Ancora una meraviglia della natura nel Salento: la Salicornia

di Massimo Vaglio

La Salicornia glauca (Arthrocnemum macrostachyum) è una parca pianta alofita, ossia amante del sale, appartenente alla famiglia delle Chenopodiaceae. Si presenta come un cespuglio, dalla base legnosa, portamento cespitoso, fittamente e irregolarmente ramificato fin dalla base e con le estremità formate da foglie cilindriche articolate di consistenza erbacea e succulenta, con articoli lunghi circa 1 cm.

L’altezza, è in genere di pochi decimetri, ma in particolari condizioni può raggiungere facilmente gli 80-100 cm. L’habitus della salicornia glauca, ossia il suo aspetto, è molto simile a quello delle sue congeneri e di altre Chenopodiaceae alofile che vivono nel suo stesso ambiente.

Si confonde infatti facilmente con l’Arthrocnemum fruticosum, da cui differisce per pochi caratteri e con il quale è spesso associata.

Durante la piena attività vegetativa, in inverno e primavera, la pianta ha una colorazione verde glauca (da cui il nome), mentre in estate e in autunno ha una colorazione con tinte rossastre. Le foglie sono opposte; apparentemente assenti, sono in realtà ridotte a squame carnose saldate a formare una guaina che avvolge il ramo. I fiori, sono poco appariscenti e riuniti in spighette di tre elementi, di colore all’inizio giallastro poi scuro in corrispondenza della maturazione dei frutti. Le spighette sono inserite in fossette formate negli articoli, da cui però sporgono vistosamente, e sono portate dai rami fertili inseriti sui rami dell’anno precedente. Il frutto è leggermente allungato, di colore nero e lucente.

Si può sicuramente definire una  pianta eroica, infatti, fa parte di quella ristretta schiera di essenze che hanno scelto un ambiente estremo per prosperare. Vegeta benissimo, ed è comunemente diffusa, sulle nude scogliere, ma anche nelle paludi costiere su suoli salini presso lagune e stagni

Gallipoli. Sant’Andrea e il suo faro

di Gianni Ferraris

 

E’ bello passare una domenica mattina camminando nell’isola che c’è, anche se non si può visitare. Appuntamento alle 9 alla lega navale di Gallipoli, poi l’imbarco per il breve tragitto. Arrivando da Lecce, di Sant’Andrea si vede il faro e l’isolotto sembra un insignificante striscia di terra, in realtà con i suoi14 ettari è una piccola miniera naturalistica. Anche il faro sembra normale, basso, si tratta invece di uno dei più alti d’Europa, solo che molti suoi fratelli sono messi su alture, Sant’Andrea ha un’altitudine massima di due metri s.l.m., quindi l’illusione ottica lo rende bassotto. E’ un po’ la storia dei tacchi alti come trampoli, “slanciano”, lui più sportivamente indossa mocassini bassi. Ah i proverbi, “l’apparenza inganna”.

Certo che avere un amico come Antonio, gallipolino doc e kajakista per vocazione, è un privilegio. Parlai con lui della voglia di visitare l’isola e lui è riuscito nell’intento. Per molti anni mettere piede su quel pezzo di terra era interdetto, le ragioni del parco protetto contano. L’isola fa parte del parco naturale gestito in qualche modo, non sempre bene, come spesso succede. Le non scelte amministrative e burocratiche spesso rendono impossibile fruire di beni dal valore immenso, magari con un turismo controllato, guidato, accompagnato che sarebbe anche un valore aggiunto per i comuni. Certo che è più facile  aggiungere parcheggi blu per fare cassa, anziché compiere piccoli slanci di fantasia. Impedire la visita a certi luoghi è come se qualcuno acquistasse un Van Gogh e lo facesse seppellire con lui per averlo nell’eternità. E’ successo in Giappone, ahinoi. Che poi a Sant’Andrea sia tutto finto è evidente. Ci sono pure scritte con lo spray sul faro, insomma, come diceva qualcuno “pannicelli caldi”.

L’isola di sant’Andrea è il regno del gabbiano corso, lì nidifica e si riproduce. Purtroppo abbiamo visto molte carcasse di uccelli: “Il gabbiano corso si nutre solo di pesce, il pesce contiene piombo e avvelena” dice la nostra guida, il mare in fondo è una discarica a cielo aperto: combustibili per imbarcazione, inquinamenti di varia natura e via dicendo. Il gabbiano corso è endemico del Mediterraneo, individua i luoghi per nidificare e riprodursi, qualche coppia, chissà quando, è sbarcata sull’isolotto che è diventato meta preferita. Nel sud solamente qui succede, poi in Corsica e negli arcipelaghi toscani. In estate ce ne sono molti perché sono più stanziali, in inverno sono più liberi perché i piccoli si sono resi autonomi e si muovono più agilmente.

Poi ci sono i gabbiani reali, quelli con il becco giallo, sono più tenaci e meno raffinati nel cibo, mangiano ogni cosa, soprattutto si sono adattati alle discariche dove trovano cibo in abbondanza.  Così vivendo stanno diventando un vero problema per l’ecosistema, si moltiplicano senza pudore.

Sant’Andrea è considerata dalla Comunità Europea un habitat ideale anche per la salicornia, un altro ottimo motivo per proteggerla. La “civilizzazione” ha distrutto moltissima vegetazione in giro per il Salento ricoprendola con manti di asfalto e parcheggi, qui invece c’è una vera e propria prateria di salicornia che sopravvive perché tenace, l’acqua è salata, lei se ne nutre riuscendo ad espellere il sale. Molti insetti e piccoli molluschi si rifugiano nell’erba e diventano cibo per i migratori. Un esempio di catena alimentare raffinatissimo. Come diceva qualcuno: “la natura era un equilibrio perfetto, poi è arrivata la variabile impazzita: l’uomo”.

Pochissime le specie fiorite, lo statice serotino, autunnale, ha la caratteristica, come la salicornia, di espellere il sale dall’acqua.

I conigli dell’isola di Sant’Andrea pare siano stati introdotti dai pescatori che vivevano qui fino agli anni ’60. Ancora ne resistono, si sono adattati a mangiare quel poco che trovano e a bere acqua di sorgente resa salmastra.  Ogni tanto qualcuno si vede correre spaventato da noi, una quarantina di disgraziati che camminano sulla loro isola.

Fino al faro siamo arrivati, tristanzuolo, pezzi di cancello appoggiati a terra, qualche maceria qua e là. E dietro, due enormi piattafome che ospitavano i cannoni durante l’ultima guerra.  Allora c’era un presidio della marina che aveva il compito di individuare i sottomarini diretti a Taranto. Allora, quando qualcuno era convinto di vincere la guerra contro il mondo intero.

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