Oggi vi porto an galè al carrefour, ma non garantisco che imb(r)occheremo la strada … giusta

di Armando Polito

Probabilmente appariranno strani due dettagli del titolo: an galè e carrefour scritto con l’iniziale minuscola. Comincio proprio da quest’ultimo perché, a differenza del primo, la perplessità coinvolge con la stessa intensità tanto il lettore che conosce il dialetto salentino quanto chi non lo conosce. Carrefour è voce francese e nasce come nome comune, col significato di crocevia, figlio del latino tardo quadrifurcu(m)=quadriforcuto, attestato  nel  De figuris numerorum di Prisciano (V-VIsecolo) e composto dai classici quadri– (da quater=quattro) e furca=forca. Nel 1959 divenne il nome proprio della grande società francese di distribuzione, subì, cioè, uno slittamento metonimico (dalla caratteristica del luogo al punto vendita), ma può essere considerato pure come un esempio di antonomasia inversa (dal nome comune al nome proprio), insomma il contrario di quello che è successo per Cicerone/cicerone, Mecenate/mecenate, Zampironi/zampirone, Ampex/ampex1. Per questo nella progettazione di un centro commerciale la prima preoccupazione è che esso sia dislocato in una posizione facilmente raggiungibile dai quattro punti cardinali, magari con l’ausilio di una viabilità complanare realizzata ex novo.

Questa considerazione dev’essere stata alla base della creazione del logo, anche se i punti indicati, peraltro di partenza (dopo l’acquisto) e non di arrivo (per acquistare) vista la direzione delle frecce, sono due; è, credo, il tributo che si è dovuto pagare alla necessità di inglobare, sia pure parzialmente confusa nello sfondo bianco, la C. Va da sé che il blu, il bianco e il rosso sono i colori della bandiera francese. Credo, invece, che sia del tutto casuale (e lo faccio notare giusto perché siamo in periodo carnevalesco) il fatto che, imprimendo al logo una rotazione di 90° verso sinistra, vien fuori una sorta di maschera in stile faccina (pardon, emoticon o smile o smiley …).

 

Secondo lo Spitzer (Zeitschrift für romanische Philologie, t. 27, pag. 614) da carrefour sarebbe derivato un’altra parola francese, califourchon, usata nella locuzione à califourchon=a cavalcioni. Secondo Schuchardt (op. cit., t. 42, pp. 9-12), invece, califourchon sarebbe incrocio tra cheval=cavallo e fourche=forca. Entrambe le proposte suscitano perplessità per ragioni di ordine fonetico. Appaiono, perciò, più plausibili le ipotesi (per brevità ometto i nomi degli autori e i riferimenti bibliografici) concordi sul secondo componente (fourche) e discordi sul primo, che potrebbe essere il bretone kall=testicoli, oppure una forma di caler=calare, oppure alterazione di un originario latino cum=insieme.

Passo ora ad an galè che in dialetto salentino corrisponde all’italiano a cavalluccio, a cavalcioni. Per quelli della mia età il nesso sarà familiare ed evocherà ricordi infantili legati ad un tempo in cui tra l’adulto e il bambino il rapporto umano non era scandito da aggeggi  tecnologici ma da una collaudata fantasia. Così, uno dei giochi più praticati consisteva nel recitare la parte del nonno o papà-cavallo che su due zampe portava in giro il bambino-cavaliere sulle spalle all’altezza del collo.   An deriverebbe (l’uso del condizionale, solo per questo caso, lo si capirà alla fine) da a+in, per cui, più correttamente secondo me ma mi sono adeguato all’uso corrente, avrei dovuto scrivere a ‘n galè (e così a ‘n capu=sulla testa e non an capu). Ma, intanto, da dove deriva galè?

La voce è presente nel vocabolario del Rohlfs ma reca solo un rinvio a calè, senza proposta etimologica di sorta.

La parola tronca evoca istintivamente origini francesi e la prima ipotesi che pongo all’attenzione è che galè  si presenti tronca perchè abbreviazione di califourchon, che, come abbiamo visto, poco probabilmente sarà il padre di carrefour (da qui la parte finale del titolo).

La seconda ipotesi prevede lo stesso percorso formativo della prima, partendo, però, da un’altra parola, questa volta spagnola, galera,  che ha come significato di base e più comune quello di galea o galera (nave da guerra lunga e dritta), dal latino medioevale galera, a sua volta dal greco bizantino γαλέα (leggi galèa), che forse è dal classico γαλέη (leggi galèe) o γαλή (leggi galè)=donnola; l’elemento che accomuna l’animale alla nave è la snellezza e non a caso derivato di γαλέη è γαλεός (leggi galeòs)=squalo.  Ma galera (con la stessa etimologia) è pure il nome di un mezzo di trasporto in uso in Spagna, dettagliatamente descritto da Theophile Gautier in Le voyage in Espagne (o Tra los montes), Meline, Cans et Compagnie, Bruxelles et Leipzig, 1843, tomo I, pag. 101. Ne riporto di seguito il testo corredato della mia traduzione).

Superfluo aggiungere che galère è la francesizzazione dello spagnolo galera, da cui, per apocope, potrebbe essere derivato il nostro galè, con riferimento alla semplicità del mezzo di trasporto e non alla sua somiglianza, secondo la descrizione certamente esagerata del Gautier, a uno strumento di tortura.

Ho detto potrebbe essere derivato e siccome, oltretutto, l’unione fa la forza, saranno ben accette altre proposte etimologiche. Nel frattempo ne sparo una terza (per una quarta, che avrebbe completato il quadrivio, sono troppo stanco e rischierei di dire bestialità più grandi di quelle nelle quali potrei essere già incorso): per apocope dal francese caleche=calesse2, sicché an galè non sarebbe altro che deformazione della locuzione francese en caleche3. Sembra essere la più lineare e per questo, credo, riscuoterà pressoché unanime simpatia. Ma in filologia, come nella vita, non sempre ciò che appare semplice e lineare è veritiero …

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1 Il fumogeno che usiamo per tenere lontane le zanzare trae il nome dal suo inventore, Giovanni Battista Zampironi. Ampex era prima dell’avvento del digitale un marchio depositato di registratori magnetici di fabbricazione americana per uso televisivo; la parola poi diventò nome comune, sinonimo di registrazione, usato in locuzione come programma in ampex (cioè registrato su banda magnetica). Su Cicerone/ciceroneMecenate/mecenate non era il caso di perdere e far perdere tempo.

2 Come in pòscia=tasca da poche; qui, però, l’apocope non è avvenuta perché, essendo la parola d’origine di due sillabe, non ne sarebbe restato, è il caso di dire, che un bel … po’, anzi . Nella nuova immagine, come in quella della spagnola galera, l’adulto che porta il bambino sulle spalle assume non più le sembianze del cavallo ma quelle del calesse.

3 Se è così, cade tutto il tormento iniziale sulla grafia della locuzione dialettale; essendo il francese en dal latino in ed essendo an trascrizione della pronuncia di en, la locuzione richiederebbe la corretta scrittura  etimologica an galè. Il discorso, naturalmente, non vale laddove an non deriva dal francese en, come in a ‘n capu.

 

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