36 imprese ultra-centenarie della provincia di Lecce

Sviluppo del Mezzogiorno: 36 stimoli dal Salento

 

di Francesco Lenoci*

 

 

150 anni di Storia delle Camere di Commercio d’Italia, tra cui la Camera di Commercio di Lecce, a sostegno delle imprese . . .

36 Imprese ultra-centenarie della provincia di Lecce, tra cui una Banca, iscritte nel Registro  Nazionale delle Imprese Storiche di Unioncamere . . .

Cosa posso, preliminarmente, aggiungere io a quanto già detto dal Presidente della Camera di Commercio di Lecce Alfredo Prete e dal Presidente di Unioncamere Ferruccio Dardanello, che  mi hanno preceduto sul palcoscenico dello stupendo Teatro Paisiello, che illumina l’incantevole via Giuseppe Palmieri di Lecce?

Posso citare una meravigliosa frase di un grande musicista e compositore d’orchestra, Gustav Mahler: “Tradizione non è culto delle ceneri, ma custodia del fuoco”.

Fuoco . . .  L’Italia per ripartire non ha tanto bisogno di un decreto “Salva Italia”, di un decreto “Cresci Italia”. Il nostro Paese ha, soprattutto, bisogno di ravvivare quel fuoco. Ha, soprattutto, bisogno di riprendere a sognare e di realizzare quei sogni.

L’ho scritto tante volte nei giorni scorsi sulle bacheche di Facebook con riguardo a questo Evento, lo ribadisco oggi 18 aprile 2012 da Lecce:

“Se non si sogna. . . . non si progetta.

E se non si progetta. . . .non si realizza”.

Sognare, progettare, realizzare . . .  è la conditio sine qua non per uscire dalla crisi. La crisi. . .  La crisi che stiamo vivendo (rectius: subendo):

  • è una crisi  che, anche se ha preso le mosse dal sistema finanziario, non

Libri/ Spalancare la finestra del futuro

 

Spalancare da Casarano

la finestra del futuro

 

 Giovedì 17 novembre 2011, a Casarano (LE) presso l’Auditorium della Parrocchia Cuore Immacolato di Maria (Via Ungaretti 19), alle 19,00, sarà presentato il Libro di Francesco Lenoci “Spalancare la finestra del futuro”, Ed Insieme, settembre 2011.

Il Libro recepisce la lectio magistralis “Discorso ai Giovani nel nome di don Tonino Bello”, svolta da Francesco Lenoci a Molfetta il 18 giugno 2011.

Nel Libro si parla di giovani come generazione tradita, la più colpita dalla crisi, dalla disoccupazione, dalla recessione. Eppure l’autore confida nei giovani e li invita, con le parole di don Tonino Bello, a “danzare la vita” senza scoramenti.
Li esorta, anzi, a farsi organizzatori della speranza, preparandosi a svolgere ruoli da protagonisti nello sviluppo sociale e civile del Paese, specialmente nel mondo del lavoro, dove occorre essere consapevoli che un bravo

Parlava la lingua dell’orto – il salento maruggese

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VIVA  IL  DIALETTO, TUTTI  I  DIALETTI

 di Francesco Lenoci

Sono nato a Martina Franca, in Puglia,  nel 1958. Vi ho trascorso un’infanzia felice e una giovinezza altrettanto felice. Dopo aver conseguito la maturità scientifica, sono andato a Siena per gli studi universitari e, poi,  a Cagliari, dove ho prestato  il servizio militare. Dal 1983 vivo,  lavoro e insegno nella  seconda, per numero di abitanti, città pugliese d’Italia: Milano.

Il mio Amico Emilio Marsella è nato a Maruggio, in Puglia, ha studiato come me anche a Martina Franca e si è affermato professionalmente, come il sottoscritto, a Milano.

Non credo di sbagliare affermando che Milano è la città dove generazioni di  pugliesi hanno dato il meglio di sé. Perché Milano ti accoglie, ti stimola, ti offre un’opportunità . . .   che non puoi non cogliere . .  .  se hai “occhi di tigre”, “orecchie alla Dumbo” e voglia di fare strada.

Viviamo da tanti anni lontani dalla Puglia, ma “la lontananza” – come cantava Domenico Modugno – “spegne i fuochi piccoli e accende quelli grandi”. Non temo di essere smentito affermando che ai nostri nomi  non sarà mai affiancato il proverbio maruggese “Pi iddu, pi iddu, ognunu penza pi iddu”. La speranza è che trovi applicazione l’altro proverbio maruggese citato nel Libro: “Ci busca e dai a Mparatisu vai”.

Per promuovere il Libro di Emilio Marsella “Parlava la lingua dell’orto – il salento maruggese prima degli anni 30/40 del millenovecento e dopo” ED INSIEME, giugno 2009, ho, inter alia, creato un gruppo su Facebook denominato “Maruggio….Martina Franca….Milano….Maruggio”.

Sono i nidi ove è ambientato il Libro. Cominciano tutti con la lettera “M” . . . come Marsella.

Maruggio sta all’inizio e alla fine della denominazione del gruppo: ha la valenza di due nidi. Mi hanno chiesto in tanti. . . . perché? Lo rivelo questa sera, utilizzando l’incipit della recensione del Libro che un grande giornalista, un grande Amico mio e di Emilio Marsella, Franco Presicci, ha pubblicato su La Gazzetta della Puglia di aprile-luglio 2009.

Scrive Franco Presicci: “Difficile dimenticare il proprio nido. Ci sono uccelli che vi tornano sempre. E se il vento o la pioggia lo hanno irrimediabilmente disfatto, loro ne fanno un altro, ma nello stesso posto: lo stesso albero, un buco dello stesso fabbricato come i passeri, o  sotto lo stesso tetto come le rondini. Emilio Marsella non ha dimenticato la sua Maruggio. Il suo cuore batte sempre per Maruggio,  che campeggia  spesso nei suoi discorsi”.

Ho letto una prima volta “Parlava la lingua dell’orto” nel mese di gennaio 2009 a Milano. Da quella lettura è scaturita la mia prefazione al Libro. L’ho riletto la settimana scorsa a Martina Franca. Come diceva don Tonino Bello, mutuando un’espressione di Max Weber, “Un libro che non è degno di essere letto due volte, non è neppure degno che lo si legga una volta sola”.

Nel Libro giganteggia la figura della nonna di lu Miliu: nonna Checca. Il perché è spiegato a pag. 87: “Nel nido in cui accolse il figlio e i nipoti (dopo  la prematura morte della nuora) non fu più solo la nonna. Ma in assoluto la loro mamma Checca. I piccoli nipoti la chiamavano, infatti, sempre mamma: come la chiamava il figliolo. E lei fu sempre loro madre e nonna insieme”.

Ritengo  che giganteggi perché a me, proprio a me, fa venire in mente tanti ricordi. Nonna Checca aveva un figlio emigrato in Argentina, a Buenos Aires. Anche mia nonna, morta quattro anni prima che io nascessi, aveva un figlio emigrato a Buenos Aires. Prima di partire mio zio Giovanni diceva sempre: “Tutto andrà male….non mangerò più  fave…. che lui odiava”.

La nonna di mia madre – mammà – mi vide nascere; percorreva a piedi circa un chilometro per potermi tenere in braccio. A 93 anni ballava ancora la pizzica. A pag. 122  del Libro si apprende (per i ragazzi di oggi queste cose sono in gran parte sconosciute) che “Il gallo era per nonna Checca il primo segnale naturale del nuovo giorno  e della notte, che si era ormai conclusa all’apparire della luce. Udendolo cantare ancora, l’assecondava – Tuni cuntinui a rùsciri! Nui sapimu ca jè giurnu!

Più tardi, accanto al pollaio, reagiva debolmente, senza cattiveria, alle galline che la beccavano saltandole addosso  e strappandole dalle mani il mangime che spargeva. Il padre di Emilio, allorché si accorgeva che il pollame vorace  diventava aggressivo  e assaliva  nonna Checca graffiandola, subito interveniva per allontanarlo. Affettuosamente la esortava anche a stare attenta a non farsi pizzicare”.

Anche mia nonna aveva le galline in campagna: una, alla quale  era particolarmente affezionata, la portava anche in Paese. Quella sciagurata usciva dalla gabbia e andava in giro fino a quando veniva intercettata dai vigili urbani, che facendo sciò…sciò riuscivano a risalire alla casa da cui si era allontanata. Mia nonna era sempre riuscita ad evitare la multa.

Un brutto giorno, però, la gallina anziché coccodè cominciò a fare il verso del gallo. Era un presagio di sventura, come disse alla nonna tutto il vicinato. Mia nonna, a malincuore, ammazzò la gallina una mattina. Poche ore dopo, sul far della sera,  mia nonna morì, vittima di un incidente stradale.

Un tema che pervade il Libro è il rapporto docente/studente. Emilio Marsella ha incontrato docenti non bravi e docenti bravi. È un tema complicato: mi permetto solo di dire che quello del docente è un ruolo difficilissimo. Chi vi parla è un docente universitario che, spesso, ripete una meravigliosa preghiera di don Tonino Bello:

“Salvami Signore:

  • dalla presunzione di sapere tutto;
  • dall’arroganza di chi non ammette dubbi;
  • dalla durezza di chi non tollera ritardi;
  • dal rigore di chi non perdona debolezze;
  • dall’ipocrisia di chi salva i principi e uccide le persone”.

Continuerei a leggere parti del Libro, a  commentarle  e a ricordare per ore, ma non posso e non devo  farlo, perché siamo qui riuniti, soprattutto, per ascoltare Emilio Marsella e, quindi,  mi avvio alle conclusioni.

Che cos’è un maestro di cultura?

Come dimostra da par suo, Emilio Marsella, anche con “Parlava la lingua dell’orto”, è colui che ha la capacità di viaggiare nel tempo e nello spazio, discernendo le cose positive nella pittura, nella scultura, nella poesia, nella letteratura,  nella musica, nella storia. . . . nella vita quotidiana.

E perché un maestro di cultura utilizza anche il dialetto?  Semplicemente perché il dialetto esprime al meglio, da sempre,  ciò che l’uomo è.

Grazie, grazie di cuore, Amico mio.

Un punto fermo.  Non c’è partita tra la capacità espressiva del dialetto, di ogni dialetto, e della lingua italiana. Provo a spiegarlo ricorrendo a degli esempi. Ho prestato il servizio militare, tanti anni fa, a Cagliari e, precisamente, nella caserma “Monfenera”  nel 51° Reggimento Fanteria “Sassari”. Il motto di noi  “Sassarini” era ed è: SA VIDA PRO SA PATRIA. Non c’è traduzione che renda con altrettanta forza, musicalità  e immediatezza tale motto.

Emilio Marsella mi ha portato copia del Libro nel mio studio a Milano. Dalle finestre dallo studio si vede la Madunina tuta d’ora e piscinina.  Sappiamo tutti che tale definizione è tratta dalla celeberrima canzone di Giovanni D’Anzi:

O mia bela Madunina che te brillet de lontan

tuta d’ora e piscinina, ti te dominet Milan

sota a ti se viv la vita, se sta mai coi man in man…

Lo ribadisco: non c’è traduzione che renda con altrettanta forza, musicalità e immediatezza ciò che rappresenta la Madonnina per chi vive a Milano.

Un  secondo punto fermo. Se  perdiamo la memoria delle tradizioni, cui è imprescindibilmente legato il dialetto, perdiamo tanto . . .  quasi tutto.

Nella prefazione al Libro trovate  un esempio riferito al periodo di  Carnevale che, come noto, precede la Quaresima. Ebbene, non penso di sbagliare  molto affermando che, ai giorni nostri, il Carnevale e la Quaresima sono scaduti alla condizione di pure espressioni nominali. Fino a qualche anno fa non era così! Non mi stancherò mai di ripeterlo: le tradizioni sono un dono immenso dei nostri avi su cui occorre puntare per assicurare un futuro a noi e ai nostri figli, avendo presente ciò che diceva un grande compositore e direttore d’orchestra austriaco, Gustav Mahler: “Tradizione non è culto delle ceneri, ma custodia del fuoco”.

Sono più che convinto che se si affievolisce la vitalità del dialetto . . . la conseguenza è una ed una sola: la scomparsa di un bagaglio di saggezza unico al mondo: la nostra identità culturale. Favorendo l’affermazione, in esclusiva, di un idioma sintetico. . . . stiamo distruggendo l’originalità delle nostre radici storiche e culturali. Nel libro biblico dei “Proverbi” si legge che “I detti popolari valgono a conferire al fanciullo avvedutezza e al giovane sapere e intelligenza. Il saggio che li ascolta diventerà più saggio e l’intenditore possederà di che governarsi”.

Mettendo per un attimo il berretto da economista, mi permetto di sottolineare che rinunciare alla nostra identità culturale ha come conseguenza immediata il venir meno di un  “vantaggio competitivo”. E allora . . . . grazie di cuore a coloro che si impegnano per la salvaguardia dei dialetti, tra cui Emilio Marsella.

Mi avvicino alle conclusioni, rivelandovi un segreto: che cos’è il dialetto per noi.

Un terzo  ed ultimo punto fermo.  Il dialetto è  un’esplosione di gioia. Ho fatto gli studi universitari a Siena. Eravamo in tanti di Martina Franca. Ebbene,  c’era un mio amico che studiava a Firenze: appena poteva, correva a Siena…. per poter parlare in dialetto con noi. Ho lavorato in una multinazionale americana. Mi dicevano i miei insegnanti di inglese: il segreto per poter parlare bene la lingua inglese….è pensare in inglese; mai pensare in italiano e poi tradurre! Non ho mai avuto il coraggio di confessare ai miei insegnanti che pensavo in dialetto, traducevo in italiano e, quindi, traducevo in inglese. La mia fortuna era che, avendo il dialetto nel DNA, riuscivo ad essere veloce….non mi facevo scoprire.

I miei genitori hanno messo al mondo due figli: mia sorella, che ha sei anni più di me e il sottoscritto. Sapete come mi chiamano? Mi chiamano:  u peccinne.

Un famoso slogan pubblicitario di qualche anno fa recitava: “Una telefonata. . . . allunga la vita”. A me fa molto. . . molto di più. Se telefono da Milano o Chicago a Martina Franca, quando mio padre comunica a mia madre che al telefono c’è  u peccinne,io, che ho più di cinquant’anni e  peso più di  novanta chili, grazie alla magia del dialetto, riesco a viaggiare nel tempo e nello spazio, tornando  .  . .  bambino . . .  a Martina Franca . . . con i miei genitori.

Sia lode e gloria al dialetto, a tutti i dialetti! Sia lode e gloria a Emilio Marsella che, con “Parlava la lingua dell’orto” suscita una nostalgia  che prende il cuore e lo riempie, allo stesso tempo….  di malinconia per il tempo che fu e le persone a noi care …. di amore, tanto amore, verso la nostra terra d’origine.

Viaggi Letterari in Puglia

VIAGGI  LETTERARI IN PUGLIA

 di Francesco Lenoci

Patriae Decus Città di Martina Franca, Docente Università Cattolica del Sacro Cuore – Milano, Vicepresidente Associazione Regionale Pugliesi – Milano

 A distanza di due anni circa torniamo ad incontrarci, in nome della Puglia, nella splendida sala Barozzi del meraviglioso palazzo che ospita l’Istituto dei Ciechi di Milano.  Che bello!

Per la precisione era sabato 29 marzo 2008 e il titolo del Convegno, anche allora organizzato da Edizioni del Rosone “Franco Marasca” con il patrocinio dell’Associazione Regionale Pugliesi di Milano, era: “La Puglia con la Capitanata a Milano: occasioni letterarie, enogastronomiche, economiche”.

Pochi giorni prima di quel convegno la professoressa Falina Marasca mi aveva cortesemente fatto avere tre libri del professor Francesco Giuliani pubblicati da Edizioni del Rosone: “Occasioni letterarie pugliesi”, “Saggi, scrittori e paesaggi” e “Alfredo Petrucci”.

A fine autunno 2009 Francesco Giuliani mi ha fatto avere un altro libro “Viaggi novecenteschi in terra di Puglia”. In buona sostanza, l’autore prosegue senza soluzione di continuità nell’acuta e meticolosa ricerca dedicata alle memorie letterarie della regione Puglia.

I quattro citati libri sono inseriti nella collana “Testimonianze”, diretta da Benito Mundi, sulle cui copertine campeggia una meravigliosa frase: “È bello dopo il morire. . . .vivere ancora”.

Edizioni del Rosone diffonde informazione, diffonde cultura da ben 32 anni! Grazie!

Un punto fermo: strappare il segreto e diffondere l’informazione – da sempre –  è l’unico strumento per la democratizzazione di ogni realtà giuridica di tipo collettivo.

Un altro punto fermo: la cultura va  intesa come intervento nella storia,  modellato dal sapere e fortificato dalla saggezza.

E non come mezzo di arroccamento nei propri territori. Guai a chi si rinchiude nel borgo! Guai a chi ha piedi e testa nel borgo!

Come ci ha insegnato un grande profeta (nato ad Alessano, parroco a Tricase, vescovo a Molfetta), don Tonino Bello:

  • la cultura è impegno, servizio agli altri, promozione umana come il riconoscimento della persona libera, dignitosa e responsabile;
  • la cultura è cemento della convivenza, orizzonte complessivo, strumento di orientamento, alimento di vita;
  • l’elaborazione culturale diventa una via obbligata per individuare stili di vita, modalità di presenza e di comunicazione, attenzione alle attese delle persone e della società, per esprimere le ragioni della speranza e accettare responsabilità in spirito di servizio.

Lo ribadisco: Edizioni del Rosone diffonde informazione, diffonde cultura da ben 32 anni! Grazie. . . . grazie di cuore, a nome dei pugliesi…ovunque essi vivano e dei tanti innamorati della Puglia.

Perché vi ho raccontato questo?

Perché tradizionalmente la Puglia è ritenuta povera di letteratura.  Ma si tratta di una visione che rispecchia solo una parte della realtà e che, spesso, viene riproposta in modo superficiale.

Grande merito di Francesco Giuliani è di aver contribuito a  smentire con i fatti il citato pregiudizio, evidenziando in che modo il territorio pugliese ha offerto l’occasione per la nascita di pagine di ispirata letteratura, per incontri e riflessioni di particolare rilievo.

Complimenti!

Non posso, peraltro, tacere che Francesco Giuliani ha commesso un errore grave, un errore imperdonabile, un errore blu, mercoledì 3 febbraio 2010, allorquando mi ha inviato, tramite e-mail delle 19,34, alcune recensioni di “Viaggi novecenteschi in terra di Puglia”.

Ovviamente mi sono guardato bene dal leggerle per il semplice, banale motivo che la lettura di un libro è un piacere. . . .ma se è guidata da qualcuno. . . .che piacere è?

Come scrive Kazimiera Alberti: “La felicità si può misurare in due modi: con gli occhi della folla e con il tremore del proprio cuore. Ma queste sono due misure del tutto differenti” (Cfr. pagg. 173-174).

Condivido pienamente: nessuno può privare il mio cuore, la mia mente e la mia anima del piacere di leggere un libro e delle emozioni che  scaturiscono dalla circostanza che all’occhio che legge si aggiunge la fantasia che varia, suggerisce e  abbellisce. Prenderò visione delle citate recensioni dopo San Valentino.

Ho letto una prima volta “Viaggi novecenteschi in terra di Puglia” negli ultimi giorni dell’anno 2009 a Martina Franca.

L’ho riletto questa settimana a Milano e durante un viaggio in treno a Roma.

Come diceva don Tonino Bello, mutuando un’espressione di Max Weber, “Un libro che non è degno di essere letto due volte, non è neppure degno che lo si legga una volta sola”.

Per promuovere il libro di Francesco Giuliani “Viaggi novecenteschi in terra di Puglia” Edizioni del Rosone, 2009, ho, inter alia, creato un gruppo su Facebook denominato “Viaggi….in terra di PUGLIA” (1.081 membri), che accoglie due Eventi: “I VIAGGI LETTERARI sostano A SAN SEVERO” e “I VIAGGI LETTERARI sostano A MILANO”, ai quali ho invitato 6.000 persone.

Perché ho fatto tutto questo?

Perché mi ha intrigato l’idea che è venuta a Francesco Giuliani di vedere la Puglia attraverso gli occhi di un altamurano residente a Roma, di una scrittrice polacca e di un grande senese. Faccio spiegare l’arcano da un avatar: il suo nome è Bairon.

Sussurra  Bairon a Kazimiera Alberti: “Oggi sono venuto a Bari per rivedere questa città nuova”. . . . e fa una richiesta sorprendente: “Vi prego di farmi da guida”.

“Io!? Ma io sono una straniera, non lo sapete?”

“Lo so benissimo! Appunto per questo vi prego. Lo straniero vede sempre le cose caratteristiche. Lo stesso quadro ammirato per la prima volta fa altra impressione che visto per anni, giorno per giorno. Gli occhi si abituano molto presto ed ogni cosa osservata, la più bella o la più strana, diventa normale, schematica, forse anche noiosa. Gli occhi dello straniero sono più freschi, vedono quei contorni che sfuggono all’attenzione dello stabile abitante, vedono i riflessi in quelle macchie che per tutti gli altri sono opache” (Cfr. pagg. 180-181).

Oggi, sabato 13 febbraio,  siamo a Milano e, come affermano  Totò e Peppino De Filippo in un celeberrimo film, allorquando arrivano a Milano vestiti con pellicce e colbacchi: “A Milano fa freddo”.  In Puglia no, per definizione!

Rileva Kazimiera Alberti: “Non aver molta fiducia nel calendario. Anche esso tradisce, falsifica, inganna. Ritarda, avanza, senza motivo. Oggi, per esempio, ti comanda di credere che è il 12 febbraio. Ma guarda invece il cielo, il mare, l’intero Golfo di Manfredonia tagliato in forma di falce ideale. Guarda la montagna garganica. La giornata primaverile ha cancellato l’iscrizione 12 febbraio e si fa beffe del calendario. Ha immerso tutto nel turchese” (Cfr. pag. 171).

Cesare Brandi non era stato altrettanto fortunato. Narra che, una volta, giungendo in Puglia nella stagione più fredda vi trovò la neve, per quanto dall’effimera esistenza. La sgradevolezza di tale presenza è descritta da par suo: “Lo scrivo senza paura, perché a me la neve fa schifo, ipocrita, menzognera e, quanto più è linda e immacolata, tanto più è ipocrita e menzognera. Che simbolo inetto, che metafora stantia, questa purezza che si scioglie al primo calore, questa immacolatezza che s’insudicia subito…. I paesi che Cesare Brandi ama sono quelli dove non nevica mai, dove non si chiede la purezza alla neve e la saggezza al freddo e tra questi rientra di norma anche la Puglia, dove il sole brucia quasi sempre e le precipitazioni nevose sono solo un’eccezione che conferma la regola” (Cfr. pag. 230).

Lo sappiamo tutti: anche in Puglia nevica non di rado. Quello che sanno in pochi (io l’ho appreso dal mio Amico Franco Presicci) è che i nostri Avi, grazie ad un diffuso spirito imprenditoriale, riuscivano a trasformare quella che è ancora adesso una calamità, ben nota a coloro che vivono a Milano, in un’opportunità.

A partire dal Settecento i pugliesi conservavano la neve nelle neviere. E quando non nevicava lasciano le neviere inutilizzate? Certo che no! I proprietari e gli appaltatori delle neviere facevano arrivare la neve dalla Basilicata, dalla Calabria e, persino, dalla Grecia.

Dalla neve, diventata ghiaccio nelle neviere, gli abitanti di Martina Franca in particolare, ricavavano e vendevano, in estate, i famosi e voluttuosi sorbetti al limone, al rosolio, alla menta, al vin cotto (Cfr. Angelo Marinò, Martina Franca Ieri, Edizioni AGA, 1993, pagg. 27-28).

Che cosa bella. . . . la capacità di creare valore!

Che cosa bella ….la spiritualità! Utilizzo le bellissime parole di Rocco De Rosa: “Le rocce del Gargano sono diverse da quelle solite che s’incontrano ai bordi delle strade: più incisive, più profonde, più eloquenti. Quasi umane nel loro aspetto. Dimostrazione di umiltà e di ubbidienza, quelle rocce non disegnano scenari fastosi, né mondi fondati sulla gloria, il lusso, la potenza. Tutt’altro. . . . Il Gargano è luogo di pace.  È una terra speciale, che ha ospitato il Frate giunto da Pietrelcina, che ha scelto quella terra come suo approdo, perché corrispondente al suo disegno interiore. Lui è testimonianza e storia, avvertono  le rocce” (Cfr. Rocco De Rosa,  L’universo di Padre Pio, Rubbettino  Editore 2006, pag. 13).

Che cosa bella. . . . la lealtà! Osserva Nicola Serena di Lapigio: “A una svolta, Monte Sant’Angelo appare sulla vetta, bello perché è sempre meraviglioso a vedere un paese antico sopra una grande altura: un paese che par viva di sogni e dove gli uomini pensosamente raccolti nel sublime isolamento della montagna, stretti fra loro dalla comune gioia di vivere in alto, discosti da deprimenti traffici e da ammorbanti miasmi, sembra che lassù debbano sentirsi veramente puri e finalmente fratelli, non avendo da lottare  che contro i venti e le nubi, nemici formidabili ma aperti” (Cfr. pag. 95).

Che cosa bella ….quando si associano estetica ed etica! Secondo Cesare Brandi l’amore per l’arte e la natura portano sempre con sé, come necessario risvolto della medaglia, il dovere di difendere questo patrimonio prezioso, indispensabile all’uomo per non perdere la sua umanità, il suo valore aggiunto” (Cfr. pagg. 208-209).

Ammonisce Brandi, con grande saggezza e lungimiranza: “L’opera d’arte non è l’eterno ritorno: è l’eterna presenza. Se fa tanto di partirsene una volta, non ritorna più . . . .La Puglia non deve tradire le proprie tradizioni e le proprie radici, nell’acritica accettazione dei tempi nuovi (Cfr. pag. 212).

Una delle  località  pugliesi predilette da Cesare Brandi è Martina Franca, cui nel 1968 dedica un intero libro.

Quel libro ….ve lo mostro ….fu pubblicato a Milano,  da Guido Le Noci, cugino di mio nonno. Il mondo è proprio piccolo! In quel libro l’arte della scrittura ingaggia una vera e propria gara di bravura con l’arte della fotografia.

Lascia sbalorditi l’entusiasmo che Cesare Brandi, un figlio della meravigliosa Siena,  che ha girato il mondo col berretto di critico d’arte, manifesta per la Valle d’Itria (gli spazi verdi, costellati di trulli, tra Martina Franca, Locorotondo e Cisternino) e Martina Franca.

Vi leggo due frammenti, riportati in “Viaggi novecenteschi in terra di Puglia” di quella che mi piace definire “Dichiarazione d’amore”.

“Nessuna campagna è più festosa di questa (della Valle d’Itria), che è come un girotondo di bimbi, l’illustrazione benevola di una fiaba, il pianeta d’un’età privilegiata e innocente. Ma è pure come uno scampanio silenzioso che fa echeggiare, nel più riposto del cuore, ricordi sopiti e subitanei, di mattini lieti e di scampagnate festive, d’un’età perduta che sembra di ritrovare come un vestito in fondo a un cassetto o un fiore dentro un libro” (Cfr. pagg. 226-227).

“Martina Franca, capitale del rococò, è unica nel suo genere, con le sue decorazioni, con i suoi fregi, che la rendono un piccolo miracolo appartato e tranquillo, il riflesso tutto di fantasia d’una cultura per sentito dire, come fosse polline venuto da lontano, portato dal vento e lì caduto. C’è un clima che rende tutto possibile, persino incontrare in piazza qualche celebre musicista, come Paisiello o Mozart” (Cfr. pag. 227).

Mi avvio alle conclusioni.

Per comprendere una realtà urbana della Puglia, nota la polacca Kazimiera Alberti, bisogna guardare all’aperto, al di fuori delle case, altrimenti si rischia di essere parziali o superficiali. “A Bisceglie, ad esempio, la  via è casa, magazzino, laboratorio, passeggiata, tribunale ove sarà definito ogni litigio, chiesa per la quale passa la processione, sala di conferenza per adunate e comizi, palestra nella quale i ragazzi provano le loro prime forze sportive e altana sulla quale giovani e vecchi si baciano” (Cfr. pag. 147).

Ritengo che a Bisceglie . . . .in Puglia la situazione sia significativamente mutata….ma quanta nostalgia.

Per descrivere tutto ciò, la prosa non basta….occorre la poesia. La poesia, meravigliosa, s’intitola “Sogno” ed è di Elena Casavola.

S O G N O

Giorni  d’estate:

vicoli  bianchi

inondati  dal  sole,

panni  stesi  ad  asciugare,

una  vecchia  sull’uscio

a  sbucciare  le  fave.

Giorni  d’estate:

vociare  di  bimbi

che  giocano  al  soldo,

un   ferro  da  stiro

ruotato  nel  vento,

donne  che  filano

il  fuso  lanciato

nel  mezzo  alla  strada.

Giorni  d’estate:

nell’aria  pura  profumo

di  rose  e  gelsomini,

insieme  ai  trilli  e  al  cicalio.

Da  lontano, scandito  dai  passi,

il  ticchettio  del  bastone

di  un  vecchio  signore

che  lento  rientra.

Gli  vado  incontro  leggera . . . .

Ora:

le vecchie

stanno rinchiuse nei piani

alti dei condomini,

i  loro  fusi  abbandonati

arrugginiscono  nelle  soffitte.

I bimbi, fermi, sono

incantati dai falsi giochi

sui  teleschermi.

Non splende il sole

sui loro visi, non  fanno  crocchio

nelle  stradine.

Nei vichi spenti s’aggirano lenti 

volti  sparuti di  clandestini.

Meglio sognare! 

Com’era una volta 

quel mondo semplice senza  tv,

senza  telefono,

senza  automobili,

senza merende di crema e cacao,

coi  denti  bianchi

che masticavano anche le pietre.

Non c’era  in casa l’acqua

corrente  e neanche bagni

lucenti di specchi.

Ci si lavava  in  una  tinozza

e la doccia era un secchio

che la mamma sul capo

ti rovesciava.  E si sognava!

Ora non più. 

Concludo. Sia lode e gloria a Francesco Giuliani e a Edizioni del Rosone che, attraverso il libro “Viaggi novecenteschi in terra di Puglia”, hanno lanciato un messaggio chiaro e forte che  giungerà a tante persone,  tra cui  tanti visitatori della BIT di Milano che si svolgerà la prossima settimana: “Gentili Signore e Signori, vi consigliamo di visitare questo giardino megalitico e vi assicuriamo che non vi annoierete. La Puglia è regione per turisti molto intelligenti; è vietato l’ingresso alle menti torpide” (Cfr. pag. 132).

È per tutto questo che, in nome dell’Associazione Regionale Pugliesi di Milano e per conto di tutti i pugliesi, mi permetto con grande gioia di dare un consiglio fraterno.

Andate in Puglia….rectius Venite da noi in Puglia:                           .

  • per vivere i colori delle terre di Puglia;
  • per vivere i sapori delle terre di Puglia;
  • per vivere la letteratura delle terre di Puglia;
  • per vivere la spiritualità delle terre di Puglia;
  • per vivere. . . .consapevoli di quanto sia bello dopo la morte . . . . vivere ancora.

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