Lucio Battisti, Mogol e Torre Squillace…

la spiaggetta di Torre Squillace in inverno

di Giuseppe Tarantino

Davanti al mare “chiaro e trasparente” di Nardò, Lucio Battisti e Mogol crearono “La canzone del sole”. Si aggiunge un dato più certo alla leggenda che lega Lucio Battisti al mare e alle coste di Nardò: la leggenda, che tale rimane, vuole che la famosa “Acqua azzurra, acqua chiara” sia stata scritta dal duo più importante della musica leggera italiana ispirandosi alle acque cristalline della baia di Torre Squillace, nell’estate di oltre quarant’anni fa (il 1967 o il 1968).

Ma sotto il sole dell’allora incontaminata località neritina sullo Jonio, Lucio Battisti e Giulio Rapetti in arte Mogol (ospiti del loro amico copertinese Adriano Pappalardo) avrebbero creato un altro capolavoro: “La Canzone del sole”. Lo rivela Maurizio Leuzzi, il “patron” del Premio Battisti, la manifestazione-tributo al cantautore che si tiene a Nardò da dieci anni. E la fonte che Leuzzi cita è di quelle che “più autorevoli non si può”: proprio Mogol.

Maurizio Leuzzi l’ha inseguito per anni con l’intenzione di invitarlo ad una delle edizioni del Premio Battisti. L’inseguimento è finito sabato 7 novembre, a Lecce, in occasione del “Concerto per la vita”, dedicato proprio a Lucio Battisti, organizzato in favore dei bambini della Nigeria dall’associazione “For life”, che si è tenuto al Politeama Greco e del quale Giulio Rapetti è stato testimonial. A partecipare alla serata erano stati invitati anche i membri dell’Associazione culturale musicale “Lucio Battisti” di Nardò che non si sono fatti sfuggire l’occasione di consegnare un Premio Battisti “fuori stagione”. Il presidente Maurizio Lezzi e il vicepresidente Luca Rizzello, hanno infatti consegnato a Mogol una maiolica dipinta a mano, opera dell’artista neritino Marcello Malandugno, anche lui presente alla serata.

Inevitabilmente il discorso è presto scivolato sul rapporto con la terra neritina e la genesi di alcuni indimenticabili brani del duo Battisti-Mogol. Il paroliere milanese avrebbe lasciato alla leggenda il luogo della creazione di “Acqua azzurra” ed avrebbe, invece, indicato la spiaggia de “Li Cianuri” (Torre Squillace, appunto) come probabile luogo “di nascita” di quello che sarebbe diventato uno dei brani più celebri nella storia della musica italiana: “La canzone del sole”.

Il sole del Salento, quindi, avrebbe ispirato la musica e il testo (di cui rimane impresso in particolar modo l’incipit “Le bionde trecce, gli occhi azzurri e poi le tue calzette rosse” e l’inciso “Oh mare nero, oh mare nero, oh mare ne..”) del brano che usci nel novembre 1971 sul lato A di un 45 giri che sul retro conteneva un’altra hit di Battisti, “Anche per te”.

da sinistra Rizzello – Leuzzi (presidente dell’Associazione) – Mogol (con il Premio Battisti)- il pittore Malandugno

Salento che lavora. La pietra leccese

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Tarantino & Lotriglia – Sogni in pietra leccese

 

di Gianluca Fedele

 

Chi, come me è salentino non può non conoscere l’azienda Tarantino & Lotriglia; chi lavora di design, a maggior ragione, non è giustificato qualora non fosse mai stato all’interno dell’azienda T&L, in contrada Castellino a Nardò.

Per questo, in una bella giornata di novembre, ho deciso di visitare quei laboratori che ritengo siano tra i più importanti opifici di lavorazione della pietra leccese. Una volta dentro, ciò che ho visto mi ha colto impreparato: alcuni artigiani lavoravano a mano un blocco di pietra, che stava prendendo la forma di un capitello: non era un prodotto industriale ma lavorato con martello e scalpello come una volta!

Giuseppe Tarantino

Questo aspetto non era nel mio immaginario e mi ha piacevolmente impressionato, se non altro perché nella “botteguccia” il tempo pareva essersi fermato lì, su vecchi bozzetti a mano, utensili in legno e persino nella polvere bianca che mi si appiccicava alle scarpe.
Claudio Lotriglia, uno dei proprietari, mi ha subito accolto con fare simpatico e disponibile e si è prestato ad illustrarmi l’attività dell’azienda, rispondendo così ad ogni mia domanda e curiosità.
Mi ha condotto nello show-room dov’erano disposti innumerevoli ornamenti e complementi d’arredo, in carparo e leccese. Mi ha spiegato che l’azienda “Tarantino & Lotriglia” è nata circa venticinque anni or sono, dall’incontro casuale e fortunato fra Mimino Lotriglia, congegnatore meccanico e Giuseppe Tarantino, “mastro” scalpellino di lunga esperienza.

Mimino Lotriglia

Il primo, nasce professionalmente come mobiliere con la ditta “A.M.M.A.”, successivamente congegnatore meccanico presso l’ITALSIDER (oggi ILVA) per 14 anni. Giunto alla fine dell’esperienza lavorativa, ma comunque pieno di energie e voglia di fare, Mimino decide di allestire in un piccolo locale di circa 70mq dove mettere a frutto la preparazione acquisita nel campo della meccanica. Una semplice rimessa diventa presto un laboratorio nel quale Mimino realizza macchinari da taglio atti alla lavorazione della pietra, in particolar modo di tavelle per lastricati solari e cornici.

Caso volle che a pochi metri da Lotriglia abitasse “mesciu Pippi” e che anch’esso, nelle poche ore libere dall’attività edile che svolgeva, si dedicasse in maniera hobbistica alla creazione di manufatti artistici in pietra leccese.

L’incontro tra i due non è difficile da immaginare, ma ha comunque un velo di magia se si considerano le coincidenze; Lotriglia si trova a passare dinanzi all’officina di Tarantino, che a quell’ora è all’interno a scalpellare su una lastra di pietra leccese alla quale dà le fattezze di una cornice,  incuriosito si affaccia scoprendo un brillante “concorrente” al quale chiede informazioni sui prodotti, i metodi di produzione, i quantitativi e le tempistiche di realizzazione, intraprendendo così quella che, da lì a poco, sarebbe stata considerata la più fortunata conversazione nella “Tarantino & Lotriglia s.r.l.”, conclusasi così: <<béh Pì, ndì mintimu a società?>> (béh Giuseppe, creiamo una società?).

il piccolo Ivano Lotriglia nella bottega paterna

Claudio continua il suo racconto, un po’ tramandato e un po’ vissuto, con notevole trasporto ed emozione parlandomi del padre, oramai è venuto a mancare, come una figura a cui lui tutto deve, sia umanamente che professionalmente. Mi descrive i primi anni di attività come una sorta di “assestamento d’impresa”, un periodo di rodaggio nel quale le attrezzature per la lavorazione non erano altro che prototipi congegnati da Mimino per l’occasione. I grossolani prodotti delle macchine venivano poi rifiniti e particolareggiati da Giuseppe che rendeva ad ogni pezzo l’esclusivo valore dell’artigianato. Collaborazione intinta in una sorta di sana competizione tra i due fondatori, continuamente pronti a battibeccare su come affrontare le nuove richieste di lavori, sempre più numerose e sempre più complesse, nell’epoca in cui il “passaparola” era il mezzo pubblicitario più rilevante; agonismo che non intaccava mai la reciproca stima.

Mentre metri e metri cubi di pietra passavano attraverso gli anni dalle mani, questi maestri realizzano che quel passatempo, avviato per svago, era divenuto una realtà professionale più importante delle loro più rosee aspettative iniziali. Per continuare a far fronte al crescendo di richieste bisognava assoldare altre braccia e qui entrarono in gioco i figli, rispettivamente, Claudio e Ivano Lotriglia ed Adriano e Dario Tarantino.

I due capostipiti conoscevano bene le qualità dei loro figli e decisero quindi di impiegare ognuno di essi allo svolgimento di specifiche e definite mansioni che i quattro svolgono tuttora.

Ivano organizza la produzione gestendo la manovalanza, negli anni, sempre più qualificata; Adriano sviluppa gli schemi e gli elaborati tecnico-progettuali, Claudio raccoglie l’eredità del padre, predisposto com’era per lo sviluppo della fabbricazione, inserendo la tecnologia e l’informatica all’interno della ditta; infine Dario che con la sua fantasia professionalmente canalizzata nel disegno e nella scultura, come Giuseppe prima di lui, rende aggraziato l’effetto finale delle sue opere.

Il balzo tecnologico che la società ha compiuto di anno in anno, sino all’utilizzo in tempi recenti di mezzi informatici, ha permesso alla “Tarantino & Lotriglia s.r.l.” di diventare un’importante realtà nel panorama dell’artigianato e dell’industria salentina con i suoi prodotti (cornici, colonne, capitelli balaustre ecc.), adatti a saziare i più svariati gusti architettonici dei progettisti: dal barocco, al moderno e contemporaneo, passando attraverso un’eclettica moltitudine di forme e di esclusivi complementi d’arredo (camini, tavoli, applique, arredo urbano, ecc.). Così l’azienda ha adottato “Industria e Arte per l’Architettura” quale slogan rappresentativo.

Claudio Lotriglia

Oggi l’impresa si muove con professionalità e presenzia a quelle che sono le più esclusive fiere del settore come il SAIE 2 a Bologna o la Fiera del Levante di Bari, oltre che essere presente con autorevolezza in molte rassegne locali. Partecipazioni che hanno traghettato la Tarantino & Lotriglia verso importanti lavori, anche su mercati internazionali; pochi esempi per tutti i diversi rivestimenti esterni inviati a Vancouver (Canada) e complementi d’arredo per Toronto, Portorico, Germania, Grecia e tutto il nord Italia.

Conclusasi la conversazione saluto Claudio e lo ringrazio per l’infinita disponibilità, certo di poter inserire presto loro prodotti all’interno di un mio progetto. Quella che mi è stata raccontata pare essere la storia semplice di sinceri sognatori, ma si respira a pieni polmoni quella forza di volontà e la passione profusa che è intrisa di amore per il proprio territorio e per i prodotti che da esso ne derivano. Una storia vera!

Un reperto sul fondale di Santa Caterina di Nardò

di Giuseppe Tarantino

Giace immobile da oltre sessant’anni, su un fondale di 35 metri a circa 2 miglia e mezzo ad Ovest di Santa Caterina di Nardò, uno “Junker 88”, aereo da guerra tedesco, risalente alla Seconda Guerra mondiale.

Come si sia inabissato in quel tratto di mare non è dato saperlo. Molti

Nardò. Il tesoro scomparso della nobile famiglia Sambiasi

 

di Giuseppe Tarantino

Il tesoro scomparso della nobile famiglia Sambiasi: un patrimonio di milioni di euro che potrebbe aver giocato un ruolo determinante nelle decisioni assunte riguardo il futuro dell’ospedale di Nardò.

Nella conferenza pubblica “La morte annunciata dell’ospedale di Nardò”, organizzata dal Comitato civico “Spes Civium” in difesa del “San Giuseppe – Sambiasi” , che si è tenuta nei giorni scorsi nel Chiostro di Sant’Antonio, si tirano fuori carte e documenti notarili e nasce il “giallo”: che fine ha fatto il “tesoro” che avrebbe salvato l’ospedale di Nardò?

Antiche carte conservate nell’archivio storico del Comune e dell’Ospedale civico, vengono alla luce grazie all’analisi storica condotta da Marcello Gaballo, medico e storico locale, il quale nel corso del convegno rivela l’esistenza di un vero e proprio “mistero” sulle sorti dell’ingente “lascito perpetuo” che la nobile famiglia neritina dei Sambiasi donò, nel 1741, ad un “Pio Monte” con il preciso scopo di finanziare lo sviluppo dell’Ospedale di Nardò.

Un patrimonio ingentissimo che, tra l’altro, comprendeva la masseria “Ingegna”, la chiusura in contrada “Fabrizio” (1680 alberi di ulivo), le masserie “Taverna”, “Cravascio”, “Bella Nova” e “Corsari”, un palazzo su via Lata, un giardino al “Ponte”, sei case nel “vicinio” della “Misericordia”, una bottega nei pressi di San Domenico, alcuni magazzini in Gallipoli, capitali dati in enfiteusi a varie persone, canoni e censi gravanti su case e terreni. “Le regole del Pio Monte furono confermate con Regio Assenso di Ferdinando IV l’8 agosto 1783, -scrive Marcello Gaballo- fu amministrato dalla Commissione Comunale di beneficenza, poi dalla Congregazione di Carità. Il patrimonio dell’istituzione nel 1927 ammontava a Lire 638.888,60”.

Le volontà testamentarie dei donatori furono rispettate sino agli anni ‘70 dello scorso secolo, quando la riorganizzazione sanitaria italiana rivide tutto

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