I Salentini al tempo di Telemaco secondo Fènelon

di Armando Polito

Dato per scontato che almeno noi sappiamo chi sono i Salentini e dove si trovano e dopo aver ricordato a chi ha sentito parlare di Omero che Telemaco era il figlio di Ulisse, a chi no nulla, mio malgrado, perché ci vorrebbe troppo tempo …,  mi rimane da aggiungere per Fènelon (1651-1715) che il suo nome completo era François de Salignac de La Mothe-Fénelon e che fu, tra l’altro, arcivescovo di Cambrai. La sua opera più nota è Les Aventures de Télémaque, fils d’Ulysse.

Di seguito alcuni ritratti dell’autore francese (la prima immagine è tratta dall’edizione Lefèvre dell’opera prima citata, Parigi, 1824, tomo I;  la seconda dall’edizione della traduzione italiana di D. B., Fontana, Torino, 1842; le altre dal sito della Biblioteca Nazionale di Francia).

Il pezzo che segue con la mia traduzione (cito il testo originale dall’edizione Lefèvre, Parigi, 1824, tomo I, pp. 287-288) è tratto dal capitolo X del  romanzo pseudo-storico citato all’inizio, in cui Telemaco è condotto dal precettore Mentore (nei suoi panni si nasconde l’autore) attraverso vari paesi dell’antichità, che a causa del malgoverno avevano vissuto problemi simili a quelli della Francia della fine del  XVII secolo, in primis le guerre. Qui Telemaco è accolto nella nostra terra da Idomeneo, re di una città chiamata Salento, che, dopo il compimento di un sacrificio a Giove per propiziarsi il dio nella guerra imminente contro i Manduriani, su domanda di Nestore, lo ragguaglia sulle caratteristiche militari dei popoli limitrofi  in vista della concessione del suo aiuto.

Les peuples de Crotone sont adroits à tirer des fléches. Un homme ordinaire  parmi les Grecs ne pourroit bander un arc tel qu’on en voit communément chez les Crotoniates; et si jamais ils s’appliquent à nos jeux, ils y remporteront les prix. Leurs fleches sont trempées dans le suc de certaines herbes venimeuses, qui viennent, dit-on, des bords de l’Averne, et dont le poison est mortel. Pour ceux de Nérite, de Brindes, et de Messapie, ils n’ont en partage que la force du corps et une valeur sans art. Les cris qu’ils poussent jusqu’au ciel, à la vue de leurs ennemis, sont affreux. Ils se servent assez bien de la fronde, et ils obscurcissent l’air par une grêle de pierres lancées; mais ils combattent sans ordre (Gli abitanti di Crotone sono abili a scagliare frecce. Un uomo normale tra i Greci non potrebbe caricare un arco come si vede comunemente fare tra i Crotonesi; e se mai essi partecipassero ai nostri giochi riporterebbero la vittoria. Le loro frecce sono intinte nel succo di certe erbe velenose che provengono, si dice, dalle rive dell’Averno e il oro veleno è mortale. Per quanto riguarda gli abitanti di Nardò, di Brindisi e di Messapia essi hanno in comune solo la forza del corpo ed un valore senza arte. Le grida che fanno volare fino al cielo alla vista dei loro nemici sono raccapriccianti. Si servono molto bene della fionda ed oscurano l’aria con una gragnuola di pietre lanciate; ma combattono senza ordine).

Il sacrificio di Idomeneo a Giove in due tavole tratte, rispettivamente, da Illustrations de Les Avantures de Télemaque, fils d’Ulysse, Delaulne, Parigi, 1717 e dall’edizione nella traduzione di Serafino Buonaiuti, Clarke, Londra, 1805

Ho definito pseudo-storico il romanzo di Fenelon, e, se già nel romanzo storico c’è il rischio che il lettore non smaliziato creda sia storia ciò che in realtà è finzione1, tale rischio diventa elevatissimo quando il romanzo non è storico ma, come nel nostro caso, pseudo-storico.

Non ricorrendo certo in Fènelon la malafede sinteticamente ricordata in nota 1, vale per lui il principio generale che all’artista si perdona tutto, compreso l’anacronismo di Crotone (poco prima c’era stato quello di Locri) che al tempo di Telemaco certamente non era stata ancora fondata. Tuttavia nell’abilità di arcieri attribuita da Fènelon ai Crotonesi è ravvisabile l’eco di un incrocio fra due testimonianze antiche.

La prima è quella di Strabone (I secolo a. C.-I secolo d. C.) che riprendendo Apollodoro (II secolo  a. C.), parla di Filottete, l’amico più caro di Ercole, che dopo la morte dell’eroe gli aveva acceso la pira:  Apollodoro nel suo commento al catalogo omerico delle navi, ricordando Filottete, dice che alcuni affermano come partito verso la regione di Crotone popolò il promontorio Crimissa  e su questo la città di Cone dalla quale in questo territorio furono chiamati i Coni e che dopo la guerra di Troia giunto nel territorio dell’attuale Crotone fondò la città di Chone.2

La seconda è quella dello Pseudo-Aristotele: Si dice che Filottete è onorato dai Sibariti. Raccontano che egli di ritorno da Troia fondò quella che è chiamata Micalla del territorio di Crotone, la quale dicono che dista centoventi stadi e che collocò le frecce di Ercole. Dicono che i Crotoniati li spostarono da lì con la forza per portarle nel loro tempio di Apollo3.

E, dopo l’anacronismo, a Fènelon vanno perdonati anche altri dettagli che sembrano corroborare, passando dal campo militare a quello civile, altrettanti luoghi comuni (tali, almeno li considero quando sono riferiti solo a noi) ma estensibili ormai come realtà a tutta la popolazione; ed è poco consolante pensare che anche ciò che può apparire come totalmente negativo può nascondere, invece, almeno inizialmente, qualcosa di buono. Così quel valeur sans art (valore senza arte) denota da un lato il riconoscimento di un pregio (non necessariamente militare, come nel nostro caso) quasi innato, dall’altro la nostra incapacità a coltivarlo, oserei dire metterlo al servizio del profitto; se si pensa a quello privato, però (e non mi riferisco certo al giusto guadagno cui ognuno ha diritto per il lavoro che svolge), bisogna riconoscere che anche nel Salento parecchi ci riescono, anche se gli strumenti usati sono poco rispettabili e mettono in discussione il concetto stesso dell’iniziale, presunto “valore”. Ci sono poi les cris affreux (le grida terrificanti) che riportano alla mente tante risse televisive (magari non estemporanee, anche se questo contrasta con la nostra salentinità) e non, ma anche tanto rumore folcloristico (?) che accompagna la nostra esistenza; c’è, infine, quel sans ordre (senza ordine), cioè l’eccessivo individualismo, la disorganizzazione, l’incapacità di fare, come oggi si dice (pila4 docet! …) squadra cioè una mala concezione della libertà e poi, via via, il pressappochismo, l’assenza di regole o, al contrario, la loro abbondanza, che genera confusione e favorisce solo i furbi. E la Merkel sarà pure antipatica, ma, almeno in questo, secondo me, ha perfettamente ragione; però quel che è più grave, sempre secondo me, è che continuerà pure ad averla dopo le millantate nostre riforme che si tradurranno, come sempre, in una ripresa sì, ma nel senso di ulteriore presa per il culo dei pochi onesti rimasti.

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1 Trovo per questo criminale lo sfruttamento del romanzo storico spacciato come strumento di conoscenza della storia locale e come tale pubblicizzato nelle scuole col fraudolento fine di propaganda commerciale squallidamente mascherato dall’alibi dell’esposizione più accattivante, soprattutto per i più giovani, rispetto a quella di un saggio storico vero e proprio; per non parlare di altri lavori in cui leggende antiche vengono manipolate, tritate e servite in un cocktail osceno al turista che si beve tutto (non è certo quello straniero …)

2 Geograhia, VI, I, 3: Ἀπολλόδωρος δ᾽ ἐν τοῖς περὶ νεῶν τοῦ Φιλοκτήτου μνησθεὶς λέγειν τινάς φησιν, ὡς εἰς τὴν Κροτωνιᾶτιν ἀφικόμενος Κρίμισσαν ἄκραν οἰκίσαι καὶ Χώνην πόλιν ὑπὲρ αὐτῆς, ἀφ᾽ ἧς οἱ ταύτῃ Χῶνες ἐκλήθησαν.

3 De mirabilibus auscultationibus, 107: Παρὰ δὲ τοῖς Συβαρίταις λέγεται Φιλοκτήτην τιμᾶσθαι. Κατοικῆσαι γὰρ αὐτὸν ἐκ Τροίας ἀνακομισθέντα τὰ καλούμενα Μύκαλλα τῆς Κροτωνιάτιδος, ἅ φασιν ἀπέχειν ἑκατὸν εἴκοσι σταδίων, καὶ ἀναθεῖναι ἱστοροῦσι τὰ τόξα τὰ Ἡράκλεια αὐτὸν εἰς τὸ τοῦ Ἀπόλλωνος τοῦ ἁλίου. Ἐκεῖθεν δέ φασι τοὺς Κροτωνιάτας κατὰ τὴν ἐπικράτειαν ἀναθεῖναι αὐτὰ εἰς τὸ Ἀπολλώνιον τὸ παρ᾽ αὑτοῖς.

4 Pila in latino significa palla.

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