fin qui e che qualche addetto ai lavori13 non commenti questo mio lavoro con l’espressione: rrumàtu! Nel primo caso chiedo fin da ora scusa, nel secondo gradirei le motivazioni del giudizio, che, almeno per me, rimangono fondamentali per imparare.

E per chiudere con un’immagine allegra e pulita dirò che letame è dal latino laetàmen da laetàre=concimare, a sua volta da laetus=rigoglioso, gradito, allegro; a riprova del rapporto affettuoso che un tempo c’era con la terra e, di riflesso, con la Terra.

_____

1 Du Cange, Glossarium mediae et infimae Latinitatis, Favre, Niort, 1883, tomo VII, pag. 235: Ruma seu mamma alere (alimentare con la poppa o mammella).

2 Cito fedelmente, puntini di sospensione compresi. La traduzione della fraseologia in parentesi quadre, però, qui come nel testo cui fa riferimento la nota 10, è mia.

3 Anche i Romani, proprio come noi, usavano spesso queste espressioni volgari in senso metaforico e pure allora espressioni simili, per inflazione d’uso, perdevano gran parte della volgarità originaria della frase.

4 A proposito di “irrumare (in e rumo)” va detto che rumo qui è la prima persona singolare di un verbo rumàre che, come s’è detto, è attestato nel latino medioevale ma non in quello classico, tant’è che, se vado a cercarlo nello stesso vocabolario, non lo trovo.

5 Trovo scandalosa la genericità della definizione e che manchino i riferimenti specifici ai passi degli autori citati e assurdo che, in barba al rigore scientifico, vengano messe le mutande pure ai classici. Sorprendente, poi, mi appare il fatto che il Calonghi-Badellino, uscito almeno quindici anni prima del Castiglioni-Mariotti, riveli un puritanesimo meno spinto. Non è perciò per lo stesso peccato ma per evitare ogni volta la stessa circollocuzione che tradurrò irrumàre con irrumàre, irrumàtor con irrumatore e irrumàtio con irrumazione.

6 Credo che anche in un lavoro divulgativo, quale questo ha la sola pretesa di essere, le fonti vadano citate, non fosse altro che per rispetto del lettore che, per quanto non addetto ai lavori, ha il diritto di farsi una sua idea, anche perché non è detto che le interpretazioni “ufficiali” siano sempre quelle più vicine alla verità.

7 Mi rendo conto che la traduzione, per essere letterale, rischia di diventare pure ermetica: in sostanza qui Catullo rimprovera ad Aurelio il tentativo di sottrargli il giovane amante e minaccia di precederlo con un’irrumazione; poi lo invita a smettere perché è un morto di fame e non è giusto che il ragazzo ne faccia le spese; se non la smetterà, visto che è uno svergognato,  subirà la pena minacciata all’inizio.

8 Qui l’acqua è immaginata come la bocca che subisce l’irrumazione.

9 Probabilmente V costituisce la prima cifra indicante la tariffa e AS è abbreviazione di ASSES (l’asse era una moneta).

10 Le equazioni enunciate, si badi bene, allora come ora, valevano per lo più sul piano teorico, meno su quello concreto. Mi chiedo spesso, a tal proposito, se questo concetto del sesso si sarebbe sviluppato qualora la natura avesse progettato l’uomo con gli organi genitali, per dirne una, in fronte e non così vicini a quelli escretori.

11  Du Cange, op. cit. pag. 236.

12 Non deve meravigliare questo passaggio da un concetto (pulizia) al suo esatto contrario (sporcizia): la sporcizia qui è intesa come il risultato dell’avvenuta operazione di pulizia; anche in italiano mondezza (sia pure di basso uso) può significare tanto pulizia, purezza spirituale (dal latino mundìtia, da mundus=pulito) che (sia pure nell’uso centro-meridionale) spazzatura (secondo l’opinione corrente da immondizia per aferesi di im– che è dal prefisso privativo in-, ma potrebbe essersi verificato anche il passaggio concettuale di cui ho detto prima.

13 Non conosco altre proposte etimologiche se non quella di Antonio Garrisi (Dizionario leccese-italiano, Capone editore, Lecce, 1990): “latino rumatus incrociato con italiano grumato”. A parte rumatus (per il quale vale quanto fin qui ho detto), che bisogno c’era di mettere in campo l’incrocio, senza neppure la qualifica di probabile, con grumato?

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8 Commenti a Lu rrumàtu…e altre zozzerie, antiche e moderne

  1. ciò che apprezzo in particolare di Armando è il saper mettere insieme etimologia e poesia, poesia ( in questo caso “Carmina Latina”) e “rumate” come si dice a Gallipoli.
    Ciò che più gli invidio sono invecele “vallette” tutte belle esvettanti, anche da sedute.
    Buona domenica Armando. Tra pochi minuti ti penserò visitando il Kölner dom.

  2. In questo caso la “valletta” era mia moglie; dico era perché la foto utilizzata risale a qualche anno fa…e, se è per questo, anche quella della mia testa.

  3. Questo pezzo è la prova definitiva che a rovistare tra le rumate vi si può trovare di tutto, anche cose utilissime! Grande Armando ;)

  4. Segnalo un’altra possibile derivazione del termine latino “rumentum”:
    secondo l'”Etymological Dictionary of Latin and the Other Italic Languages” (*) questa voce deriva da “rumpo” = rompere, sciupare. Potrebbe quindi significare l’insieme dei rifiuti, sia le cose propriamente rotte che quelle genericamente sciupate.
    Fra gli elementi a favore, invece, della derivazione da “ruo” citerei il significato intransitivo “collassare, crollare” (da cui anche “ruina”?), quindi col senso di “insieme di cose sbriciolate, sbriciolatura”; o transitivo “far crollare, rovesciare” piu` che “rimuovere”. Sul Dizionario Latino di LeMonnier (che pure accredita la derivazione di “rumentum’ da “rumpo”) ci sono diversi esempi di uso di “ruo” in questo senso distruttivo.
    Un saluto, GFS

    (*) Michiel, DE VAAN. “Etymological Dictionary of Latin and the other Italic Languages.” (2008),
    Volume 7 of Leiden Indo-European etymological dictionary series, ISSN 1574-3586.

  5. Segnalo che in greco moderno (probabilmente anche in quello bizantino) rummato (e simili) trova un etimo in βρώμα, (pron: vròma) lordura, puzza; βρώμικος, (vròmicos) sporco, βρωμώ (vròmo) puzzare. Non ho sentito dire rummato e simili oltre il Salento, a parte i casi sopra citati in letteratura. Mi limito a constatare che dalle mie parti (Basilicata) letame è fumire, fumiro, che potrebbe derivare dal normanno e antico francese femier; il senso è sempre quello di qualcosa che crea fumo, o comunque vapore puzzolente (ciò che fa il letame in fermentazione, o quando è rivoltato). fumiro, fumire (che è termine presente anche in Sicilia) è il perfetto corrispondente di rummato…. Pare quasi che possiamo trovare rummato e simili solo oltre il Limitone dei greci, in area bizantina, e invece fumire, fumiro, dall’altra pare di quello che fu confine tra longobardi e bizantini per lungo tempo. A conferma di cio: se rummato avesse origine latina, non sarebbe limitato al Salento. Cordiali saluti, Pasquale Libutti

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