Taranto, piazza Ebalia: le origini di un toponimo

di Armando Polito

La frenesia della vita moderna e la curiosità riservata ad interessi certamente più frivoli consentono quotidianamente solo di fagocitare senza nemmeno un accenno di gusto e tantomeno di digestione una caterva di dati, tra i quali spiccano i nomi delle vie e delle piazze, imprescindibili per giungere a destinazione utilizzando i moderni navigatori installati sulla nostra auto. Pure il pedone, però, sia pur nel corso di una tranquilla passeggiata, difficilmente riserverà più di un fugace sguardo al nome impresso su una tabella viaria in una forma grafica, pergiunta, talora discutibile, come ho già ho avuto modo di dire per Taranto in https://www.fondazioneterradotranto.it/2016/07/06/archita-da-taranto/.

A proposito del toponimo di oggi premetto di ignorare la data in cui tale denominazione fu data alla piazza, ma confido nell’aiuto di qualche studioso di storia locale per la doverosa integrazione, anche se può sembrare paradossale che l’individuazione di quest’ultimo dettaglio sia rimasta disattesa, mentre estremamente chiaro è, come vedremo, il percorso che a suo tempo sottese tale designazione.

Di seguito riporto, senza tergiversare, in ordine cronologico, tutte le fonti a disposizione  (testo originale e, di mio, traduzione ed eventuali note) prima di operare tra loro la scrematura fino ad individuare quella che più attendibilmente ispirò il nostro toponimo.

1 LICOFRONE (III secolo a. C.), Alessandra, 1123-1125:  Ἐμὸς δ´ ἀκοίτης, δμωίδος νύμφης ἄναξ,/ Ζεὺς Σπαρτιάταις αἱμύλοις κληθήσεται,/τιμὰς μεγίστας Οἰβάλου τέκνοις λαχών (Il mio sposo, padrone di servile ninfa, sarà chiamato Zeus dagli accorti Spartani ricevendo grandissimi onori dai figli di Ebalo).

2) VIRGILIO (I secolo a. C.)

a) Georgiche, IV, 125-128: Namque sub Oebaliae memini me turribus arcis,/qua niger umectat flaventia culta Galaesus,/Corycium vidisse senem, cui pauca relicti/iugera ruris erant, nec fertilis illa iuvencis/nec pecori opportuna seges nec commoda Baccho (E infatti ricordo di aver visto sotto le torri della rocca ebalia, dove il tenebroso Galeso bagna bionde coltivazioni, un vecchio di Corico che possedeva pochi iugeri di terreno abbandonato e quel suolo non era fertile per i giovenchi né adatto al gregge né favorevole a Bacco).

b) Eneide, VII, 733-741: Nec tu carminibus nostris indictus abibis,/Oebale, quem generasse Telon Sebetide Nympha,/fertur, Teleboum Capras cum regno teneret/iam senior; patriis sed non et filius arvis/contentus late iam tum ditione tenebat/Serrastes populos, et quae rigat aequora Sarnus,/quique Rufras Batulumque tenent atque arva Celemnae/et quos maliferae despectant moeniae Abellae (Né tu, Ebalo, passerai non ricordato dal mio canto, tu che si dice abbia generato Telone dalla ninfa Sebetide mentre reggeva già vecchio Capri con il regno dei Teleboi, ma pure il figlio non contento dei campi paterni già allora teneva sotto il suo potere i popoli serrasti e i campi di Celenna e le genti che sono di fronte alle mura di Avella produttrice di mele

3) OVIDIO (I secolo a. C.)

a) Remedium amoris, 458-459 : Et Parin Oenone summo tenuise ad annos/si non Oebalia pellice laesa foret (Ed Enone avrebbe tenuto per sé Paride fino agli ultimi anni, se non fosse stata offesa dall’adultera ebalia)

b) Fasti, I, 260: Protinus Oebalii rettulit arma Titi (Subito riferì della guerra dell’ebalio Tito)  

4) VALERIO FLACCO (I secolo), Argonautiche, I, 422-123:  … et Oebalium Pagaseia puppis alumnum/spectet … ( … e la poppa di Pagaso1 osservi il discendente di Ebalo2…).    

5) PUBLIO PAPINIO STAZIO (I secolo), Achilleide I, 20: Solverat Oebalio classem de littore pastor (il pastore aveva fatto salpare la flotta dalla costa ebalia). 

6) PAUSANIA (II secolo)

Periegesi della Grecia

a) 3, 1, 3: Ἀποθανόντος δὲ Ἀμύκλα ἐς Ἄργαλον τὸν πρεσβύτατον τῶν Ἀμύκλα παίδων καὶ ὕστερον ἐς Κυνόρταν Ἀργάλου τελευτήσαντος ἀφίκετο ἡ ἀρχή. Κυνόρτα δὲ ἐγένετο Οἴβαλος. οὗτος Γοργοφόνην τε τὴν Περσέως γυναῖκα ἔσχεν ἐξ Ἄργους καὶ παῖδα ἔσχε Τυνδάρεων, ᾧ περὶ τῆς βασιλείας Ἱπποκόων ἠμφισβήτει καὶ κατὰ πρεσβείαν ἔχειν ἠξίου τὴν ἀρχήν (Morto Amicle il regno passò ad Argalo il più vecchio dei suoi figli e poi, morto Argalo, a Cinorta. Da Cinorta fu generato Ebalo; questi ebbe come moglie Gorgofone figlia di Perseo nativa di Argo e come figlio Tindareo, con il quale Ippocoonteentrò in contrasto e riteneva di diritto sal potere per anzianità).

b) 4, 14, 6: Πυθομένοις δὲ ἐν κοινῷ μὲν οὐδέν σφισιν ἐξεγένετο ἀνευρεῖν σοφόν, Οἴβαλος δὲ τὰ μὲν ἄλλα οὐ τῶν ἐπιφανῶν, γνώμην δὲ ὡς ἐδήλωσεν ἀγαθός … (Per essi che avevano deliberato in comune non ci fu possibilità di trovare un espediente, ma Ebalo, tra l’altro uomo non tra i più noti, ma sagace, come mostrò …). 

7) CLAUDIANO (IV-V secolo), Panegorici. XVII, 158: Famosum Oebalii luxum pressere Tarenti: (Oppressero il famoso lusso dell’ebalia Taranto).

Le fonti appena riportate ci tramandano le seguenti forme:  

Οἰβάλου (1) genitivo di Οἴβαλος, nome proprio di persona, la stessa di 6a.

Oebaliae (2a). teoricamente potrebbe essere genitivo di Oebalia, nome proprio senza altre attestazioni oppure sempre genitivo femminile singolare, ma dell’aggettivo Oebalius/a/um. Nel primo caso Virgilio ci farebbe intendere che nelle vicinanze di Taranto (inequivocabilmente ce lo indica il Galeso citato negli stessi versi) esisteva una città di nome Ebalia e, quindi, Oebaliae arcis andrebbe tradotto con della rocca di Ebalia; nel secondo, invece, con della rocca ebalia, cioè rocca di Ebalo, il mitico re citato da Pausania in 5a. Queso brano, come indicato, fa parte del terzo libro dedicato alla Laconia, la cui capitale, com’è noto, era Sparta. Rocca ebalia, perciò, mi pare possa essere interpretato come perifrasi per Taranto, che, com’è arcinoto, fu fondata da coloni provenienti da Sparta, per cui rocca ebalia vale non come città fondata da Ebalo ma da suoi discendenti, cioè, genericamente, città di fondazione spartana.     

Oebale (2b) vocativo di Oebalus, nome proprio maschile,  ma appare personaggio diverso dall’Ebalo che ho ricordato a proposito del brano precedente: anzitutto Virgilio lo colloca nell’elenco dei condottieri raccolti da Turno per combattere contro Enea e i Troiani nonostante il parere contrario del re Latino e in secindo luogo la sua sfera di influenza e di azione non esula fino a quel momento dall’ambito campano.

Oebalia (3a), ablativo femminile singolare di Oebalia. Qui (a differenza di 1a) può essere solo aggettivo. L’adultera Ebalia è Elena, per la quale Paride tradì la ninfa Enone. Qui, dunque, ebalia è sinonimo di spartana.  

Oebalii (3b e 7).genitivo maschile singolare dell’aggettivo Oebalius/a/um. Nel primo brano Tito Tazio, re dei Sabini, che fece guerra ai Romani dopo il famoso ratto, qui è chiamato ebalio, cioè spartano, per i legami che secondo  Dionigi di Alicarnasso3 (I secolo a. C.) e Plutarco4 (I secolo d. C.) univano Sabini e Spartani. Nel secondo brano Oebalii è attributo di Tarentum.

Oebalium (4) accusativo maschile singolare dell’aggettivo Oebalius/a/um.

Oebalia (5) ablativo femminile singolare dell’aggettivo Oebalis/a/um. Come in 2a è sinonimo di spartana, qui, però con riferimento geografico e non a persona.

Οἴβαλος (6a e 6b) nominativo singolare, nome proprio di persona. Non si tratta, tuttavia di un unico personaggio, essendo quello del primo brano (presente anche al genitivo Οἰβάλου in 1)  re di Sparta, quello del secondo uomo dichiaratamente poco in vista. E che si tratti di persone diverse è confermato dal fatto che uil primo è nominato nel terzo libro (che è dedicato alla Laconia), il seconso nel quarto (che è dedicato alla Messenia).

A conclusione di questa dettagliata disamina, per il nostro toponimo risultano illuminanti i casi in cui Ebalo è nome proprio ed ebalio/ebalia aggettivo, entrambi deputati all’evocazione di Sparta. Per completezza va detto che in epoca molto probabilmente anteriore alla nascita del toponimo (ne approfitto per ricordare agli amici tarantini la preghiera iniziale …) la stessa scelta venne adottata da un illustre figlio di Taranto, cioè Tommaso Niccolò d’Aquino5 (1665-1721). Fu socio dell’Arcadia6, la famosa accademia romana fondata nel 1690, i cui soci, com’è noto, si chiamavano pastori ed assumevano uno pseudonimo formato da due elementi evocanti il mito, il secondo per lo più con connotazione geografica. Così Tommaso assunse quello di  Ebalio Siruntino e, se per Ebalio non c’è neppure bisogno di far riferimento a quanto finora detto7, è Siruntino che mi pone un problema di non poco conto. Premetto che Il numero degli Arcadi col tempo aumentava e i nomi dei luoghi da scegliere o attribuire diventavano sempre meno; così il nostro Ebalio rimase senza campagna fino al 1711, quando Vincenzo Leonio da Spoleto (pseudonimo arcade Uranio Tegeo), incaricato di ridistribuire i nuovi “lotti” all’Arcadia, aggiornò il catalogo così scrivendo: Ebalio Siruntino, dalle campagne presso la terra di Sirunte in Acaia: d. Tommaso d’Aquino Tarentino. Fino ad ora non son riuscito a reperire in alcuna fonte antica il ricordo di questa fantomatica Sirunte, tanto meno in alcuno scritto posteriore al Leonio. So che la storia si fa con le fonti, ma anche, sia pure provvisoriamente, con le ipotesi di lavoro, che per definizione inizialmente potrebbero avere poca o nulla scientificità, proprio come quella che sto per formulare, non casualmente sotto forma di domanda: con la Sirunte d’Acaia del Leonio potrebbe avere qualcosa in comune la masseria Sirunte in località Battifarano, nel comune di Chiaromonte, in provincia di Potenza, in Basilicata?

 

Dopo aver gettato il sasso di quest’altro toponimo, nascondo definitivamente la mano facendo notare che a Tommaso8 Taranto ha dedicato una via e sarebbe interessante anche qui individuare la relativa data, anche perché la distanza da piazza Ebalia potrebbe far supporre che le due scelte furono indipendenti, e forse pure inconsapevolmente. Mi piace far notare, infine, che Tommaso, nella scelta di uno pseudonimo che evocasse l’origine spartana di Taranto, bruciò sul tempo gli altri arcadi tarantini, cioè Francesco Maria Dell’Antoglietta9 (1674-1718) e Giovan Battista Gagliardo10 (1758-1823), nonché i “provinciali” Gaetano Romano Maffei11 di Grottaglie (1697-1751) e Oronzio Arnò12 (XVII-XVIII secolo) e Tommaso Maria Ferrari13 (1647-1716) , entrambi di Manduria.

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1 Per metonimia è la nave Argo con la quale Giasone e gli Argonauti salparono dal porto di  Pagase per raggiungere la Colchide alla conquista del vello d’oro.

2 Perifrasi per indicare Polluce. Ebalo fu padre di Tindaro, a sua volta padre d Leda, che fu la madre dei gemelli  Castore e Polluce..

3 Antichità romane, II, 49, 1-5: Ζηνόδοτος δ᾽ὁ Τροιζήνιος συγγραφεὺς Ὀμβρικοὺς ἔθνος αὐθιγενὲς ἱστορεῖ τὸ μὲν πρῶτον οἰκῆσαι περὶ τὴν καλουμένην Ῥεατίνην: ἐκεῖθεν δὲ ὑπὸ Πελασγῶν ἐξελασθέντας εἰς ταύτην ἀφικέσθαι τὴν γῆν ἔνθα νῦν οἰκοῦσι καὶ μεταβαλόντας ἅμα τῷ τόπῳ τοὔνομα Σαβίνους ἐξ Ὀμβρικῶν προσαγορευθῆναι … Ἐκ δὲ τῆς Ῥεατίνης ἀποικίας ἀποστείλαντας ἄλλας τε πόλεις κτίσαι πολλάς, ἐν αἷς οἰκεῖν ἀτειχίστοις, καὶ δὴ καὶ τὰς προσαγορευομένας Κύρεις: χώραν δὲ κατασχεῖν τῆς μὲν Ἀδριανῆς θαλάττης ἀπέχουσαν ἀμφὶ τοὺς ὀγδοήκοντα καὶ διακοσίους σταδίους, τῆς δὲ Τυρρηνικῆς τετταράκοντα πρὸς διακοσίοις: μῆκος δὲ αὐτῆς εἶναί φησιν ὀλίγῳμεῖον σταδίων χιλίων. Ἒστι δέ τις καὶ ἄλλος ὑπὲρ τῶν Σαβίνων ἐν ἱστορίαις ἐπιχωρίοις λεγόμενος λόγος, ὡς Λακεδαιμονίων ἐποικησάντων αὐτοῖς καθ᾽ὃν χρόνον ἐπιτροπεύων Εὔνομον τὸν ἀδελφιδοῦν Λυκοῦργος ἔθετο τῇ Σπάρτῃ τοὺς νόμους. ἀχθομένους γάρ τινας τῇ σκληρότητι τῆς νομοθεσίας καὶ διαστάντας ἀπὸ τῶν ἑτέρων οἴχεσθαι τὸ παράπαν ἐκ τῆς πόλεως: ἔπειτα διὰ πελάγους πολλοῦ φερομένους εὔξασθαι τοῖς θεοῖς ῾πόθον γάρ τινα ὑπελθεῖν αὐτοὺς ὁποιασδήποτε γῆσ᾽ εἰς ἣν ἂν ἔλθωσι πρώτην, ἐν ταύτῃ κατοικήσειν (Lo storico Zenodoto di  Trezene racconta che gli Umbri, popolo indigeno, abitarono dapprima la terra chiamata reatina, poi, cacciati dai Pelasgi, si spostarono nella terra dove ora abitano e, dopo aver cambiato insieme con il luogo il nome, passarono a Sabini da Umbri … Dalla terra reatina fondarono molte altre città nelle quali prive di mura vivevano e anche quella chiamata Curi; occuparono la regione che si trova a circa duecentoottanta stadi dal mare adriatico e duecentoquaranta dal tirreno. Dice che la loro lunghezza  era poco meno  di mille stadi. Intorno ai Sabini c’è anche un altro racconto nelle storie paesane, che abitavano con loro degli spartani dal tempo in cui Licurgo tutore di Enomo, suo nipote, dava a Sparta le leggi e alcuni spinti dalla durezza della legislazione e staccandosi dai compagni si allontanarono completamente dalla città, poi a lungo portatisi per mare chiesero agli dei di stabilirsi nella prima terra in cui fossero approdati).         

4 Vite parallele, vita di Romolo, 16: Oἱ δὲ Σαβῖνοι πολλοὶ μὲν ἦσαν καὶ πολεμικοί, κώμας δ᾽ ᾤκουν ἀτειχίστους, ὡς προσῆκον αὐτοῖς μέγα φρονεῖν καὶ μὴ φοβεῖσθαι, Λακεδαιμονίων ἀποίκοις οὖσιν (I Sabini erano parecchi e bellicosi, abitavano villaggi privi di mura, come conveniva ad essi, che erano coloni spartani,    essere molto coraggiosi e non aver paura).

5 Fu autore di Deliciae Tarentinae. L’autografo risulta disperso ma l’opera era stata pubblicata per i tipi della Stamperia Raimondiana a Napoli nel 1771 da Cataldantonio Artenisio Carducci, che la corredò di traduzione e commento. Nel 1964 il tarantino Carlo D’Alessio rinveniva a Roma tra alcuni manoscritti arcadici Galesus piscaTor Benacus pastor, ecloga del D’Aquino che venne pubblicata a cura di Ettore Paratore per i tipi di Laicata a Manduria nel 1969.

6 Ma anche dell’Accademia dei Pigri di Bari e degli Spioni di Lecce. Da non confondere con il contemporaneo e quasi omonimo Tommaso D’Aquino di Napoli, principe di Feruleto, poi di Castiglione e grande di Spagna pure lui socio dell’Arcadia con lo pseudonimo di Melinto Leuttronio.

7 Non è casuale, a tal proposito, l’incipit delle Deliciae Tarentinae del nostro: Oebaliae canimus Sylvas, bimarisque Tarenti/ moenia … (Cantiamo le selve di Ebalia e le mura di Taranto dai due mari …) e conviene pure ricordare la ricorrenza del toponomo nell’ecloga  Galesus piscator Benacus pastor:  vv. 102-105:   Hunc veniens cernes canimus si Principe digna;/quin etiam Arcadiis tua nomina scribere fastis/curabo, Oebaliumque Galesum hic Arcades inter/ad numeros cecinisse Nemus, silvaeque sonabunt (Venendo qui vedrai se cantiamo cose degne di un principe; anzi curerò di scrivere il tuo nome nei fasti dell’Arcadia e l’ebalio Galeso e il bosco e le selve echeggerzanno che l’ebalio Galeso ha cantatato qui fra gli Arcadi); vv. 111-114: Iamque aetas properat, saxisque evellere ab imis/arbora conabor, sunt mollis vellera lanae,/sunt mihi margaritae teretes, tinctaeque veneno/murices Oebalii clamides, haec munera tandem/Arcades haec habeant … (Ormai il tempo incalza, tenterò di strappare altri coralli dalle profondd rocce, ho perle rotonde e mantelli tinti dal succo della conchiglia ebalia …). La prima ricorrenza (Oebaliae) è genitivo di Oebalia, nome proprio, per cui il d’Aquino sembra rifarsi al primo brano virgiliano (2a) e considerare l’Oebaliae lì presente come complemento di denominazione, quasi fosse esistita una città chiamata Ebalia. Nella seconda ricorrenza, invece, Oebalii è genitivo maschile singolare dell’aggettivo Oebalius/a/um.

8 Ma lo stesso è avvenuto per gli altri arcadi tarantini:

9 Pseudonimo arcade: Sorasto Trisio.

10 Pseudonimo arcade: Igraldo Catinese.

11 Pseudonimo arcade: Onesso Boloneio.

12 Pseudonimo arcade: Odelio Afrodiseo; compare tra i deputati dell’Accademia a decretare la scelta del ritratto e dell’epigrafe per il defunto Giovanni Maria Lancisi di Roma (pseudonimo arcade Ersilio Macariano) nell’adunanza del 1 luglio 1720 (Le vite degli Arcadi illustri, a cura di Giovanni Mario Crescimbeni, parte IV, Antonio De Roaai, Roma, 1727, p. 220.

13 Pseudonimo arcade: Filarete Nuntino.

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3 Commenti a Taranto, piazza Ebalia: le origini di un toponimo

  1. DA TARANTO, DA PIAZZA “EBALIA”, A “EBOLI”. Una nota per non fermarsi…

    EBOLI. “L’origine del nome della città si perde nella notte dei tempi ed è avvolto da mito e leggende. Una di queste ritiene che la città sia stata fondata da Obolo, capitano generale dell’armata di Teseo, re di Atene, il quale, dopo aver patito tanti travagli per l’ira degli Dei, sbarcato sul suolo italico si trovò sulle sponde di un fiume dove trovò la morte per annegamento il suo compagno di nome Silaro. Obolo, ormai stanco di peregrinare per terre e mari, accortosi della bellezza del luogo e del clima mite, edificò una città imponendole il nome di Ebalo e chiamò Silaro, l’odierno Sele, il fiume, fino allora senza nome, in onore dell’amico morto.

    Un’altra leggenda vuole che Eboli sia stata fondata da Ebalo, figlio della ninfa Sebeti e di Telone, re di Capri, menzionato da Virgilio alla fine del VII libro v. 734 dell’Eneide: “Oebale, quem generasse Telon Sebethide nympha / Fertur, Teleboum Capreas cum teneret, iam senior” (cfr. “Origini del nome Eboli”: http://www.weboli.it/eboli/territorio-e-origini/origini-del-nome-eboli.html).

    Federico La Sala

  2. LE TORRI DI “EBOLI”, IL “VECCHIO DI CORICO”, E VIRGILIO. SULLE ORME DEL GRAND TOUR …

    VISTO E CONSIDERATO
    CHE “Dopo il rinvio dello scorso 4 gennaio a causa delle avverse condizioni metereologiche viene rinnovato l’appuntamento voluto dalla Fondazione Terra d’Otranto, con il patrocinio della Città di Nardò, che avrà per tema “Le costruzioni a secco del Salento, testimoni del nostro sentire più intimo e del nostro passato, patrimonio dell’umanità” (https://www.fondazioneterradotranto.it/2019/01/12/97211/)”,

    E CHE “L’incontro – dibattito” è stato effettivamente tenuto il giorno 13 gennaio, “nella chiesa di Santa Teresa a Nardò, su Corso Garibaldi” E CHE dal dibattito sono emerse, evidentemente, perplessità e difficoltà (cfr.: “Il problema difficile della rivalutazione delle costruzioni a secco nel Salento”: https://www.fondazioneterradotranto.it/2019/01/16/il-problema-difficile-della-rivalutazione-delle-costruzioni-a-secco-nel-salento/#comment-211624);

    MI SEMBRA OPPORTUNO E PERTINENTE richiamare alla mente (e rileggere) quanto nell’art. “Taranto, piazza Ebalia: le origini di un toponimo” – proprio nell’intervallo di giorni dal 4 gennaio al 13 gennaio, il giorno 8 – il prof. Armando Polito ricorda, citando Virgilio, “un vecchio di Corico”: “2) VIRGILIO (I secolo a. C.) – a) Georgiche, IV, 125-128: Namque sub Oebaliae memini me turribus arcis,/qua niger umectat flaventia culta Galaesus,/Corycium vidisse senem, cui pauca relicti/iugera ruris erant, nec fertilis illa iuvencis/nec pecori opportuna seges nec commoda Baccho (E infatti ricordo di aver visto sotto le torri della rocca ebalia, dove il tenebroso Galeso bagna bionde coltivazioni, un vecchio di Corico che possedeva pochi iugeri di terreno abbandonato e quel suolo non era fertile per i giovenchi né adatto al gregge né favorevole a Bacco)”.

    EVIDENTEMENTE E A DIRLA VELOCEMENTE, DIETRO LA DECISIONE DELL’UNESCO sull’importanza culturale delle “costruzioni a secco”… c’era (oso immaginare!) anche il ricordo virgiliano del “vecchio di Corico”! A rileggere – e non fermandosi a “Eboli” – il testo della IV delle “Georgiche”, nei versi del grande poeta svela da dove vengono le pietre si coglie ancora tutta la meraviglia e l’apprezzamento del lavoro di chi – con grande passione e intelligenza – ha saputo mettersi al lavoro e ha trasformato un “terreno abbandonato”, pieno di pietre, non fertile e non adatto al pascolo né di buoi né di pecore né tantomeno per piantarvi una vigna, in un mirabilissimo orto, in uno splendente GIARDINO (vv. 186-203) *:

    […] d’aver già visto io mi ricordo
    Sotto l’ebalie torri, ove l’ombroso
    Galeso irriga le pianure amene,
    Un vecchierel di Corico nativo;
    190Piccolo campo ei possedeva, e questo
    Sterile e ignudo, nè a l’aratro adatto,
    Nè a piantar viti, o a pascolar la greggia.
    Eppur con l’arte la natura avara
    Ei giunse ad emendar; sterpò le spine
    Che ingombravano il suol, più nobili erbe,
    E bianchi gigli a seminar vi prese,
    E verbene, e papaveri; e tal frutto
    Da l’orto in breve, e dal giardin raccolse,
    Che le ricchezze nel suo cor contento
    Uguagliava d’un re: stanco da l’opre
    Del dì tornava ne la tarda sera
    Al fido albergo, e la sua parca mensa
    Di semplici copria non compri cibi.
    […]

    *
    Publio VIRGILIO Marone, “Georgiche”,
    Traduzione dal latino di Clemente Bondi (1801),
    Libro quarto, vv. 186-203
    ( https://it.wikisource.org/wiki/Georgiche/Libro_quarto).

    Ad onore di Virgilio e del lavoro del “vecchio di Corico”, e di tutti i nostri antenati, e, non ultimo, del lavoro della stessa Fondazione “Terra d’Otranto”, mi piace qui richiamare il brillante contributo (disponibile in rete):

    SULLE ORME DEL GRAND TOUR, PER COGLIERE IL RESPIRO PROFONDO DELL’EUROPA.
    LA CATENA DEI “GIARDINI ETNOBOTANICI DEL VECCHIO DI CÒRICO” NEL DISTRETTO TURISTICO DELL‟ARCO JONICO DI PUGLIA,BASILICATA E CALABRIA PER COGLIERE L’ANIMA PROFONDA DELL‟EUROPA E DELLA CIVILTÀOCCIDENTALE (cfr.: https://docplayer.it/9313367-Sulle-orme-del-grand-tour.html ).

    Federico La Sala

  3. DOC.: Un mondo che stupì Virgilio. In viaggio nel Salento

    di Flaminia Marinaro *

    Quest’anno come non accadeva almeno dagli anni Settanta, la villeggiatura si svolgerà a una manciata di chilometri da casa. Prudenza che non accorcerà soltanto gli spazi ma soprattutto i tempi. Si tornerà a viaggiare in macchina, con un bagagliaio stracarico di valige e magari la casa dei nonni come destinazione. Si dice che anche dal fango può nascere un fiore, e da questo lungo letargo obbligato ritroveremo quell’Italia rimasta per troppo tempo confinata nei nostri ricordi o ancora sconosciuta.

    Questo viaggio incomincia dal lembo di terra più a sud di tutta la penisola, il Salento. Luogo di cultura e di stupore fin dai tempi di Virgilio, terra che travolge e inebria di suggestioni. Il sogno a occhi aperti di Federico di Svevia che si innamorò a tal punto di quegli scenari intrisi di profumi speziati e fragranze raffinate da eleggerlo a luogo dell’anima. Tutto in questa terra magica sembra voler raccontare qualcosa, anche i piccoli agglomerati urbani sparpagliati come satelliti nella distesa piatta e allungata del Tavoliere […]

    * Cfr. Flaminia Marinaro, “Un mondo che stupì Virgilio”, L’Osservatore Romano, 13 giugno 2020 (https://www.osservatoreromano.va/it/news/2020-06/un-mondo-che-stupi-virgilio.html).

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