Coltivazione di ulivi tra Andalusia e Terra d’Otranto in un importante studio accademico

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Transizione socio-ecologica dell’oliveto nel lungo periodo

in Italia e Spagna (1750-2010)[1]

 di Gianpiero Colomba

In questo articolo cerchiamo di spiegare brevemente il livello di multifunzionalità e di produzione dell’oliveto, ovvero la sua resa agronomica, e di ricostruire l’evoluzione di alcuni indicatori biofisici basati sulla proposta metodologica del metabolismo agrario, come per esempio l’indicatore di efficienza energetica “ERoEI” (Energy Returned on Energy Invested)). Lo scopo principale è quello di analizzare le dinamiche di sostenibilità storica della coltivazione dell’oliveto, con l’obiettivo finale di ottenere insegnamenti utili per individuare gestioni efficienti nel presente.

Il contesto storico della ricerca, parte dell’epoca in cui la base energetica era quasi esclusivamente solare e arriva ai giorni nostri, descrivendo la transizione socio-metabolica industriale quando, per la prima volta nell’agricoltura, ebbe luogo l’arrivo a grande scala dei combustibili fossili e dei fertilizzanti chimici.

La maggior parte degli indicatori agronomici e ambientali, si riferiscono alla provincia di Cordova in Andalusia, che oggi rappresenta la regione leader al mondo in quanto a superfici investite a oliveto e alla provincia storica di Terra d’Otranto che lo fu nel XVIII° secolo e gran parte del XIX°.

Abbiamo cercato di dare una risposta al come fu possibile che in Italia si riuscì a “sostenere” un’alta densità di popolazione in un contesto di agricoltura «organica avanzata» (Wrigley, 1988), e in condizioni agro-climatiche simili a quelle spagnole. Per pratiche agrarie migliori o più intensive? O attuando pratiche insostenibili per lungo tempo? Inoltre, quale fu la causa della forte caduta della produttività in Italia agli inizi del XX° secolo?

Analizzando la porzione di terra utile per abitante in Terra d’Otranto nel 1880, si calcola che vi era una disponibilità teorica di 1,3 ettari (superficie territoriale / abitanti), mentre in Cordova di 3,6 ettari per abitante. Mezzo secolo dopo, nel 1930, questa proporzione nella provincia del sud della Spagna era di 2,1 ettari, all’incirca uguale alla quota che si calcola in Terra d’Otranto nel 1809, più di un secolo prima. Analogo discorso se consideriamo la porzione di terra coltivabile per abitante, con 1,0 e 1,9 ettari rispettivamente nel 1880. Si ricorda che il limite per il sostentamento di una comunità in epoca pre-industriale era all’incirca fissato in 1,5 / 2,0 ettari per abitante (Malanima, 1995), per cui in Terra d’Otranto questo limite lo si era superato già a partire dagli inizi del secolo XIX. Completare il sostentamento in queste situazioni richiese evidentemente delle strategie di “risparmio del suolo” (Kander et al., 2014) e l’oliveto ne fu un esempio paradigmatico, soprattutto in Italia.

Per quel che concerne l’efficienza, abbiamo stimato gli input applicati all’oliveto, tanto a livello tradizionale (lavoro umano e animale, concimi, ecc.) come a livello attuale (fertilizzanti, trattamenti, macchinari, ecc.) e gli output (produzione di olive, legna, ecc.) considerando la materia secca e traducendo il tutto in unità di misura energetica (Joule).

Le stime che riguardano il territorio salentino, sono l’analisi di libri contabili privati di fine secolo XVIII e di gran parte del XIX, relativi alla conduzione di alcuni oliveti nel territorio di Poggiardo e Tricase (Le), mentre per l’attualità attraverso interviste a esperti e agronomi condotte nell’anno 2016 sul territorio leccese.

La grande espansione dell’oliveto nel mediterraneo è avvenuta in epoca contemporanea e Italia e Spagna sono stati i paesi di maggiore produzione di olio di oliva nel mondo. Valga un dato per descrivere l’importanza dei due paesi nel contesto mondiale: durante il quinquennio 1903/07, agli inizi quindi del XX° secolo, l’Italia produceva 226.000 tonnellate di olio che equivaleva al 40% della produzione mondiale e la Spagna, secondo produttore, con 189.000 ne produceva il 34%.

Oggigiorno, insieme, questi due paesi producono il 63% della produzione mondiale, con l’Italia che produce il 18% dell’olio mondiale, mentre la Spagna il 45%. Pur tuttavia, i principali risultati della ricerca mostrano che Italia e Spagna hanno avuto specifiche e distinte evoluzioni.

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Nel caso dell’oliveto italiano, si osserva un livello intensivo che possiamo definire impropriamente “industriale” già alla fine del secolo XVIII° e per gran parte del XIX° rispetto allo spagnolo, il quale si poteva considerare con una vocazione più “contadina”. L’oliveto italiano, infatti, dedicava una parte maggiore della sua produzione di olio per il mercato e l’esportazione. Alla fine del secolo XIX° poi, si ebbe un’inversione con l’Italia che risentì maggiormente della crisi di fine secolo rallentando la sua crescita e la sua produttività. In questo stesso periodo, la Spagna iniziò una vera e propria “età di oro” che le permise di superare l’Italia in quanto a superfici e produzioni, diventando paese produttore leader indiscusso. L’importante transizione tra Italia e Spagna, da un punto di vista commerciale e produttivo, si può riassumere in questi numeri: tra i quinquenni 1871/75 e 1901/05, quindi nell’ultimo quarto di XIX° secolo, in Italia le esportazioni di olio caddero da 70.400 tonnellate a 32.200, mentre in Spagna passarono da 23.500 a 43.400.

Il livello produttivo medio nel sud d’Italia a metà del secolo XVIII° (11,3 quintali/ettaro), era maggiore di quello del sud della Spagna (6,0 q./et.). Ipotizziamo quindi che in Italia, all’interno di una “economia organica” e in condizioni agro-climatiche simili, l’oliveto richiedeva un maggior livello di fertilizzazione o più in generale di input esterni, per soddisfare la sua vocazione “industriale”. Successivamente, agli albori dell’era pre-industriale tra il 1880 y 1930, registriamo una rilevante caduta della produttività in Terra d’Otranto pari al 25% (da 13,5 a 10,1 q./et.). La rivoluzione verde, infine, permise un esponenziale aumento delle rese agrarie le quali, in condizioni analoghe in quanto ad accesso a energie fossili tendono a convergere, raggiungendo una produzione pari a circa 34 q./et.. Nell’attualità, per ogni 10 olive prodotte nel mondo 1 arriva da una di queste due province del Mediterraneo.

 

Produzione di olive nell’oliveto specializzato. (Quintali / ettaro / anno).

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L’aumento della quota di suolo dedicata alla coltivazione dell’olivo si comprende, da un lato per la grande domanda di olio che proveniva dall’estero dando luogo quindi a una spiegazione di tipo «monetarista» e dall’altro venne determinata dalla capacità di somministrare una molteplicità di beni fondamentali per le comunità e per il sostentamento familiare, spiegazione quest’ultima, legata alla “multifunzionalità” dell’oliveto.

La legna prodotta rappresentava la fonte più importante di approvvigionamento energetico. Le foglie dell’olivo erano un eccellente alimento per il bestiame; la sansa vergine si usava per fertilizzare, come combustibile, per alimentare il bestiame e, se trattata con solfuro, si usava per ricavarne una supplementare quota di olio; la sansa esausta mescolata con la melassa, era un ottimo alimento per cavalli e maiali; l’acqua di vegetazione si usava come fertilizzante e come disinfettante per le radici delle piante e per la produzione di alcol; e il residuo della “morchia” era utile per la fabbricazione del sapone.

Se consideriamo la legna prodotta con la potatura, secondo una recente stima (Colomba, 2013), intorno al 1870 in Terra d’Otranto, c’era una disponibilità teorica di 3,2 quintali di legna di olivo pro-capite/anno. Se si considera che in Italia la necessità di legna pro-capite/giorno era minore di 1 chilo (Malanima, 1995), stimiamo per il sud d’Italia, con temperature meno rigide, un fabbisogno pari a ca. 3 quintali pro-capite. Tutto ciò ci fa pensare che prima dell’arrivo dei combustibili fossili la legna d’olivo fosse indispensabile da un punto di vista energetico, giacché in Terra d’Otranto era molto scarsa la quota di terra forestale (appena il 16,5% dell’intero territorio provinciale al 1930).

Abbiamo analizzato le possibili cause della crisi produttiva di fine secolo XIX° da un punto di vista energetico e non solo commerciale, studiando le relazioni tra il maggiore livello produttivo verificatosi in Italia tradizionalmente e l’efficienza e quindi la sostenibilità dell’oliveto. Abbiamo stimato innanzitutto la quantità di energia applicata al suolo in epoche distinte. La variabile è stata contabilizzata in ore di lavoro (umano e animale) per ettaro. Per esempio, si è calcolato che intorno al 1750 in Terra d’Otranto si impiegavano, mediamente, 368 ore/ettaro/anno (equivalenti a 345 MJ) per lavorare la terra (questo lavoro spesso includeva anche il sovescio fatto a zappa) e occorrevano 27,6 ore per arare con una coppia di buoi. Inoltre, la raccolta manuale prevedeva un dispendio di 276,2 ore. Nell’attualità si dedicano, in media, appena 2,9 ore di lavoro umano per la gestione del suolo e 96 ore per la raccolta.

Abbiamo quindi calcolato l’indicatore di efficienza energetica, che rapporta output a input come descritto in metodologia.

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Evoluzione storica dell’efficienza dell’oliveto. (ERoEI; Otput/Input).

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La storia descrive una caduta continua di questo indicatore dal secolo XVIII° fino ai giorni nostri. Nel caso italiano è passato da 6,6 a 2,6 (efficienza più bassa) mentre nel caso spagnolo da 9,6 (efficienza più alta) a 3,1. Questo significa che la produzione, seppur in crescita, è aumentata a un ritmo inferiore rispetto agli input esterni, disegnando così un processo continuo di perdita di efficienza.

L’agro-ecosistema di Terra d’Otranto, necessitava tradizionalmente più energia di quello di Cordova, generando così uno svantaggio ecologico in ottica comparativa. Si entrò in una sorta di rendimento decrescente in prospettiva energetica, mentre nel caso di Cordova si aveva un oliveto al quale, aggiungendo poca energia addizionale si ottenevano maggiori ritorni. In Terra d’Otranto bisognava investire maggiori risorse per ottenere la stessa quantità di prodotto. Non fu solo, quindi, una mera questione di mercato e prezzi bassi del prodotto olio con conseguente abbandono di coltivazioni non più redditizie, ma un collasso socio-ecologico mediato da rendimenti decrescenti nel sistema produttivo energetico e di nutrienti.

Infine, la transizione descritta ha generato dei problemi all’agro-ecosistema oliveto che in estrema sintesi si possono descrivere così: caduta di efficienza energetica, recente incremento delle emissioni di CO2 e «sovra-fertilizzazione» di Azoto con la conseguente contaminazione da nitrato. Nell’attualità, infatti, nell’oliveto industrializzato si fertilizza con più N di quello che sarebbe necessario, creando un surplus stimato in circa 74 kg/et. di N nel caso di Terra d’Otranto mentre, al contrario, nel 1880 si stima un deficit di quasi 20 kg/et. Questa importante coltivazione che caratterizza così fortemente il paesaggio ha smesso di essere un serbatoio di carbonio, per diventare un problema per il cambiamento climatico.

 

ph Mauro Minutello
ph Mauro Minutello

 

Nota biografica

Colomba Gianpiero, vive attualmente nella città di Firenze e ha terminato un dottorato di ricerca presso l’Università “Pablo de Olavide” di Siviglia, il cui titolo è: “L’Europa, il mondo mediterraneo e la sua diffusione atlantica. Metodi e teorie per la ricerca storica”. Si è avvalso della direzione di tesi dei professori Manuel González de Molina e Juan Infante Amate.

Dall’inizio del 2011 fa parte del gruppo di lavoro del “Laboratorio di Storia degli Agroecosistemi” dell’Università UPO di Siviglia. Durante questi anni ha illustrato i principali risultati della sua ricerca in vari forum accademici (UGR, Granada 2012; UEX, Badajoz 2013; AHC, Madrid 2013; SISS, Firenze 2017), presentando lavori inerenti alla storia ambientale e al mondo rurale.Il 7 settembre 2017 ha raggiunto il punteggio massimo difendendo la Tesi dal titolo: “La transizione socio-ecologica dell’oliveto nel lungo periodo. Uno studio comparato tra il sud d’Italia e il sud della Spagna. (1750/2010)”. La ricerca descrive la storia della grande espansione dell’oliveto nel Mediterraneo negli ultimi due secoli e mezzo da una prospettiva socio-ecologica.Il contributo di questo lavoro è stato quello di stimare inediti dati riferiti alla storica provincia di Terra d’Otranto (Sud Italia), presentando i dati relativi all’utilizzo del suolo, alla produzione e alla sostenibilità agricola dell’uliveto, attraverso uno studio in cui sono presenti metodologie trans-disciplinari.

Indirizzo mail: gianpiero.colomba@gmail.com

 

[1] Il lavoro di ricerca che qui si riassume è una estrema sintesi di una tesi dottorale presentata presso l’Università “Pablo de Olavide” di Siviglia agli inizi di settembre del 2017 e descrive la storia della coltivazione dell’olivo nel mediterraneo nell’arco degli ultimi due secoli e mezzo, da una prospettiva socio-ecologica.

I dati statistici che si indicano, sono proprie stime le cui fonti primarie sono riportate nella bibliografia della tesi conservata presso gli archivi informatici dell’Università UPO di Siviglia e consultabile su http://www.upo.es/rio.

E’ nato l’1 gennaio nel Salento il primo olio ProEVO

OlioE’ nato il 1 gennaio in Puglia “Nectàrea” il primo olio ProEVO (pro ExtraVergine d’Oliva).

Un rivoluzionario nettare naturale della Dieta Med-Italiana che punta ad essere venduto anche in erboristeria e in farmacia.

Sino ad oggi non si era ancora sentito parlare di un olio “ProEVO” (Pro ExtraVergine d’Oliva), ossia di un olio così puro da mirare ad elevare e ad esaltare le innumerevoli qualità e peculiarità degli oli evo d’eccellenza e di qualità superiore. Fra tutti i Paesi produttori di extravergine (Spagna, Grecia, Portogallo, Tunisia, Usa,…), questa volta spetta all’Italia il merito di aver creato in assoluto il primo ProEVO a cui, probabilmente, ne seguiranno degli altri.

Il 1 gennaio 2013 nella Puglia salentina è nato “Nectàrea”, un prodotto della Dieta Med-Italiana, 100% italiano, un olio extravergine d’oliva purissimo, di categoria superiore, ottenuto esclusivamente dalla spremitura con procedimenti meccanici esclusivamente di olive delle antiche cultivar Ogliarola leccese e Cellina di Nardò, da secoli autoctoni del territorio e, nel caso di Nectarea, provenienti dall’area Vernole/Melendugno, in provincia di Lecce.

Ma la grande novità è nella sua “veste”, poiché Nectarea è il primo olio extravergine presentato sul mercato accentuando principalmente tutti quegli aspetti legati ai benefici e alle qualità cosmetiche, di salute e di benessere che un pregiato extravergine può e sa offrire.

Sia la confezione che l’immagine promozionale di Nectarea porteranno l’utenza a scoprire e a dare (finalmente) la giusta importanza ed il giusto valore che spetta all’olio extravergine d’oliva italiano di eccellenza.  Nectàrea si presenta in un’elegante bottiglia di acciaio inossidabile da 0,30L, appositamente progettata e realizzata per contenere e conservare un olio di qualità nel migliore dei modi. La bottiglia è a sua volta contenuta in una originalissima confezione cilindrica realizzata in foglia di legno e tenuta chiusa da un laccetto.

image001Il sito web del prodotto (www.nectarea.it) è concepito per offrire al visitatore l’immagine di un prodotto d’eccellenza, un raffinato articolo di gourmet ma anche da erboristeria o da cosmesi. Due termini questi ultimi non certo menzionati a caso, visto che Nectàrea si presenta come un prodotto adatto e consigliato in quattro ambiti: come un condimento alimentare a crudo, come un cosmetico naturale al 100%, come un prodotto di protezione della salute e di prevenzione e infine come conosciuto dai più, ottimo in cucina.

E’ risaputo, infatti, che le proprietà e le qualità dell’olio extravergine d’oliva vanno ben oltre il semplice gusto a tavola.  Come condimento, Nectarea aggiunge ed esalta il sapore degli alimenti e ha il miglior equilibrio di grassi. Infatti è povero di grassi saturi, i maggiori responsabili dell’aumento di colesterolo nel sangue, mentre é ricco di grassi monoinsaturi, ossia di acido oleico, e contiene grassi polinsaturi essenziali in corretto rapporto tra di loro. Questo importante rapporto è similare a quello che c’è nel grasso del latte materno, a totale giovamento del nostro organismo.

Mentre come cosmetico, grazie al fatto di essere leggero, non irritante, antibatterico e ricco di antiossidanti, quest’olio extravergine d’oliva di categoria superiore è perfetto per la cura della pelle del viso e per la cura del corpo. Aiuta sia le pelli secche che quelle grasse, si può usare come struccante e per effettuare leggeri scrub, può alleviare l’acne giovanile e le piccole rughe a zampa di gallina intorno agli occhi. E’ particolarmente indicato anche nella cura dei capelli fragili o secchi, li fortifica e li rende più lucenti e luminosi. Anche per mani e unghie è un toccasana, ammorbidendo le prime e rafforzando le seconde.

Invece non tutti sanno (o scordano) che l’olio extravergine d’oliva di qualità, grazie al suo elevato contenuto in antiossidanti, protegge dalle malattie cardiovascolari e contrasta i meccanismi d’invecchiamento cellulare. Non solo, i grassi in esso contenuti sono quelli che aiutano ad aumentare i livelli di colesterolo HDL (quello “buono”).

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ph Donato Santoro

A queste proprietà si aggiungono poi l’azione antinfiammatoria e la capacità di favorire la digestione aumentando la produzione di bile e di promuovere la salute delle ossa migliorando l’assorbimento del calcio. Inoltre aiuta e contribuisce a prevenire alcune forme tumorali, come quella al seno, nelle donne, e alla prostata, negli uomini. E infine, ma certo non meno importante, non serve probabilmente neanche spendere molte parole per ciò che concerne il suo uso in cucina, essendo un olio extravergine puro, prodotto principe e cardine attorno al quale ruota tutta la nostra buona e sana Dieta Mediterranea. In virtù dei suddetti aspetti benefici, Nectàrea punta ad essere venduto in erboristeria, nei negozi di cosmetica e persino nelle farmacie, oltre naturalmente ad occupare una posizione di rilievo e di prestigio sugli scaffali di raffinate gastronomie e negozi di gourmet. E non sono nemmeno esclusi i ristoranti di livello che, facendo trovare Nectarea sul tavolo, offriranno ai propri clienti un suggello di qualità. Nectarea inoltre ha un occhio di riguardo verso la sostenibilità in quanto sia le fasi di produzione del contenuto che la qualità e le materie del contenitore (acciaio inox e legno) sono tutte attuate nel più rigoroso rispetto della sostenibilità ambientale, attraverso pratiche agronomiche sostenibili e che prevedono il minor impatto possibile. E anche un occhio di attenzione nei confronti della solidarietà e della ricerca, visto che per ogni confezione venduta saranno devoluti 0,25 euro ad una onlus di sostegno ai più bisognosi e 0,25 euro ad un’organizzazione di ricerca scientifica nel campo della salute.

Una curiosità? Nectarea è realizzato con olive provenienti dalle stesse campagne (in agro di Vernole/Lecce) in cui è posizionato l’albero d’ulivo monumentale e millenario “La Regina”, assegnato e “donato” l’anno scorso alla First Lady degli Stati Uniti Michelle Obama quale riconoscimento per il suo impegno profuso in America con la campagna “Let’s move!” a favore della Dieta Mediterranea e di uno stile di vita e nutrizionale più oculato e più sano.Nectarea è ideato e commercializzato dal gruppo di promozione della “Dieta Med-Italiana” ed è prodotto presso la Cooperativa Sant’Anna di Vernole (Le).

 

Gallipoli, porto europeo dell’olio

di Emilio Panarese

In nient’altro si può trovare il simbolo della nostra provincia se non nei giganteschi e pittoreschi ulivi plurisecolari, che, come maestose colonne tortili, sormontate da larghi capitelli d’argento, tormentate, spaccate o scoppiate, di un vetusto tempio pagano dedicato a Pallade, si perdono, a vista d’occhio, per chilometri e chilometri, da Lecce fino al mare, fino a Finibus Terrae.

ph Francesco Tarantino (per gentile concessione dell’autore)

Qui, nella nostra terra, l’ulivo ha il suo regno, qui l’ulivo sin dall’epoca messapica è stato spettatore di tante antiche vicende, di tante illustri civiltà, di tutto il nostro glorioso e doloroso passato.

Qui gli uliveti, con dieci milioni di piante viventi, sono come sterminati boschi coltivati con gran cura, che dominano una superficie di oltre ottanta mila ettari; qui l’ulivo è stato in ogni tempo uno dei tre pilastri della nostra agricoltura.

Oggi l’economia agricola salentina, pur restando l’unica nostra risorsa, ha almeno il conforto di vedere fiorire piccole attività industriali ad essa connesse, ma esattamente un secolo fa l’olio era l’unico serio prodotto delle nostre esportazioni, l’unico che desse lavoro negli anni di carica, nei frantoi, a ottomila trappitari, da novembre fino a marzo-aprile.

Gli anni di scarica, invece, erano anni di nera miseria per tutti, anni di fame, come testimonia il noto proverbio:

 “Quannu la petra màrmura nu ggira,

tutta la gente vàe capu calata”

 Nel ‘700 e anche prima, quando la nostra provincia non aveva una vera e propria viabilità e lo scambio delle merci avveniva a dorso di mulo o con carretti trainati da buoi o da cavalli per le tortuose carrarecce, Gallipoli divenne, anche prima che avesse un vero porto, il punto di concentramento di tutto l’olio della provincia salentina, e l’emporio europeo del commercio dell’olio, che veniva depositato in capaci cisterne scavate nella roccia tufacea. Da queste, secondo le richieste, veniva prelevato e spedito giornalmente all’estero, in parte diretto a Napoli o a Venezia, in parte richiesto dai lanifici  e dalle tintorie inglesi o dalla lontana Russia, per uso votivo, perché nelle chiese e nelle case, ricche o povere, ardesse, giorno e notte, davanti alle sacre icone.

Gallipoli (1642) incisione su rame, Meissner, Sciographia Curiosa [collez. priv. Giorgio De Donno
La richiesta di olio o meglio dell’olio Gallipoli chiaro, giallo lampanteda parte dei mercanti russi non deve meravigliare, se si pensa che nell’800 la provincia di Terra d’Otranto era tra le pochissime che smerciavano olio puro d’oliva e che “il fanatismo russo non poteva tradire i suoi santi con lampade di olio non puro”.

Le frequenti contrattazioni, diverse nelle diverse epoche, vennero per necessità regolate, a Gallipoli, con una fiera annuale, la cosiddetta Fiera del Canneto, della durata di otto giorni: dal 2 all’ 8 luglio, fiera assai importante, soprattutto dagli inizi del ‘700 alla metà dell’ 800, non solo per le contrattazioni dell’olio e per le varie merci che s’importavano, ma anche perché tutte le merci, anche quelle estere, che venivano sbarcate durante la fiera, godevano di franchigia di dazi e balzelli.

La quotazione giornaliera dell’olio Gallipoli alla Borsa di Napoli scaturiva sia dall’entità dello stock esistente in Gallipoli, sia dagli acquisti che ogni giorno si verificavano dai depositi a liquidare, sia dalle fluttuazioni dei prezzi degli altri mercati di olio.

Un secolo fa la nostra produzione olearia, così abbondante, in media 85 mila q.li annui, temeva solo la concorrenza dell’olio di semi di cotone, l’unica che insidiasse i secolari rapporti commerciali tra Gallipoli e l’Inghilterra e la Russia.

Gallipoli (1590 ca., prov. Colonia) incisione in rame, dipinta a mano G. Braun – F. Hogenberg [collez. priv. Giorgio De Donno
Il deposito esistente a Venezia, ad esempio, era composto di tre quarti di olio di cotone e di un quarto di olio puro di oliva, per cui neppure una botte di olio puro usciva da Venezia. Bisogna però ricordare che, per la inveterata abitudine di lasciare depositare le olive raccolte in fosse del frantoio nel Salento (le šciave), queste subivano una fermentazione, che dava olio acido di ingrato sapore ed odore, destinato, com’era quello di Gallipoli, solo ad uso industriale.

Sino alla fine dell’800 i nostri oli furono soltanto oli mercantili.

La trasformazione da olio mercantile ad olio da mensa (l’olio fino di Bari era noto sino dai primi decenni dell’800) avvenne quando la migliore viabilità della provincia, la regolarità, nei porti e nelle rade, degli approdi dei vapori e il diffondersi della rete ferroviaria favorirono il decentramento, quando, cioè, ogni piccolo centro di produzione divenne anche punto di spedizione. E col decentramento calarono sensibilmente, agli inizi del ‘900, la fortuna e l’attività del porto gallipolino.

Un secolo fa: un mare di olio puro di oliva. Da alcuni anni ad oggi, invece, l’olio da mensa è in gran parte sparito o, se c’è, si compra a caro prezzo; spesso oggi sulle nostre mense c’è l’olio di soia, di arachide, di mais… grazie alla moda… di ‘mangiar leggero e mangiar magro’.

Sembra incredibile… quasi uno scherzo della natura. Sembra… eppure, come in una vecchia favola, oggi si potrebbe raccontare: «Nella splendida terra salentina dell’ulivo secolare c’era una volta tanto, tanto olio puro di oliva…».

 

In «Tempo d’oggi», I (22), 18/12/1974

I profondi ed antichi segni dell’olio

di Massimo Negro

E’ strano come una sostanza naturale come l’olio, che rende le superfici scivolose, unge ma non corrode, abbia lasciato nel tempo e  sino ai giorni nostri dei segni così antichi e profondi. Nella terra, nella roccia e nella nostra cultura.

Nella terra … con i milioni di alberi di ulivo che ci circondano e che benevolmente ci abbracciano con le loro fronde cariche di olive dalla cui spremitura viene prodotto l’olio. Antiche e giovani sentinelle delle nostre campagne, a cui badiamo sempre meno, continuamente sotto attacco da parte della speculazione edilizia, della cattiva politica ma soprattutto in balia della nostra incuria.

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Nella roccia … con i tanti trappeti ipogei che per secoli hanno accolto immense quantità di olive e fatto scaturire con il duro lavoro di uomini e animali il salutare “oro verde”. Stanze e ricoveri ricavati scavando nella roccia per far si che l’olio venisse prodotto e mantenuto alla giusta temperatura. Molti sono ormai andati persi, pochi quelli recuperati e di molti anche se ancora presenti si è persa la storia e versano nel più totale abbandono.

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Nella nostra cultura … generazioni e generazioni sin dai tempi più remoti si sono affaccendate sotto le ampie fronde degli alberi di ulivo, traendone

Prezzi bassi. Non è più conveniente raccogliere le olive. Appello per porre rimedio alla crisi della coltivazione dell’olivo del Salento

 

I 9 milioni di olivi del Salento leccese 200 anni fa, così come oggi, rischiarono la mattanza

di Antonio Bruno

Oggi l’olio lampante del Salento leccese, per la sopraggiunta “globalizzazione”, è vittima di un basso prezzo. Nei primi anni del 1800, per il “blocco napoleonico” che decretò la fine del movimento commerciale, l’olio del Salento leccese rimaneva invenduto.

La Società Economica di Terra d’Otranto attraverso un azione di consulenza puntuale, costante e convinta riuscì a sfangare dalla stagnazione l’olivo del Salento leccese. La Provincia di Lecce sarà per l’Olivo del Salento leccese ciò che fu la Società Economica di Terra d’Otranto?

L’olivo è la storia del Salento leccese e il senso della storia dell’olivo è, nello stesso tempo, fuori dalla storia del Salento leccese.
Già! Gli effetti delle azioni umane vanno sempre oltre l’intenzionalità specifica degli uomini; l’uomo fa più di quanto sa e, spesso, non sa quello che fa! Giovambattista Vico, ricordi?

Dicono che ogni civiltà ha un suo corso fondamentalmente progressivo, il quale, giunto al suo apice, si arresta ed entra in crisi.

L’olivo del Salento leccese oggi è in crisi!

Le cronache registrano da alcuni anni prezzi da acqua minerale, decretando la crisi della coltivazione dell’Olivo del Salento leccese!
Se ci fermiamo un attimo e andiamo indietro a più di due secoli fa, ai primi del ‘800, ecco che è come se stessimo rifacendo quel percorso. Oggi l’olio lampante del Salento leccese per la sopraggiunta “globalizzazione” è vittima di un basso prezzo. Allora, per il “blocco napoleonico” che decretò la fine del movimento commerciale, l’olio del Salento leccese rimaneva invenduto. In quegli anni accadeva ciò che accade oggi: i proprietari non trovavano più la convenienza a raccogliere le olive, che restavano incolte sul terreno e, siccome nel Salento leccese non era più in vigore la “Costituzione di Solone”, che  puniva con la morte chi avesse abbattuto un albero di olivo, i nostri padri fecero abbattere i maestosi alberi cari a Minerva per usarli come combustibile!
Solo nel 1815, dopo il Congresso di Vienna, il prezzo dell’olio riprendeva quota, mentre invece l’esportazione riprese solo dopo il 1818.
Un miracolo? No! Ci fu la Società Economica di Terra d’Otranto che, attraverso un azione di consulenza puntuale, costante e convinta, riuscì a sfangare dalla stagnazione l’olivo del Salento leccese.

Vincenzo Balsamo un economista ed agronomo del Salento leccese pubblicò uno studio sul commercio dell’olio sul Giornale di economia rurale che fu un formidabile manuale per gli operatori del settore.
Ma i guai del nostro caro olivo non finirono, perché appena dopo 20 anni, e più precisamente dal 1845 al 1851, il commercio dell’olio si affievolì entrando in una grave depressione. Il nemico dell’olio d’oliva del Salento leccese fu l’olio di sesamo che cominciava ad apparire sul mercato!

ph Francesco Politano

La Società Economica di Terra d’Otranto indirizzò le consulenze sul miglioramento della qualità e cominciò un’opera di miglioramento delle tecniche di coltivazione e, contemporaneamente, riuscì a spingere il governo a votare una legge che evitasse la frode!
Il Regio Decreto del 12 dicembre 1844 n. 9158, emanato da Ferdinando II di Borbone, prescriveva la necessità di un “certificato di origine“ per l’olio di oliva. Insomma, com’è evidente, l’Unione Europea non ha scoperto nulla quando ha decretato la “modernissima” trovata dell’olio a Denominazione di Origine Protetta, acronimo D.O.P Terra d’Otranto.

Oggi l’Assessorato Regionale all’Agricoltura delle Puglie ha riconosciuto nei territori del Salento leccese in cui c’è la produzione D.O.P. dell’olio extravergine di oliva “Terra d’Otranto” le “Strade” dell’olio d’oliva.

In provincia di Lecce ce ne sono due: “Adriatica – Antica Terra d’Otranto” e “Ionica – Antica Terra d’Otranto”.
Le “Strade” dell’Olio di Oliva sono percorsi educativi intesi a tutelare e valorizzare i territori olivicoli. Sono state istituite per aumentare l’interesse sotto l’aspetto turistico, paesaggistico e naturalistico degli itinerari enogastronomico-turistici. In questi percorsi possiamo immergerci negli uliveti secolari, visitare i trappeti storici, i musei, i centri antichi caratteristici, i siti archeologici, le osterie, le locande, i laboratori e le botteghe artigiane.

Lo scorso 2 dicembre 2010 ho preso parte ai lavori del Tavolo agricolo provinciale che la Provincia di Lecce ha convocato a Palazzo dei Celestini per esaminare congiuntamente le criticità del comparto olivicolo salentino e per individuare i provvedimenti a sostegno.
Ho registrato la dichiarazione del presidente Antonio Gabellone: “Vogliamo vedere chiaro sulla crisi del comparto olivicolo… Questo tavolo è propedeutico ad un Consiglio Provinciale monotematico in cui analizzeremo le cause e ricercheremo dei percorsi virtuosi che possano portare alla soluzione dei problemi. Sono certo che da questo lavoro verrà fuori una proposta snella e condivisa che possa aiutarci nel nostro intento”.
Importante è stato l’appello alla coesione lanciato dall’assessore Francesco Pacella: “Il comparto deve parlare con un’unica voce, bisogna aggregare enti ed associazioni di categoria per risolvere la crisi. La Provincia ha un ruolo marginale che, però, a livello territoriale può essere importante per fare in modo che l’intero comparto parli con una sola voce. Questo Tavolo dovrà approfondire le problematiche e giungere ad un documento programmatico in cui siano fissate le politiche del futuro, in particolare con riferimento al Programma Agricolo Comunitario… Non ci sono bacchette magiche, dobbiamo sforzarci di trovare il giusto equilibrio tra un’agricoltura che rispetti il territorio e che, contemporaneamente, aiuti ad uscire dalla crisi. Questo si potrà ottenere qualificando il prodotto, migliorando i servizi legati al comparto, il turismo agricolo, la difesa del paesaggio, il coinvolgimento delle nuovi generazioni che devono essere stimolate ad investire in questo settore”.
La Provincia di Lecce sarà per l’Olivo del Salento leccese ciò che fu la Società Economica di Terra d’Otranto?

Bibliografia

Franco Antonio Mastrolia, Origine e sviluppo dell’olivicoltura

Giornale di economia rurale, pubblicato dalla Società Economica di Terra d’Otranto. Lecce. Tipi di Agianese, 1840. I voll. X e XI, stampati nella Tip. dell’Ospizio Garibaldi, nel 1855 e nel 1858, recano questo titolo: Giornale di Economia rurale e Atti della ‘Reale Società Economica di Terra d’ Otranto. Vi collaborarono : Vincenzo Balsamo, Gaetano Stella, Martino Marinosci, Giuseppe Costa, ecc.         B., 24 I voll. X e XI nelle Miscellanee De Giorgi in Bibl. Prov.; Collezione completa nella Biblioteca dell’Orto Agrario di Lecce ; nella Biblioteca del Seminario di Lecce : voll. I a 7.

MURRONE A., Un economista ed agronomo salentino: Vincenzo Balsamo. I, La, XIV (1998), 2, pp. 95-101.

Le Monografie storiche di Giuseppe Ressa http://www.ilportaledelsud.org/monografie_ressa.htm

La via dell’olio a Maglie

La “Via te l’oju” a Maglie

Ricostruito, grazie alle ricerche storiche del prof. Emilio Panarese, il percorso dell’antica “Via te l’oju” a Maglie.

Per iniziativa del dr. Francesco Tarantino (georgofilo, agronomo e paesaggista magliese), che ha avviato il progetto di recupero di questa antica carrareccia, riprende cosi’ vita anche una festa del ‘700.

Tra i lavori intrapresi sono di particolare interesse il consolidamento statico della chiesa rupestre di “San Donato” e l’installazione di un’apposita cartellonistica descrittiva ed informativa dello stato dei luoghi e delle presenze storiche, naturalistiche e paesaggistiche.

Protagonisti di questo lavoro di squadra, un gruppo di appassionati facenti parte del comitato organizzatore fra cui: Fabrizio Licchetta, Luca Leucci, Vincenzo Menavento, Massimo Minosi e Oliver Valentini.

 

 

L’antica carrareccia della “Via te l’oju” (ph Fabio Massimo Conte)

La “via te l’oju”, un’antica mulattiera larga appena due metri, iniziava dai fondi Mùrica e Kamàra (oggi attraversati dalle vie: E. Nisi, N. Macchia, E. Paiano, Ospedale M. Tamborino) col nome di ‘Via di San Donato’ saliva su e, all’inizio della via vecchia per Cutrofiano, volgeva a sinistra passando dietro l’antico (dal 1585) convento dei francescani (dietro l’attuale Ospedale) e davanti alla cappella della Madonna di Leuche[1] cioè all’inizio della via Clementina Palma (circa dov’è oggi la stele della Madunnina), poi di nuovo voltando a sinistra giungeva, per la vie oggi dette ‘Valacca’ e ‘Di Vittorio’, sulla Via vecchia per Gallipoli.

L’antica carrareccia della “Via te l’oju” (ph Fabio Massimo Conte)

Da qui si dirigeva verso la masseria Muntarrune piccinnu[2], dov’era la cappella di san Donato, e di là quindi verso il porto di Gallipoli dove veniva scaricato l’olio portato a dorso di mulo.

[…] « Nel ‘700 il Rev.do Capitolo di Maglie aveva l’obbligo di celebrare ogni anno una messa il 7 di agosto, giorno di san Donato, seguita da una festicciola e da fuochi di artificio»

La chiesa rupestre di “San Donato” (ph Fabio Massimo Conte)

[1] Santa Maria di Leuche, strada dalla cappella alla via vecchia per Gallipoli o “via te l’oju”, cfr. Catasto Onciario di Maglie, 1752, c.270 “Saverio Giannotta, dr. dell’una e dell’altra legge, possiede alli Conventi una chesura seminatoria e olivata nom.ta  la Madonna di Leuche  con cappella della Gloriosissima Vergine avanti”. La cappella, che esisteva ancora nella prima metà del ‘900, era nel luogo che corrisponde a quello dov’è oggi la stele votiva della Madunnina, in fondo alla via C. Palma.

Quella che erroneamente è detta ai nostri giorni chiesetta della Madonna di Leuca, sulla via omonima subito dopo le tribune dello stadio, era anticamente la chiesa di s. Andrea.

[2] «Notizie del 1752: san Donato grande seù Rio/ san Donato Piccinnu con cappella appresso e giardino / per le chiusure nom.te San Donato grande/ lo Palombaro / le Tagliate / li Càrdami / lo Balli / la chiusura seminatoria e olivata nom.ta Montarone nel luogo detto san Donato seù Rio.»

 

Notizie di Emilio Panarese, estr. da “Antica toponomastica salentina dal ‘400 al ‘700 (da fonti magliesi). Dizionario storico-filologico-etimologico” [in corso di stampa]

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