Le sepolture dei D’Amato, duchi di Seclì

Rettoria di Sant’Antonio di Padova (già Santa Maria degli Angeli).

 

Sepultus est in monasterium Sanctae Mariae Angelorum terrae Seclì

di Antonio Epifani

L’edificazione della chiesa e del convento di Santa Maria degli Angeli, oggi Sant’Antonio di Padova, in Seclì comportò una serie di trasformazioni sociali e culturali che ebbero una risonanza enorme nel piccolo centro di Terra d’Otranto. Dal ritorno dalla battaglia di Lepanto, Guido D’Amato e la moglie Giulia Mugia Spinelli vollero dedicare alla Vergine come voto per lo scampato pericolo di morte,  un luogo di culto lontano dal paese che poi sarà amministrato dalla comunità minoritica in seguito alla realizzazione del convento sempre su iniziativa dei coniugi D’Amato sul finire del 1500.

In questa sede quello che risulta importante notare e che è sconosciuto ai più è un fatto importante suffragato dai pochi ma preziosi documenti che si conservano nell’archivio parrocchiale di Seclì.

La cara e tanto frequentata chiesa di S. Antonio, che accoglie da secoli i fedeli e i devoti del Santo di Padova ospita le tombe dei personaggi che hanno fatto la storia del piccolo centro urbano di Seclì.

Dall’analisi dei documenti emerge che nel 1687 die undicesimo nono m. Decembris l’illustrissima donna D. Antonia de Acugna duchessa della terra di Seclì dopo aver ricevuto il Santo Viatico dai frati minori osservanti nel die trigesimo di questo mese fu sepolta nel convento di S. Maria degli Angeli. Antonia D’Acugna era la terza moglie del duca Antonio D’Amato e vedova di Cristoforo De Los Olivos grande consigliere militare. Il figlio Giuseppe De Los Olivos De Acugna morto all’età di sedici anni riposa nella Chiesa Matrice di Seclì.

In un altro documento del 1688 si legge che il die vigesimo m. Novembris l’illustrissimo Antonius de Amato et Acugna Dux huius Terrae Seclì, salì la sua Anima a Dio in piena comunione dopo aver ricevuto il Santo Viatico dal frate Vincenzo monaco Sancti Petri de Alcantara. Lo stesso duca fratello della Serva di Dio Suor Chiara fu sepolto in monasterio S. M. Angelorum. 

La chiesa dunque fu il luogo di sepoltura privilegiato dalla famiglia feudataria e questo emerge anche dalle sepolture non solo dei membri della famiglia D’Amato, ma anche dai feudatari Severino che oltre ad essere sepolti nel luogo suddetto, dotarono la chiesa e la statua di S. Antonio di pregevoli manifatture in argento fra le quali il Reliquiario del Santo dono del duca D. Antonio Maria Severino intorno al 1750, della corona in argento e del giglio sempre in argento trafugato nella seconda metà del 1900 e realizzato ex novo per devozione della comunità di Seclì lo scorso anno e benedetto alla presenza di sua Santità Papa Francesco in Vaticano il 17 maggio 2023.

Anche la duchessa Severino molto probabilmente Camilla Filomarino sepolta anch’essa nella chiesa di S. Antonio nell’anno Domini 1732, donò a Sant’Antonio una collana in oro ancora oggi conservata dalla locale Parrocchia. Lo stretto legame tra la chiesa del convento e i feudatari di Seclì è un legame non soltanto spirituale ma anche affettivo.

Nel 1705 nel giorno settimo del mese di giugno muore il duca Francesco Severino che sarà sepolto, dopo aver ricevuto l’estrema unzione e il Ss. Sacramento dall’Arciprete don Gaetano Tarallo, nel monastero di Santa Maria degli Angeli extra moenia.

L’analisi di altri fogli del libro dei morti oltre alla citata Duchessa Camilla Filomarino ci riporta anche la morte e la sepoltura del coniuge il duca Giulio Maria Severino che muore nel die vigesimo primo mensis Ianuarii 1752 e dopo aver ricevuto il Sacro Viatico nel die vigesimo secundo dello stesso mese fu sepolto in Conventus Sanctae Mariae Angelorum Fratibus Minores Observantes extra moenia. A Giulio Maria succedette Antonio Maria Severino alla cui morte avvenuta nel 1795 passò nelle mani del figlio Francesco Maria Severino nato dalla moglie Nicoletta Samuelli. Francesco Maria nel 1796 vendette il feudo di Seclì a don Liborio Rossi, ricco mercante d’olio gallipolino e proveniente da una ricca famiglia napoletana che in seguito all’accumulo di ricchezze acquisì una serie di feudi tra i quali Caprarica di Lecce, Neviano e la stessa Seclì. Con Nicola Rossi che sposò Oronza Carlino nacque Angiola Rossi andata in sposa nel 1853 a Giacomo Papaleo da Bagnolo. Anche questa famiglia ebbe una particolare dedizione per la chiesa del convento, tant’è che Angiola fece modellare la statua di Sant’Oronzo da Lecce, opera in cartapesta della seconda metà del 1800 che alla base porta il nome della committente. Sempre dall’analisi dell’archivio parrocchiale emerge la sepoltura nella chiesa di S. Antonio del barone Giacomo Papaleo morto nel 1883. Una lapide posta a destra del presbiterio di fianco alla porta che ci conduce nella piccola sacrestia della chiesa ci ricorda inoltre la sepoltura del barone Achille Papaleo. L’iscrizione riporta la seguente dicitura: “ Papaleo Achille nato a Gallipoli il 15 maggio 1861, qui riposa dal 16 ottobre 1879”.

Purtroppo i lavori effettuati nel 1960 hanno cancellato ogni traccia di queste antiche sepolture.

Archivio Parrocchiale di Seclì, Atto di morte e di sepoltura del Duca Antonio D’Amato.

 

A testimonianza rimangono le fonti d’archivio, alcune immagini d’epoca che ci permettono di notare la posizione delle botole che permettevano l’accesso nell’area sepolcrale sottostante lo stesso edificio sacro, ma anche un basamento in pietra leccese con piedi leonini databile alla prima metà del 1600 che faceva parte del cenotafio della famiglia D’Amato collocato nella zona presbiteriale a ridosso del pulpito così come due lastre marmoree conservate nella cantoria che molto probabilmente segnalavano le antiche e vetuste sepolture.

basamento con piedi leonini dell’antico cenotafio della famiglia D’Amato nella Rettoria di S. Antonio

 

La chiesa di Sant’Antonio, già Santa Maria degli Angeli è parte integrante della storia di Seclì.

Una chiesa tanto amata dal popolo secliota per la presenza del suo Santo per il quale nutre una devozione profonda ma soprattutto una chiesa ricca di testimonianze che deve trasmettere il profumo della particolare storia locale con un’attenzione rivolta anche al fatto che la suddetta chiesa è stata frequentata da personalità del calibro di Suor Chiara D’Amato e del Beato Francesco da Seclì uomo dotto, grande studioso e uno dei più celebri e grandi scrittori salentini del 1600 autore del Viaggio a Gerusalemme e non a caso dell’Opuscolo in Lode di Sant’Antonio di Padova.

 

Bibliografia

 1 Archivio Parrocchiale di Seclì, Liber Defuncti  1600, 1700, 1800

2 ANTONIO EPIFANI,“Omnia Vincit Amor” Il Palazzo Ducale di Seclì nel contesto delle residenze nobiliari. Tesi di laurea triennale in storia dell’Architettura. Relatori Chiar.mo VINCENZO CAZZATO  e Chiar.mo FRANCESCO DEL SOLE.

3 MARCELLO GABALLO Genealogia dei D’Amato duchi di Seclì la residenza di Francesco D’Amato nel monastero neretino di S. Chiara, in VITTORIO ZACCHINO, Seclì almanacco di storia arte e società, 2003-2004.

4 ROBERTO SPAVENTA Successioni feudali a Seclì dal XIII  al XIX secolo, in Fondazione Terra d’Otranto, il delfino e la mezzaluna, luglio 2012.

Seclì e un suo figlio dimenticato del secolo XVII

di Armando Polito

La vita è molto strana. È toccato proprio a me, laico fino a tal punto da considerare tutte le religioni come favolette consolatorie e illusioni nemmeno tanto pie, viste le guerre che ancora oggi scatenano, di imbattermi casualmente nel personaggio genericamente evocato dal titolo ma che ora specifico appartenere alla sfera ecclesiastica. Nello sfruttare per ricerche di altro tipo le immense risorse della rete ho acquisito un dato che ho ritenuto meritevole di essere partecipato ad altri. Forse qualcuno ha colto in quel dimenticato del titolo una nota di rimprovero. Non è così, ho solo voluto approfittare di una fortuita quanto fortunata circostanza per colmare una lacuna  che nella ricostruzione del passato è sovente legata alla maggiore o minore importanza, reale o presunta, attribuita ad un personaggio, concetto che ribadirò nella domanda finale.

Se, infatti, sono ben note le figure di altri figli di Seclì del XVII secolo, quali Padre Francesco e Suor Chiara1, di Padre Marcellino nulla sapremmo se non fosse possibile leggere la sua biografia in un libro  del 17322, che è, credo, l’unica fonte per chi abbia voglia e tempo di saperne di più. Anzi, alla riproduzione del frontespizio faccio seguire quella delle poche pagine coinvolte (184-186).

Abbastanza scontato è il repertorio di dettagli che ne esaltano le virtù e, purtroppo, l’unica data riportata è quella della morte avvenuta il 26 ottobre 1702 all’età di 65 anni, dato che consente di collocarne la nascita al 1637.  ll titolo Venerabile Servo di Dio che si legge all’inizio fa pensare ad un processo canonico di beatificazione già avviato. Se è legittimo pensare che alla data del libro non si fosse concluso, sarebbe interessante conoscerne l’esito. A costo di essere accusato di maliziose allusioni chiudo lasciando al lettore l’adesione, la contestazione o l’indifferenza che suscita la domanda: se Padre Marcellino avesse pubblicato qualcosa, avrebbe avuto la notorietà di Padre Francesco e, se fosse disceso da nobili lombi, la sua biografia avrebbe avuto l’estensione di quella di Suor Chiara, scritta in ben quattro tomi (di seguito il frontespizio del primo) da Francesco Maria Severino (de’ Duchi di Seclì, Conte di Tamarano, come si legge nella dedica)?

_____________

1 Il primo (1585-1672), teologo, fu autore molto prolifico:

Paragone spirituale, Giacomo Gaidone, Bari 1634

Viaggio di Gierusalemme nel quale si have minuta, e distinta notitia delli Santi Luoghi, Pietro Micheli, Lecce, 1639

Discorso, e conchiusione, che la religione futura de’ catenati profetizzata dal padre frat’Ugone da Dina, e la congregatione futura de’ Cruciferi di Giesu Cristo, profetizzata da Santo Francesco da Paola, Pietro Micheli, Lecce, 1670

Regola e vita, che denno osseruare li fratelli della congregatione de’ catenati nouellamente eretta nella diuotissima citta di Gallipoli, Pietro Micheli, Lecce, 1670

Paradiso terrestre del molto reuerendo padre fra Francesco da Secli. Trattato breue, non men dottrinale, che curioso, nel quale si proua con autorita, che detto luogo durera sino al giorno del Giudicio, e che hoggi e nell’istesso essere, mel quale in principio fu piantato dal mistico agricoltore, Dio, Pietro Micheli, Lecce, 1671

Suor Chiara (1618-1693), al secolo Isabella D’Amato, era figlia del duca Francesco e della marchesa Caterina D’Acugno, feudatari di Seclì e Temerano.

2 Arcangelo da Montesarchio, Cronistoria della riformata provincia di S. Angiolo in Puglia, Mosca, Napoli, 1732.

I dipinti di suor Chiara D’Amato e Agnese Acquaviva tornano restaurati alle Clarisse di Nardò

Questa sera, alle ore 18, nella “sala dell’accoglienza” del monastero di Santa Chiara di Nardò, avverrà la consegna di due dipinti restaurati a cura del Lions Club di Nardò, su iniziativa della presidente nell’anno sociale 2018-19 Prof.ssa Maria Rosaria Manieri,  provenienti dalla stessa struttura.

Le tele, dipinte ad olio, raffigurano due importanti figure del monastero clariano neritino, la Serva di Dio Suor Chiara di Gesù, al secolo Isabella D’Amato (1618-1693), e Suor Agnese Acquaviva d’Aragona. Della prima, figlia di Francesco dei duchi di Seclì, da qualche anno gli approfonditi studi hanno delineato le virtù e le qualità umane e religiose, anche per un tentativo di procedere nel complesso e indaginoso riconoscimento della sua beatitudine. Sulla seconda invece sono pochi coloro che se ne sono interessati, pur rappresentando una forte personalità e capace di notevole incisione sulla vita del monastero, del quale fu badessa per molti decenni. Figlia del marchese di Trepuzzi Diego Acquaviva, nata a Melpignano nel 1653, professa nel 1670 e deceduta nel 1748, sotto il suo governo contribuì notevolmente a definire l’architettura e l’arte della chiesa e del monastero, chiamando diversi artisti, tra cui pittori, architetti, scultori, marmorari, stuccatori e scalpellini, che contribuirono alla magnificenza artistica dell’edificio, tra i più belli presenti in città, i cui lavori iniziarono nel 1692 per concludersi nel 1702, anno di consacrazione da parte del vescovo Orazio Fortunato (1678-1707), come ricorda l’epigrafe posta sulla controfacciata.

Si tratta delle uniche due raffigurazioni esistenti dei due personaggi, sebbene quella di Suor Chiara sia stata replicata in diverse occasioni e nelle varie pubblicazioni che la riguardano.

Le operazioni di restauro conservativo, con le opportune integrazioni cromatiche,  hanno consentito agli operatori di recuperare gli antichi ritratti, offuscati da depositi e ridipinture che ne alteravano la lettura.

Entrambe di epoca settecentesca, di autore ignoto di ambio meridionale, quella raffigurante Suor Chiara misura 106,5 cm x 79 cm. Ritrae la monaca con l’abito dell’Ordine, a mezzo busto, con il soggolo bianco che incornicia il volto, il cui sguardo è rivolto verso il Crocefisso posizionato sul tavolo, in atto di contemplazione.

L’epigrafe sottostante recita: EF[F]IG[IE] [D]I SUOR [C]HI[AR]A D’AMATO DI S. CATERINA DI SIENA RELIGIOSA [D]EL MONI[STERO] [DI] [S.] CHIAR[A] [DI] [NARDO’] [N]ACQUE [A DI’] 14 [LUGL]IO L’A[N]NO 161[8] [V]ISSE [I]N GRANDE VENERAZIONE MORI’ DI ANNI 75 IN CONCETTO DI SANT[I]TA’ L’ANNO 1693 [DEI] [DUCHI] DI SECLI’.

La tela con Suor Agnese la ritrae nella sua maturità per tre quarti, con l’abito clariano, con il capo leggermente inclinato e le mani incrociate sul petto nell’atto di abbracciare il crocifisso.

Anche questa contiene un’epigrafe che la definisce “De Conti di Nardò… e morì in concetto di santità nel 1748”; misura 101,5 cm x 77,5 cm.

 

Libri/ La mistica Chiara d’Amato da Seclì

La mistica Chiara d’Amato da Seclì.

Modi e forme del vivere in clausura nel Seicento barocco

di Vincenza Musardo Talò   

Nell’immaginario collettivo, la clausura – da sempre campo fertile della mistica, quasi luogo liminale tra immanenza e trascendenza – evoca suggestive immagini di figure di donne antiche, uscite dal mondo, delle sepolte vive, come faceva intendere il rito della professione dei voti monastici, precedente il Vaticano II. E si ignora, forse, che la monaca claustrale è una donna di Dio, è sponsa Christi, è una vergine che vive come fonte sigillata nell’orto interclusus che è il monastero, secondo una scelta di vita (libera o, a volte, nei secolo scorsi, forzata), nell’ideale cammino della perfezione spirituale, quotidianamente impegnata in un apostolato fuori dal mondo, ma per il mondo. Non è facile, dunque, calarsi nel variegato universo del monachesimo femminile e soprattutto nel significato di quegli aspetti più reconditi, entro cui si sommano la sofferenza eroica e la fatica di un’anima nel farsi santa, nel tessere la geografia mistica della sua anima, cercando l’inesprimibile e l’intima vicinanza dell’infinito. Il monastero, il coro, la cella si fanno, allora, dimensioni privilegiate dello spirito, “luoghi” entro cui la religiosa cerca di accorciare le distanze tra il sè e il Cristo suo sposo.

Tanto, perché il pregevole, quanto scrupoloso e severo studio di C. De Donno sulla mistica figura di Chiara d’Amato da Seclì, claustrale vissuta nel secolo XVII, tra le raccolte e antiche mura del monastero di S. Chiara di Nardò, ripropone all’attenzione della storiografia agiografica il topos delle religiose estatiche in età moderna. In tal senso, il ritratto di questa mulier religiosa, così come delineato dall’Autore, ben si attaglia per essere collocato all’interno delle

Suor Chiara D’Amato dei duchi di Seclì

di Raimondo Rodia
Seclì, chiesetta annessa all’ex convento francescano

Nella seconda metà del 500 (1550) divennero feudatari di Seclì con il titolo di duchi i D’Amato, nobili spagnoli venuti in Italia al seguito degli aragonesi, padroni dell’Italia meridionale. Con la famiglia D’Amato Seclì visse un periodo di sviluppo e benessere, trasformandosi da antica fortezza in residenza signorile, “la fortezza diventa palazzo”.

Del primo duca si hanno poche notizie. Il suo successore, Guido, fu un uomo coraggioso e colto. Partecipò alla battaglia di Lepanto, dove la flotta cristiana inflisse una durissima sconfitta alla flotta turca. Tornato nel suo feudo fece costruire il convento dei frati minori osservanti con l’annessa chiesa dedicata alla Madonna degli Angeli. Diede inizio alla costruzione del palazzo feudale ed ingrandì la chiesa matrice dedicata a S. Maria delle Grazie. Verso il 1610 a Guido successe Ottavio e a questi, verso il 1615 il figlio Francesco. Nel 1647, quando il popolo si ribellò alle numerose imposte dei signori spagnoli (rivolta di Masaniello a Napoli), l’ultimo dei D’Amato, Antonio, fu coinvolto in un episodio di rivolta popolare scoppiata nel Salento contro i signori locali. A seguito della rivolta scoppiata a Nardò, il duca neretino fece imprigionare don Antonio Bonsegna, alleato dei rivoltosi. II popolo neretino allora per ottenere la liberazione del Bonsegna mandò due frati francescani, del convento di Sant’Antonio da Padova di Nardò, dal barone di Seclì, Antonio D’Amato, minacciandolo che avrebbero sequestrato e poi bruciato la sorella Suor Chiara, se non avesse convinto il duca di Nardò, suo cugino, a rilasciare il Bonsegna. Questa rivolta ebbe fine con la liberazione del Bonsegna. Antonio era fratello di Suor Chiara, al secolo Isabella D’Amato duchessa di Seclì nata il 14 marzo 1618 e morta a Nardò il 7 luglio 1693, figlia del duca Francesco.
Isabella crebbe a Seclì nel palazzo paterno segnalandosi, fin dalla prima infanzia, per dolcezza, pietà e semplicità. Decisivi per la sua formazione furono i rapporti con i frati minori osservanti del locale convento di S. Antonio, dai quali apprese la narrazione degli eroici martìri subiti dai missionari francescani. A dieci anni la bambina aveva già deciso di dedicare la propria vita a Cristo e, di giorno in giorno, rafforzava il suo ardore cristiano e la sua spiritualità, che accompagnava con digiuni rigorosi e severe pene corporali. Trascorreva la sua giornata raccogliendosi in preghiera nella cappella di famiglia dove ebbe l’apparizione della Madonna. Era vestita di bianco e aveva una collana d’oro. Da allora le visioni non si contarono più.
Nel 1636, all’età di 18 anni, Isabella entrava nello storico monastero di S. Chiara a Nardò insieme alla sorella minore Giovanna. Dodici anni più tardi, il 10 agosto 1648, ella poteva finalmente prendere i voti con il nome di Suor Chiara. Ispirandosi a S. Caterina da Siena di cui assume il nome, Suor Chiara conduce la sua vita di clarissa all’interno della comunità monastica neretina, in preghiere, veglie penitenziali, autoflagellazioni, ratti, deliqui, bassi sfaccendamenti a favore delle consorelle, febbri a rischio mortale, e insperate guarigioni. Le sue estasi, aggiungendosi a costanti digiuni, le causavano forti debilitazioni e spossatezze che la gettavano solitamente in uno stato di profonda prostrazione. Esse arrivavano improvvise, “alle volte con il boccone in bocca”, e suor Chiara scoloriva e impietriva per ore, ridestandosi solamente quando la superiora la richiamava all’obbedienza.
Seclì, statua della Vergine conservata nella chiesetta

Durante l’estasi Suor Chiara si assentava dal mondo e senza rendersene conto, veniva assorbita completamente dalle visioni in cui si immergeva la sua mente. Talvolta mentre era in trance manifestava straordinarie qualità divinatorie e profetiche che le permettevano di vedere in anticipo eventi anche personali, come la sua stessa morte, in ogni dettaglio. Ma anche vicende fuori della sua portata relative a persone che non conosceva. Quelle estasi non di rado si accompagnavano alla levitazione, esattamente come succedeva al conterraneo San Giuseppe da Copertino. Ad una di quelle estasi fu presente il Cardinale Vincenzo Maria Orsini, il futuro Papa Benedetto XIII, nel corso di una sua visita a Nardò all’amico vescovo Orazio Fortunato.

Suor Chiara morì martedì 7 luglio 1693, dopo aver ricevuto l’estrema unzione e la benedizione papale “in articulo mortis” dal vescovo. Si aprì subito il processo di beatificazione che purtroppo non fu mai concluso. In una visione a Suor Chiara le appariva Gesù con due cuori nelle mani, uno era di carne, l’altro era di materiale lucente come il cristallo. Suor Chiara diceva di non avere il cuore perché le era stato tolto da Gesù ricevendo il suo che era lucente come il cristallo.
Erano trascorsi sette anni dalla morte di Suor Chiara ed il vescovo Mons. Orazio Fortunato ordinò la traslazione della salma dalla cripta alla sepoltura comune delle monache. Il vicario Orazio Giocoli, ricordandosi della confessione di Suor Chiara, volle accertarsi se tutto ciò fosse vero. Ordinò al medico De Pandis di aprire il petto e ricercare il cuore. Tutti gli organi erano al loro posto, il cuore non c’era.
Dopo la sua morte si diede inizio al processo di beatificazione, avendo Suor Chiara vissuto tutta la vita dedicandosi interamente a Dio e al prossimo e avendo compiuto numerosi miracoli. Si dice che qualche giorno dopo la sua morte, non avendo della defunta alcuna immagine, le consorelle decisero di riesumare il cadavere, conservato nella cripta del convento per far eseguire ad un pittore il ritratto.
Erano trascorsi oltre 8 giorni dalla morte, eppure il cadavere, estratto dal sepolcro, non era rigido, non presentava il “rigor mortis”, anzi il corpo si prestava facilmente ai movimenti che le suore gli facevano fare per metterlo seduto sulla sedia della cella, davanti al tavolo in adorazione del crocifisso, per il ritratto.
Quando il pittore cercò di mettere in una posizione più corretta il volto di Suor Chiara, questo si ritrasse quasi disapprovando di essere toccato dalle mani di un uomo. Fatto il ritratto, il processo di beatificazione ebbe inizio. I prelati incaricati per il processo dovevano vedere il corpo della suora, per questo si decise di riesumare nuovamente il cadavere di Suor Chiara. Ma aperto il sarcofago si vide, con grande stupore, che le spoglie di Isabella D’amato erano sparite e non avendole più trovate il processo di beatificazione non potette procedere.
Questo mistero fu spiegato solo molto tempo dopo, quando una suora del convento, in fin di vita, disse che Suor Chiara era stata sepolta dalle consorelle, dopo la riesumazione, in un luogo nascosto che sarebbe stato individuato dal ritrovamento di una lapide con il nome della defunta e la data della sua morte. Ma la lapide descritta dalla suora non si è ancora trovata.
Ancora oggi nel ristrutturato castello di Seclì, oggi di proprietà comunale, in quella che era la cappella di famiglia c’è come una macchia, sembra quasi di umido, accanto alla finestra, un ombra inginocchiata che non trova pace.
Molte storielle di fantasmi vengon raccontate sull’austero castello di Seclì ieri della nobile famiglia d’Amato ed oggi tornato a far parlare di sè.

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