Salento a tavola. Le seppie

seppia

di Massimo Vaglio

 

La seppia (Sepia officinalis),è un mollusco Cefalopode con corpo ovoidale, a forma di scudo, depresso, lateralmente al quale si collocano due pinne nastriformi che contornano tutto il corpo e sono separate solo al vertice dello stesso. E’ munita di otto braccia brevi e di due tentacoli molto più lunghi muniti di ventose più grandi che le servono a ghermire le prede e che la seppia può completamente ritrarre nelle due sacche poste sotto agli occhi che sono piuttosto sporgenti con una pupilla molto sviluppata e dalla particolarissima forma che ricorda la lettera omega dell’alfabeto greco.

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Generalmente non supera i due anni di vita e di norma, raggiunge i 25 centimetri di lunghezza e il mezzo chilo di peso, anche se non sono rare le catture di esemplari di dimensioni notevolmente maggiori. La parte ventrale è biancastra, talora leggermente variegata, mentre il dorso è zebrato e di colore mutevolissimo. E’ dotata, infatti, di uno spiccatissimo potere mimetico per cui il suo colore grazie ai cromatofori può variare dal giallo, al bruno, al verde, e in un’infinità di sfumature, acquisendo con sorprendente rapidità il colore del fondale  su cui si trova.

Si può riconoscere il maschio dalla femmina per una riga bianca che questo reca lungo tutto le pinne. Altra caratteristica che la rende inconfondibile, è la presenza della conchiglia interna calcarea, a margini taglienti, biconvessa, detta osso di seppia e scientificamente meglio appellata: sepion, o sepiostario.

osso di seppia

Questa, è costituita dall’80-85% di carbonato di calcio, da fosfati e da una sostanza gelatinosa. Molto leggera, viene utilizzata dal mollusco per governare, attraverso il volume del gas racchiuso nelle camere, la spinta di Archimede. Possiede, una funzionale ghiandola del nero, che produce una secrezione ricca di particelle di melanina, questa raccolta in una vescica (tasca del nero), permette alla seppia, quando si sente minacciata, di emettere una densa nube che la occulta agli occhi dei nemici.

Dal nero di seppia, si ricava una sostanza colorante tecnicamente detta anch’essa seppia, che un tempo rientrava nella composizione dell’inchiostro di china. Le uova, sono nere, piriformi e vengono deposte a grappoli sopra le alghe e i corpi sommersi, per il loro singolare aspetto vengono popolarmente appellate,“uva di mare”.

Per quanto riguarda gli habitat, la seppia non presenta particolari esigenze, popola infatti tutte le tipologie di fondale, da quelli sabbiosi a quelli rocciosi, passando per le praterie di posidonia e la si ritrova indistintamente a  profondità che possono variare dalle poche spanne ai cento e più metri. Questa versatilità di adattamento, unita alla sua notevole intelligenza hanno fatto si che sua popolazione resistesse meglio di altre specie all’esagerato sforzo di pesca che ha caratterizzato questi ultimi decenni e che ha portato allo stremo molte altre specie ittiche, infatti, recenti studi indicano la seppia, che possiede un elevato rapporto tra cervello e massa corporea, come uno degli invertebrati più intelligenti, ovvero, spiccatamente dotato di quella che gli etologi definiscono, sapienza della specie.

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Pur essendo un mollusco, la seppia possiede valori nutrizionali molto simili a quelli dei cosiddetti “pesci magri” i suoi tessuti sono ricchissimi di vitamine soprattutto del tipo : B1, B2, PP; nonché di fosforo, ferro, potassio, calcio e di proteine. Le sue carni sono magre, quindi indicate nelle diete ipocaloriche e nonostante siano ricche di tessuto connettivo risultano facilmente digeribili. Per quanto riguarda la sua diffusione nei mari salentini, pare che la seppia sia una delle pochissime specie la cui consistenza numerica sia incrementata, godendo  del cosiddetto “effetto parco”. Ovvero, a qualche anno dall’istituzione delle aree marine protette di Porto Cesareo-Nardò e Torre Guaceto si è notato un buon ripopolamento del suo stock e nelle due ultime campagne primaverili di pesca, nelle marinerie più prossime a queste riserve si sono realizzati incrementi di catture davvero molto interessanti.

Nelle acque litoranee pugliesi, le seppie sono presenti tutto l’arco dell’anno, ma è nei mesi di marzo e aprile che le stesse, avvicinandosi in massa lungo le coste per riprodursi e deporre le uova, divengono appunto oggetto di pesca specifica che viene praticata prevalentemente con appositi tramagli a maglie piuttosto larghe o con nasse di giunco al cui interno viene posto un ramoscello di mirto (Myrtus communis) sul quale le seppie amano deporre le uova. Una volta rimaste intrappolate, le seppie femmina divengono a loro volta richiamo per i maschi. Per cui, quando i pescatori le salpano per recuperare le seppie catturate, vi lasciano sempre una seppia femmina. Da quanto sopra si evince come la seppie siano animali particolarmente inclini alla lussuria. Questa caratteristica è ben nota ai pescatori che hanno imparato a sfruttarla a loro vantaggio anche in un altro modo, infatti, nel periodo della riproduzione usano legare una seppia femmina viva ad una lenza che trascinano remando lentamente dalla barca; le seppie maschio accecate dalla libidine si lanciano su di esse finendo con lo smorzare i loro bollenti spiriti nel guadino del pescatore.

Le località pugliesi dove si pescano più seppie, sono quelle lungo la costa adriatica, ove gli ampi, pianeggianti, bassi fondali sabbiosi permettono la cattura anche con le reti a strascico, ma un po’ dappertutto sono praticate forme di pesca tradizionali come quella che utilizza la lampara e il guadino montato su un’asta di circa tre metri. Lungo la costa salentina, la pesca alle seppie viene anche esercitata con l’ausilio dei tradizionali piccoli gozzi di legno con due pescatori di equipaggio, uno ai remi e l’altro che scruta il fondale marino con lo specchio (che sarebbe un barilotto che ha fissata una lastra di vetro a tenuta stagna sul fondo), pronto ad arpionare con notevole abilità le seppie utilizzando una fiocina montata su di una lunga asta in pick pine.  Di notte, questa pesca si svolge con l’ausilio degli stessi attrezzi, con in più l’uso di una sorgente luminosa e prende, in questo caso, l’appellativo di Jacca, termine che deriva dalla corruzione dialettale di fiaccola. Quest’ultima, forma di pesca, sui bassi fondali e specie nelle zone lagunari, viene praticata proficuamente anche da pescatori a piedi. Altre specie di seppia diffuse nel Mediterraneo sono la Sepia elegans,  e la Sepia orbignyana, entrambe di dimensioni piuttosto piccole, vengono indistintamente appellate scarpette, non superano rispettivamente gli otto e i dodici centimetri di lunghezza e vivono a profondità maggiori generalmente su fondali melmosi oltre i cinquanta metri di profondità ove costituiscono una classica preda  delle reti a strascico.

In tutta la Puglia sono molto apprezzate e vengono ammannite in tutta una serie di ricette tradizionali. Il novellame di seppia e le scarpette prendono, soprattutto nel barese, la denominazione di allievi e costituiscono una leccornia, che, neanche a dirlo, viene gustata rigorosamente cruda.

 

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