La travagliata (ed anche comica) storia del monumento ai caduti di Copertino

di Pier Paolo Tarsi

La storia del monumento dedicato ai caduti copertinesi è incredibilmente travagliata e ricca di poco chiari impedimenti protrattesi per anni: per quel che ne traspare dai frammenti scrutabili, le vicende che portarono alla sua definitiva edificazione si colorano delle più varie sfumature di pathos, talvolta quelle comiche, proprie della migliore commedia all’italiana, talaltra quelle dell’acuta e pungente tensione.

Le interessanti fonti di natura giornalistica che illuminano fiocamente tali fatti aprono al contempo spiragli sui costumi, sulle dinamiche interne cittadine e, come vedremo, sulle rappresentazioni sociali di alcuni copertinesi proprie dell’arco di tempo che si interpone tra il 1919, anno in cui la costruzione del monumento viene promossa da un comitato cittadino, fino al 1925, quando ne viene finalmente celebrata l’inaugurazione. Come vedremo tuttavia, la storia del monumento ci trascinerà nell’indagine molto oltre quegli anni, addirittura fino alle soglie dei nostri giorni, riconducendoci ad una riflessione su noi stessi e alle nostre attuali responsabilità civiche.

Il primo brano giornalistico, pubblicato in data 13 aprile 1919 su “La Provincia di Lecce”, annuncia la genesi dell’intenzione progettuale di erigere il monumento, indica i promotori di quella che si rivelerà, come vedremo, una vera e propria impresa, e informa infine circa le prime modalità organizzative adottate per lo scopo:

«Un gruppo di militari copertinesi, recentemente tornati dalle aspre fatiche della guerra alle feconde opere di pace, ha pensato di onorare, con la erezione di un monumento, la memoria di quei concittadini che, con l’olocausto della propria vita, hanno scritto la gloria non peritura della nuova Italia. Certamente la cittadinanza darà in questa occasione una vibrante manifestazione di solidarietà e patriottismo, come segni di gratitudine per i suoi figli. Per domenica 13 corr. il Comitato promotore ha invitato tutti i militari congedati e congedandi a intervenire alle ore 17 nei locali dell’Associazione Democratica Popolare per prendere i relativi accordi»

Da quella domenica d’aprile, con un lungo percorso implicante autorizzazioni, delibere comunali, l’approvazione del Vescovo di Nardò (rilasciata in data 23 gennaio 1923) per lo spostamento dell’Osanna allora presente nella piazza prescelta, fino all’arrivo della statua monumentale, dovranno trascorrere più di quattro anni; sullo stesso giornale infatti, in data 30 settembre 1923, leggiamo:

«Fervono i lavori del Comitato pro-monumento ai Caduti, egregiamente presieduto dal dott. Cav. Antonio Pisacane. In questi giorni è arrivata la statua di bronzo che rappresenta un atletico soldato che con la spada in pugno difende la bandiera. L’opera è ispirata e magnifica e ne è autore il vostro valoroso giovane concittadino Raffaele Giurgola certamente destinato a luminoso avvenire»

Gli ulteriori dettagli forniti da questo articolo e che di seguito esporremo saranno clamorosamente smentiti dagli eventi successivi; a tali dettagli si accompagnano inoltre dei coloriti commenti del giornalista a proposito di alcune vicende che potrebbero costituire i primi segnali di preludio a un processo difficile e per certi versi comico che porterà alla più che tardiva inaugurazione del monumento.

«Il monumento – leggiamo – sarà inaugurato il 4 novembre prossimo con una solenne celebrazione di fede e con l’intervento di molte autorità, sorgerà in una vasta e magnifica piazza circondata di alberi e ricorderà agli immemori il sacrifico dei nostri soldati»

Così tuttavia non sarà: sullo stesso giornale, ma addirittura due anni dopo – precisamente il 24 maggio 1925! – un brevissimo, lapidario e arido comunicato ce ne dà conferma:

«Il Municipio ha fissato per oggi la cerimonia per l’inaugurazione del monumento, eretto a spese della cittadinanza, in memoria dei 165 caduti in guerra».

Cosa comportò dunque un così stupefacente ritardo e un così succinto e stanco annuncio finale delle effettive celebrazioni? Una pista per setacciare una plausibile risposta alla nostra curiosità potrebbe essere rinvenuta tra le vicende cui si alludeva prima ed esposte nel già citato pezzo del 30 settembre 1923, il medesimo che annunciava la data di inaugurazione solenne prevista per il 1923 e poi disattesa. Tra quelle righe, andando oltre quanto sopra riportato, leggiamo:

«Anche per questa opera alta e nobile che avrebbe dovuto far tacere tutti gli odi, sono stati i soliti quattro Catoni che hanno cercato di avvelenare la popolazione e hanno informato il Vescovo di Nardò, affermando che il monumento rappresenta un soldato…ignudo e che, quindi, è scandaloso. A parte che l’arte non può immiserirsi in certe grossolane considerazioni, i Catoni e i timorati possono tranquillizzarsi perché il drappo della bandiera sostituisce magnificamente la tradizionale…foglia di fico!!».

Potrebbero essere stati lo scandalo e le conseguenti polemiche dei “quattro Catoni” timorati cui alludeva il giornale già nel 1923 a suscitare un simile differimento di due anni per l’inaugurazione ufficiale? Così potremmo concludere, almeno se ci basiamo su quanto narrato dalle fonti qui usate e su ciò che da quelle se ne può inferire. Ad ogni modo, al di là dello stupore e del mormorio scandalizzato dei Catoni copertinesi dell’epoca, il giusto e simbolico riconoscimento al valore e alla memoria dei caduti fu infine inaugurato nella grande piazza alberata di Copertino.

Nemmeno con ciò, tuttavia, ebbero termine le travagliate vicende del monumento: negli anni del secondo conflitto mondiale la bronzea statua del Giurgola rischiò infatti di essere smantellata a causa delle requisizioni dei materiali metallici necessarie per lo sforzo bellico. Una lettera[1] del suo stesso artefice inviata al Podestà ci offre testimonianza del reale pericolo che la statua rientrasse nell’elenco degli oggetti in bronzo da destinare alla raccolta:

«Lecce, 19 novembre 1940 Al Sig. PODESTà. è a mia conoscenza che si chiedono informazioni ai Comuni sul peso dei bronzi dei Monumenti ai caduti, da cedere alla Patria. Quale progettista del Monumento ed esecutore della scultura in bronzo del medesimo in questo Comune, Vi prego di volermi tenere informato quando la statua deve essere smontata. Faccio presente che volendo servirei dello stesso modello per realizzare la riproduzione in marmo o in altra materia sarebbe necessario procedere al calco della statua prima di inviarla ai rottami. Ciò perché si realizzerebbe una grandissima economia nei raffronti della esecuzione della nuova opera, che dovrebbe sostituire quella rimossa. In attesa di un cenno di risposta Vi saluto cordialmente. Scultore Prof. Raffaele Giurgola»

Fortunatamente, solo la ringhiera in ferro che in origine circondava il monumento venne di fatto requisita ed il pericolo di una distruzione della statua fu effettivamente scongiurato dopo la comunicazione prefettizia del 12 ottobre 1941[2]:

«Si avverte che, per superiore disposizione, i monumenti in bronzo ai Caduti, o dedicati a personaggi di rilevante importanza storica, o comunque in particolare attaccamento alla popolazione, non devono essere per ora rimossi. […] Si avverte, infine, che nessuno dei monumenti stessi dovrà essere demolito se non quando la sostituzione sia pronta. Assicurante. Il Prefetto»

Dopo i tanti travagli di un storia dalle tinte varie qui brevemente ripercorsa, l’ormai quasi centenario monumento ai caduti copertinesi è giunto ai nostri giorni e, con esso, giunge a noi cittadini anche la piena responsabilità e il dovere della sua preservazione e cura a beneficio della memoria delle future generazioni. Al realistico timore che oggi l’incuria e l’indifferenza possano giungere con la loro portata annientatrice persino là dove le estreme ragioni della guerra non osarono, rispondiamo con queste pagine volte sia a far cogliere il complesso valore simbolico incarnato dal monumento consegnatoci con fatica dai nostri avi concittadini, sia a richiamare l’impellente necessità di un suo restauro, da realizzare – come ci auguriamo con questa pubblicazione, finalizzata anche al conseguimento di tale scopo concreto – nello spirito solidale e nella responsabilità collettiva che nel tempo hanno animato la comunità copertinese nel compiere condivisi e ben più ardui sforzi di questi.

 

[1] A. Raganato, “Atti di Pubblica amministrazione del Podestà a Copertino”, Università del Salento, a.a.2007-08, pp.56-7.

[2] Ibidem.

19/11/2018

Su segnalazione dell’Arch. Fabrizio Suppressa si integra il testo con alcune foto d’epoca sul monumento ai caduti di Copertino, tratte dal catalogo di una mostra fatta a cura della Pro Loco durante l’ultima festa di San Giuseppe. Lo stesso segnala inoltre che esisteva anche un’altra cancellata a Copertino rimossa durante il fascismo, che era quella che circondava le scuole di via Roma.

Ad ulteriore integrazione pubblichiamo altre foto gentilmente messe a disposizione da  Cosimo Tarantino:

Monumento ai caduti (1958)

Scultura dell’Otto e Novecento nel museo Cavoti di Galatina

 

di Lorenzo Madaro

L’interesse per la scultura pugliese dei secoli XIX e XX da parte del mondo degli studi storico-artistici ha registrato negli ultimi anni un netto aumento; non sono mancate, difatti, importanti iniziative editoriali ed espositive. Nell’orbita di questo interesse vanno inquadrati questi appunti sulla collezione di scultura conservata nel Museo Civico “P. Cavoti” di Galatina, di cui ringrazio il personale, in particolare Silvia Cipolla, per la disponibilità accordatami durante i miei sopralluoghi.

Situata in un’ala dell’ex Convento dei P.P. Domenicani di Galatina – dal 2000 sede del Museo civico, dopo il trasferimento delle collezioni dalla vecchia sede di Palazzo Orsini inaugurata negli anni trenta ed attiva solo per pochi anni – la sezione scultura del XX sec. comprende una consistente e disomogenea raccolta di opere di alcuni artisti nati o attivi sul territorio salentino tra otto e novecento ed è da annoverare tra le raccolte più significative del territorio pugliese. È senz’altro la donazione Gaetano Martinez il nucleo più consistente con poco più di trenta opere, alcune delle quelli tra le più interessanti del suo percorso di ricerca, che sono state donate dallo stesso artista nell’agosto 1928 (Specchia, 2003). Così come confermano alcune iscrizioni poste sul retro delle sculture, la donazione di alcune opere del maestro si è certamente protratta anche in anni più recenti, come nel caso di un Nudo femminile del 1947 donata da Giovanni Giunta di Roma nel 1988. Nato a Galatina nel 1882, dopo una prima formazione avvenuta nella locale Scuola di Arti e Mestieri diretta da Giuseppe De Cupertinis, si trasferisce a Roma nel 1911, ma solo per un breve periodo. Al 1922 è datato il suo definito trasferimento nella capitale; nello stesso anno esegue il Caino, tra le sculture più affascinanti della sua produzione, in cui si avverte un forte senso di tragicità espresso tramite suggestioni rodiniane. A Roma non manca di avviare meditazioni sulla sintassi quattrocentesca, come attesta il gesso intitolato Adolescente (1926) al Museo Cavoti, ma gli interessi dello scultore sono molteplici. Numerose le opere degli anni trenta esplicitamente legate a quel senso arcaicizzante e monumentale tipico dell’indagine di un Arturo Martini, anche se in questo stesso decennio non rinuncia a un divertissement slegato apparentemente dalla sua ricerca, considerato che il Ritratto caricaturale conservato nella raccolta è datato 1935. Il decennio successivo, come avverte Federica Riezzo – curatrice, assieme a Giancarlo Gentilini, di una mostra antologica allestita nel 1999 a Palazzo Adorno di Lecce – si apre con la partecipazione alla Biennale di Venezia (1942) con una sala personale. Un riconoscimento al valore di un artista che in questi anni avvia “una singolare produzione di ‘teatrini’ in terracotta” (Gentilini, 1999) interrotta bruscamente dalla morte avvenuta nel 1951.

Un gesso di Pietro Siciliani, filosofo e pedagogista nato a Galatina nel 1832, ribadisce, se mai ce ne fosse bisogno, il legame profondo e autentico con la storia della città in cui è ospitata l’istituzione museale. L’autore dell’opera è Eugenio Maccagnani; nato a Lecce nel 1852 si forma inizialmente presso lo zio Antonio, celebre cartapestaio, per completare poi gli studi all’Accademia di San Luca di Roma, città in cui ha un ruolo preminente nella grande impresa del Vittoriano, inaugurato nel 1911. Autore di un nucleo alquanto consistente di sculture pubbliche e da camera, non troncherà mai i rapporti con la sua città natale; nella Villa Garibaldi, tra gli altri monumenti, si conserva proprio un Busto di Siciliani datato 1891. Muore a Roma nel 1930.

Giacomo Maselli, quasi ignorato dalle fonti pugliesi fino a tempi recenti, è autore di un ritratto in bronzo del Siciliani che restituisce un aspetto più intimista del filosofo, a differenza dei tratti fieri e vigorosi espressi dal Maccagnani. Nato a Cutrofiano nel 1883, nel 1904 si trasferisce a Milano, dove opera attivamente fino al 1958, anno della sua scomparsa. L’opera della raccolta galatinese è un doveroso omaggio a un cittadino illustre a cui è dedicata, tra l’altro, la Biblioteca Comunale ubicata nel medesimo stabile in cui è ospitato il museo.

La presenza delle due opere Gruppo antropomorfo e Vendetta, entrambe databili intorno al 1940, firmate da Pietro Baffa, esorta a qualche accenno, per lo meno biografico, sull’artista nato nel 1885 a Galatina. Si forma presso il locale Regio Istituto Artistico “G. Toma” e, come il compaesano Martinez, nel 1911 emigra a Roma. Frequenta il Museo Artistico Industriale, il neonato giardino zoologico – sin da questi anni si caratterizza come artista animalista – e lavora presso lo Stabilimento di mobili Loreti, dove perfeziona le sue competenze di ebanista, già parzialmente acquisite nel laboratorio paterno. Nel 1914 si sposta a Napoli; insegna presso il locale Istituto Artistico e respira per sei anni la cultura artistica partenopea. A Lecce diviene uno dei più validi maestri del Regio Istituto Artistico fondato dal Pellegrino. In Gruppo antropomorfo le masse dei due animali si fondono fino a diventare un tutt’uno, invadono lo spazio con uno spirito fantasioso che caratterizza ad esempio Tigre e Orso (Galatina, coll. privata), due terrecotte invetriate degli anni venti, assimilabili a un gusto liberty. Echi gemitiani, ricercatezza e raffinatezza esecutiva caratterizzano il satiro che con veemenza sguscia una lumaca in Vendetta, un gesso patinato, la cui replica in bronzo è conservata in una collezione privata leccese.

Rimorso, un gesso patinato del 1935 firmato dallo scultore neretino Michele Gaballo, è un’opera che testimonia l’operatività di un “autore di un numero assai considerevole di sculture in marmo, gesso patinato, bronzo, di vario genere” (C. Gelao, 2008), ma al contempo non ancora studiato approfonditamente. L’artista, nato nel 1896, dopo una prima formazione a Lecce presso la scuola di disegno annessa alla Società Operaia, si trasferisce a Napoli e, dopo poco, a Roma, dove collabora alla realizzazione della statua di Benedetto XV nelle grotte Vaticane (1923). Dopo il suo rientro a Nardò si dedica all’insegnamento; muore nel 1951. L’opera conservata nel museo galatinese ben s’inserisce nella sua ricerca plastica legata a certe istanze novecentiste che si ravvisano in particolar modo nella semplificazione dei tratti del volto.

Appartiene allo scultore leccese Raffaele Giurgola il ritratto di Carlo Delcroix che afferma quel forte senso di plasticismo che connota la sua produzione plastica. Nato nel 1898 si forma alla scuola di disegno della Società Operaia, per proseguire poi gli studi a Napoli, dove è allievo di Achille D’Orsi. Celebre per aver eseguito numerosi Monumenti ai Caduti nel Salento, è stato per quasi un trentennio docente presso l’Istituto Pellegrino di Lecce, città in cui è morto nel 1970.

Vittorio Vogna, artista nato a Galatina nel 1916, si forma nel Regio Istituto Artistico Industriale di Lecce, dove entrerà in contatto, tra gli altri, con lo scultore galatinese Pietro Baffa, docente di scultura con cui intratterrà rapporti amicali anche durante il suo trasferimento a Napoli, dove studia presso la Facoltà di Architettura. Ritorna poi nel Salento dove insegna nel suddetto istituto artistico e avvia la sua attività di architetto. Muore nella sua città natale nel 1995. Poche sono le opere note e si attende pertanto una prima analisi del suo percorso creativo che andrà eventualmente confrontato con i documenti conservati presso eredi e conoscenti. Il Museo custodisce, altresì, una Testa di fanciulla firmata da Nikkio Nicolini, autore misconosciuto che, secondo quanto affermato da Michele Afferri (in C. Gelao, 2008), ha eseguito quest’opera secondo i dettami di un gusto legato al recupero dei valori formali arcaici. Altri ritratti di uomini illustri cui Galatina ha dato i natali si riscontrano, così come per il citato ritratto di Siciliani del Maccagnani, in un corridoio interno al museo, dove sono collocati, altresì, dei ritratti di Baldassarre Papadia, Macantonio Zimàra, Alessandro Tommaso Arcudi e Pietro Colonna firmati, rispettivamente, da M. D’Acquarica, P. Bardoscia e C. Mandorino. Attenzione ai temi animalier si riscontrano poi in due pannelli di I. Montini, mentre è dello scultore A. Trono una Testa virile datata 1927 e difatti conforme a taluni orientamenti stilistici dell’epoca, come l’interessante maternità a firma di A. Duma, altro autore che meriterebbe un approfondimento. Restano poi alcune opere anonime, tra cui un Bozzetto di monumento, tutte da studiare e contestualizzare, anzitutto cronologicamente.

Bibliografia essenziale consultata:

Scultura italiana del Novecento. Opere tendenze protagonisti, a cura di C. PIROVANO, Milano 1993. Gaetano Martinez. Scultore, a cura di G. GENTILINI, F. RIEZZO, Matera, 1999. A. FOSCARINI, Arte e Artisti di Terra d’Otranto tra medioevo ed età moderna, a cura P. A. VETRUGNO, Lecce 2000. A. PANZETTA, Nuovo Dizionario degli scultori italiani dell’ottocento e del primo novecento, Torino 2003. Museo Comunale Pietro Cavoti di Galatina, a cura di D. SPECCHIA, Galatina, 2003. M. AFFERRI, Cento anni di scultura salentina, in Arte e artisti in Terra d’Otranto, a cura di A. CASSIANO, M. AFFERRI, Matera 2007. Gaetano Stella e la scultura da camera in Puglia, a cura di C. GELAO, Venezia, 2008.M. GUASTELLA, Scultori in Terra d’Otranto delle generazioni del secondo Ottocento, in Raffaele e Giuseppe Giurgola, “tradizione salentinità ironia”, a cura di L. PALMIERI, Galatina s.d. [ma 2010].

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