Il caldo, l’acqua e il motore di ricerca… (prima parte)

di Armando Polito

Nardò, la Palude del capitano

Qualche amico napoletano commenterebbe il titolo con le parole chisto è pazzo e mi risparmio pure di immaginare quale locuzione più o meno simile userebbero i miei conterranei, anche per quell’inquietante prima parte. La colpa, però, in un certo senso, non è solo mia, se un mio post dell’anno scorso, Oggi parliamo di caldo. Tutta colpa del verbo latino calère compare, per me ormai come un incubo, tra quelli più letti, anche in pieno inverno. Non so ancora oggi spiegarmi il motivo di tanto successo per un contributo che io stesso giudico modestissimo, anche se il suo attuale imperversare in classifica è senz’altro legato al fatto che caldo è la parola più probabilmente ricercata in questo periodo attraverso gli appositi motori. È ovvio che chiunque cercava un qualche refrigerio è rimasto deluso e avrebbe fatto meglio a bersi un semplice bicchiere di acqua, ma è proprio quest’ultima parola che mi ha fatto venire l’idea di scrivere un’altra scemenza per vedere se e quanto essa sia competitiva rispetto a quella prima citata. E poi, siccome sono, oltre che pazzo, anche un po’ vigliacco voglio proprio vedere quale trattamento sarà riservato al buon Plinio che, in fondo, è il vero autore di questo post.

L’acqua è, tra tutti, l’argomento al quale il naturalista latino del I° secolo d. C. dedica il maggior spazio nella sua opera e non poteva essere altrimenti perché la fondamentale importanza di questo elemento per l’umanità è cosa nota fin dagli albori della vita in genere. Sulla consapevolezza attuale di questa importanza getto il solito velo pietoso e non mi ergo certo a moralista pensando che, solo per fare un esempio, chi di noi non ha rimpianto un affetto (col quale, tuttavia, non ne andava di mezzo la vita fisica) solo quando

Oggi parliamo di “caldo”. Tutta colpa del verbo latino “calère”!

Il responsabile del caldo e di altri inconvenienti a Nardò e non solo

di Armando Polito

 

 

CÀUTU

(in italiano caldo): o si ipotizza la derivazione (come per la voce italiana) dal latino càlidu(m) (dal verbo calère=aver caldo) attraverso i passaggi càlidu(m)>cadu(m) (sincope di -li-), càudu(m) (passaggio -à->àu per compenso dell’avvenuta sincope)>càutu, oppure bisogna pensare ad una derivazione dal francese chaud (meno probabile per la presenza di due fenomeni contrari: a) -au- letto com’è scritto; b) -ch- letto come -c- (senza aspirazione). Voci derivate: cautùsu (non esiste corrispondente italiano formale; semanticamente focoso esprime solo il primo dei due significati che la voce dialettale ha : sessualmente caldo oppure insensibile al freddo) e scautàre (da notare che il dialetto si rivela estremamente economo, dal momento che per esprimere lo stesso concetto l’italiano ha messo in campo scottare (da un latino *excoctàre, intensivo di excòquere=cuocere), mentre scuttàre (=eliminare l’acqua o altro liquido) in neritino corrisponde all’italiano sgottare (dal latino ex=fuori da+guttum=vaso molto stretto; per me non è da escludere come secondo componente il latino gutta=goccia).

SCARFÀRE (in italiano scaldare): dal latino excalefàcere=riscaldare, a suo volta composto da ex con valore intensivo+la radice cal– del già citato calère=esser caldo+fàcere=fare, rendere; la trafila è stata: excalefàcere>*xcalèfàcere>*scalefàcere>*scarefàcere>*scarfàcere> scarfàre. Di scarfàre esiste anche la forma incoativa-intensiva scarfisciàre=iniziare a fermentare, in riferimento al cibo avariato e, al solo participio passato (scarfisciàtu), anche a persona che dà fastidio, antipatica.

QUATÁRA (in italiano caldaia): da càutu attraverso la trafila: *cautàra>*cuatàra>quatàra. Diminutivi di quatàra, in ordine decrescente di dimensione, sono: quatarèddha, quataròttu e quataruttièddhu, attrezzi in dotazione alle cucine “economiche” di un tempo; oggi abbiamo pentole di ogni forma e dimensione, lucidate a specchio, con maniglie aerodinamiche, magari con doppio o triplo strato antiaderenza che non fa incollare i cibi ma ti accolla prima o poi malattie varie, cancro compreso. Da quatàra è derivato ache il verbo ‘nquatàrare=sporcare di fuliggine o sporcare in genere, da in+quatàra, con aferesi di i-.

CARDARÌNA (in italiano il corrispondente solo formale è caldarina che, con la variante calderina, indica una piccola caldaia a vapore ausiliaria delle caldaie principali): stessa etimologia della voce italiana, che è diminutivo di caldara, forma obsoleta di caldaia, che è dal latino tardo calidàri(am)=che scalda, dal classico più volte ricordato calère=esser caldo. Cardarìna in dialetto neritino indica il mastello metallico usato dai muratori nonché (unito o no a ti li mundèzze=dell’immondizia) la pattumiera.

Ora sappiamo con chi dobbiamo prendercela se il caldo comincia a darci fastidio, se il cibo non sa proprio di fresco, se siamo costretti a sgrassare manualmente le pentole (anche quelle col triplo rivestimento antiaderenza…) prima di affidarle alla nostra ipertecnologica lavastoviglie, se le pattumiere cominciano (o continuano?) a non essere sistematicamente svuotate: con il padre di tutti questi inconvenienti, il verbo latino calère.

E gli uomini (a cominciare da noi stessi…) e le istituzioni? Basterà scomodare lo stesso verbo nella forma (l’unica) in cui si è perpetuato in italiano (dal significato originario di esser caldo a quello di essere inquieto, eccitato, in vigore, spinto con slancio fino a quello finale di importare) e che sarebbe obsoleta se non fosse stata rivalutata (!) nella canzone Cicale cicale (di Tony De Vita, Franco Miseria, Antonio Ricci e Alberto Testa, cantata a Fantastico 1981 da Heather Parisi) in un gioco di parole che rasenta il nonsense (cicale/ci cale). Ricordiamoci, però, di premettere la negazione: non ce ne cale; e la frittata sarà pronta…

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