Espresso 906

di Fabrizio Suppressa

Metto in disparte, seppur per una breve manciata di righe, le mie pietre e i miei castelli, per poter scrivere una tradizionale avventura che capita di rivivere

ogni qualvolta lascio il mio Salento alla volta della mia Torino. Potrà forse risultare un retaggio dei terribili temi delle scuole elementari dal titolo “Le mie vacanze” o forse un piccolo sfogo sui servizi ferroviari italiani, spero però sia inteso dal lettore come una delle tante infinitesime storie che percorrono quotidianamente le nostre vie ferrate. Devo premettere che per me l’Espresso 906 non è un anonimo mezzo di locomozione, ma piuttosto uno di quei luoghi del cuore o forse uno dei quei luoghi non luoghi. Ne conosco odori e rumori che ripercorro dall’età di tre settimane, quando fui trasportato in fasce a Copertino per poter essere “analizzato” nei particolari dalla folta parentela, alla ricerca della razza a cui più somigliassi.

Come di consueto, l’Espresso 906 lascia la città di Lecce alle nove e venti in un brulicare di mani salutanti dalla banchina ferroviaria. Le carrozze, traboccanti di passeggeri, sono un via vai di persone intente a sistemare i propri bagagli; si respira un’aria d’altri tempi, quella dell’emigrazione, una sensazione forse accentuata dalle stampe d’epoca delle varie Venezia e Pisa messe a decoro dell’arredo interno. Nello scompartimento in cui le valigie non “cacciano” mai a causa del carico di prodotti tipici, vi è sempre qualche salentino, di solito di “sotta lu capu“, che con famiglia si reca dopo le vacanze al Nord a lavorare, nell’attesa di una pensione tarda ad arrivare. Si fa subito amicizia, con i soliti discorsi e luoghi comuni; «mo che arriviamo.. chissà il tempo?!», o sovente vi si accenna una gara per il più lungo ritardo o il peggiore disservizio capitato, o in altri casi si elencano i vari tentativi, riusciti o meno, di furto in treno; quelli si che sono sempre di moda! Passano i minuti e i chilometri, presa confidenza, reciprocamente si va all’attacco con il solito «volete favorire?!» esibendo dentro confezioni richiudibili varie manicaretti che per rispetto ai deboli di cuore ne ometterò la descrizione.

Lungo il tragitto, il tempo cessa di essere affidato alle lancette dell’orologio; al suo posto l’incessante sbattere delle porte. «Sbam!». Con un semplice gesto della mano del capotreno, la porta sbatte, e con lei, le molteplici porte del convoglio. Un fischio, un segnale luminoso e con quella porta chiusa, il treno lascia la stazione appena raggiunta per la sua prossima meta, quante storie, amori, tragedie dietro quel semplice tac: è la porta che parla o che vorrebbe parlare e che nessuno è capace di  ascoltare.

Arrivati a Bari, il treno deve attendere l’innesto delle carrozze provenienti dalla Calabria (perennemente in ritardo). Da questo momento ci si prepara per la notte, si spengono le luci esi allungano i sedili. I due bambini dello scompartimento si stendono uno con i piedi in faccia all’altro, mentre gli altri passeggeri cercano di sistemarsi al meglio. Preferisco prima di mettermi a riposo, fare due passi in corridoio e approfittarne per una tappa alla “ritirata“. Varcato il corridoio mi accorgo di non essere più un passeggero della Freccia Adriatica, ma piuttosto di un Indian Express. Dopo un mega slalom tra valigie, cani, gente coricata a terra, fumatori incalliti di Marlboro e tra rifiuti di ogni genere e tipo, torno al mio posto per usufruire del mio sedile cinquanta per cinquanta di colore azzurro Trenitalia. Si rimane in dormiveglia il più del tempo, riuscire a chiudere occhio è un’impresa da record. Si rimane attenti, impauriti un po’ dai discorsi iniziali sui furti, ma ci si può accontentare di una magra consolazione, possedere il posto sopra al carrello del treno non fa certo addormentare. La notte prosegue lunga e rumorosa, «addò’stamu???» si bisbiglia «bo’!? Bologna?» «Rimini?» ma una voce elettronica inizia a ripetere «Ancona, stazione di Ancona!» il viaggio è ancora lungo. Vi si intravedono da una striscia della tendina non tutta abbassata, luci e teste di persone che camminano. Ritorna il sonno. All’improvviso qualcosa mi sveglia, un leggero colpo in testa e poi sul fianco, focalizzo un po’ rincoglionito, niente; è un calzino (con un piede dentro) del bambino (al quanto sonnambulo) che sta a fianco del mio sedile, gli prendo l’arto e lo riposiziono di nuovo nei pressi del volto di suo fratello. Ne approfitto per capire nei pressi di quale stazione siamo, ma con uno sguardo veloce intravedo molta gente stesa a dormire sul pavimento del corridoio; mi reputo fortunato ad aver trovato in tempo la prenotazione. Sono le cinque e mezza, la posizione da Buddha seduto mi ha reso i legamenti muscolari come un elastico al sole salentino, mi alzo per fare quatto passi in corridoio. Niente da fare; camminata rinviata: uno stramaledetto omino con cappellino rosso e carrellino, incede per le carrozze urlando a squarciagola «caffè, cornetti, birra (birra??), tramezzini, cocacola» svegliando l’intero convoglio, obbligando chi è sdraiato in corridoio ad alzarsi per permettere il passaggio del trabiccolo.  Questo è il segno che siamo alle porte di Bologna, e che per fortuna molti passeggeri devono scendere.

«Bologna, stazione di Bologna»! Cinque e trenta del mattino, scendono molti studenti e molti giovani turisti con sacco a pelo e idee rivoluzionarie. «Menu simu, megghiu stamu!» si sente esclamare in qualche scompartimento (concordo pienamente con quest’anonimo passeggero, sicuramente salentino). Fuori Bologna, alle prime luci dell’albeggiare si intravede dal finestrino un paesaggio agrario quasi estraneo. Distese monotone di granoturco abbinate ad un cielo nuvoloso rendono triste un risveglio non certo dolce. L’Espresso 906 continua il suo percorso accumulando sempre più ritardo ad ogni anonima stazione ferroviaria della Pianura Padana.

Piacenza, Stradella, Voghera, Tortona, Alessandria, Asti, Lingotto… il treno giunge a destinazione, Torino Porta Nuova. Si salutano i conterranei, compagni di sventura di una notte e ci si aiuta tra sconosciuti nella discesa dei bagagli. L’ultimo gradino metallico e il piede poggia Torino …nonostante tutto; a quando la prossima discesa?

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