di Armando Polito
La prima attestazione antica da me conosciuta del significato negativo di corna con riferimento alla sfera sessuale, è in Petronio (I secolo d. C.), Satyricon, 39, quando Trimalchione si esibisce in un oroscopo degno del migliore Barbanera. Lo riporto integralmente per il piacere di chi ci crede: – Coelus hic, in quo duodecim dii habitant, in totidem se figuras se convertit, et modo fit Aries. Itaque quisquis nascitur illo signo multa pecora habet, multum lanae, caput praeterea durum, frontem expudoratam, cornum acutum. Plurimi hoc signo scholastici nascuntur et arietilli-. Laudamus urbanitatem mathematici, itaque adiecit: – Deinde totus coelus Taurulus fit: itaque tunc calcitrosi nascuntur et bubulci et qui se ibi pascunt. In Geminis autem nascuntur bigae et boves et colei et qui utrosque parietes linunt. In Cancro ego natus sum; ideo multis pedibus sto, et in mari et in terra multa possideo: nam Cancer et hoc et illoc quadrat: et ideo iamdudum nihil supra illum posui, ne genesim meam premerem. In Leone cataphagae nascuntur et imperiosi. In Virgine mulieres et fugitivi et compediti. In Libra laniones et unguentarii et quicumque aliquid expediunt. In Scorpione venenarii et percussores. In Sagittario strabones, qui olera spectant, lardum tollunt. In Capricorno aerumnosi, quibus prae mala sua cornua nascuntur. In Aquario copones et cucurbitae. In Piscibus obsonatores et rhetores. Sic orbis vertitur tamquam mola, et semper aliquid mali facit, ut homines aut nascantur aut pereant. Quod autem in medio cespitem videtis, et super cespitem favum, nihil sine ratione facio. Terra mater est in medio quasi ovum corrotundata; et omnia bona in se habet, tamquam favus-.
(- Questo cielo nel quale abitano dodici dei si muta in altrettante figure e ora diventa Ariete. E così chiunque nasce sotto quel segno ha molte pecore, molta lana, inoltre testa dura, fronte spudorata, corno pungente1. Sotto questo segno nascono parecchi scolastici e testardelli-. Lodiamo il garbo dell’astrologo e così aggiunge: -Poi tutto il cielo diventa Torello e così allora nascono i recalcitranti e i bifolchi e quelli che su questa terra pensano solo a pascersi. Sotto il segno dei Gemelli poi nascono gli animali che si aggiogano alle bighe, i buoi e i coglioni2 e quelli che intonacano l’una e l’altra parete3. Io sono nato sotto il segno del Cancro, perciò sto su molti piedi e posseggo molte cose in mare e in terra; infatti IL Cancro si trova bene in mare e sulla terra e perciò poco fa non non gli ho messo sopra nulla, per non opprimere il mio segno zodiacale. Sotto il segno del Leone nascono i mangioni e i prepotenti. Sotto il segno della Vergine gli effeminati, i disertori e gli schiavi in ceppi. Sotto il segno della Libbra i macellai, i profumieri e chiunque vende qualcosa. Sotto il segno dello Scorpione gli avvelenatori e i sicari. Sotto il Sagittario gli strabici i quali guardano la verdura e si fregano il lardo. Sotto il segno del Capricorno gli infelici ai quali per loro disgrazia spuntano le corna. Sotto il segno dell’Acquario gli osti e le zucche. Sotto il segno dei Pesci i cucinieri e i retori. Così il mondo gira come una pietra da mulino e fa sempre qualcosa di male affinchè gli uomini o nascano o muoiano-).
Come si vede, anche in astrologia tra cornuti (nel senso letterale di forniti di corna) ci sono i soliti privilegiati indenni dal pagamento di questo scomodo tributo, cioè il maschio della pecora (l’ariete) e il toro, mentre per il povero capricorno (assimilabile al marito della capra) la sua natura di becco è segnata nelle stelle. Né può essergli di conforto il fatto che In Capricorno aerumnosi, quibus prae mala sua cornua nascuntur (Sotto il segno del Capricorno gli infelici ai quali per loro disgrazia spuntano le corna) è un passo piuttosto tormentato del Satyricon e se alcuni (per esempio il Buecheler) lo hanno accolto e interpretato come ho tradotto io, il Burmann ha rincarato la dose infierendo e proponendo la lettura In Capricorno, quibus prae mala setae et corbua nascuntur (Sotto il segno del Capricorno gli infelici ai quali a causa dei mali del pennello spuntano pure le corna). Mi pare superfluo approfondire il significato metaforico di seta (pennello), ma a questo punto non voglio essere l’unico fesso della compagnia e approfitto del pennello per dire che questa voce (in italiano antico penello) è concordemente fatta derivare da un latino *penellu(m), diminutivo del classico penis=coda, pene.
Proprio questa contrapposizione tra il toro e l’ariete da una parte e il capricorno dall’altra mi consente di introdurre Michele Psello, autore bizantino dell’XI secolo, che per primo, a quel che so, si pose la strana questione dedicandole l’opuscoletto Περὶ τοῦ ὁνόματος τοῦ κερατᾶ (Sul nome cornuto) che riporto integralmente di seguito nella mia traduzione4: Nel linguaggio comune della vita viene usata la voce “cornuto” e la si riferisce a tutti quelli ai quali la moglie è abbracciata5 da altri; e mi pare che la parola sia inspiegabile non avendo una ragione che sia alla base di quest’epiteto. Infatti a coloro che la compagna ha tradito non spuntano corna sulle tempie né questi deliberatamente se ne equipaggiano né tra loro lottano a cornate né rompono la testa agli altri né hanno movimenti violenti del viso né mostrano visibilmente qualche altra caratteristica degli animali che hanno le corna. Perciò a tutti sembra inspiegabile da dove abbia avuto origine la formazione del nome. Per fornirti la spiegazione più verosimile distinguiamo per primi quelli a danno dei qualile donne hanno comunanza con altri letti. Vediamo che non tutti sono uguali ma che alcuni s’infuriano per l’accaduto e tutto si riduce ad una solenne sgridata, che altri sono docili e addirittura miti abbassando un po’ il collo al giogo della sventura e senza neppure mostrarsi sdegnati con la donna né irritati con chi è stato partecipe di un corpo privato6 o nonostante l’insofferenza tendendogli pure la destra e rivolgendogli la parola amabilmente e nutrendosi alla stessa mensa e saziandosi del sale comune. Per quanto riguarda gli altri, quelli che promuovono l’unione della propria donna con altri, non è il caso di parlarne. Dei due tipi che son venuti fuori dalla distinzione, l’uno chiamato selvaggio, l’altro mite, il nome di cornuto si addice al tipo mite. Il primo che impose i nomi, essendo un cittadino e ugualmente pure saggio, da questa differenza di animali senza parola, per questa creatura dotata di parola, l’uomo, mediò lo spunto del nome. Infatti tra gli animali senza parola tutti quelli che non hanno le corna (sono) irascibili e gelosi delle compagne. Per esempio, il leone se vede la (sua) femmina tradirlo la dilania con gli artigli e i leopardi uccidono le femmine sedotte; pure gli orsi (sono) gelosissimi del tradimento della femmin e soprattutto questo sentimento pervade le aquile che mettono alla prova ancora i piccoli implumi e se essi battono le palpebre di fronte al sole li espellono dal nido come se abbandonassero dei bastardi. I colombi, quest’animale è amico dell’uomo e mite, se qualcuno porta via le nidiate non si oppongono minimamente (l’animale anche se amico dell’uomo tuttavia per natura e di fronte alla sottrazione della prole appare molto degno di compassione) ma quelli delle nidiate sottratte se ne stanno calmi, se invece uno della loro specie vuole una femmina (che è già) di un maschio e tenta di sedurla il compagno lo maltratta e stride volando in cerchio e con le ali protegge la compagna dal seduttore. E in generale: tra gli animali ogni specie priva di corna (è) gelosissima del compagno; invece gli animali cornuti, si potrebbe dire quasi tutti, sopportano facilmente l’inconveniente, quanti belano, quanti bramiscono, quanti muggiscono, e in essi non appare nessun segno di rabbia o rancore per la tremenda disgrazia delle compagne, ma, governati sotto le leggi di Platone, accettano la poligamia e mettono in comune l’un l’altro il bene privato; da qui neppure quelli che seducono loro le compagne procedono compiendo dei cerchi o si accoppiano furtivamente con le femmine ma di fronte ai maschi tentano l’accoppiamento. Quindi colui che diede i nomi chiamò cornuto colui che non è geloso della propria unione e non diversamente s’indigna per l’accaduto.7
Per Psello, dunque, la parola sarebbe connessa col comportamento particolarmente tollerante degli animali forniti di corna in occasione di qualche tradimento. Io, sulla scorta dell’oroscopo di Petronio relativo ai nati sotto il segno dell’Ariete e della sua contrapposizione al Capricorno, metterei in campo lo spirito di iniziativa e la maggiore vivacità, magari anche sessuale, della capra rispetto alla pecora, cosa di cui trovo un’eco, per quanto lontana, nel detto neretino ti ddo’ zzumpa la crapa zzumpa la crapetta (da dove salta la capra salta pure la capretta, corrispondente all’italiano tale madre tale figlia).
Per passare da Petronio a Psello ho fatto un bel salto cronologico. Ora torniamo indietro e precisamente ad Artemidoro di Daldi, autore greco del II secolo d. C.: Uno diceva di predire a chi, promesso sposo e sul punto di celebrare le nozze in quei giorni, si fosse visto (in sogno) sedere su un ariete e cadere dalla parte anteriore, che sua moglie avrebbe commesso adulterio e che secondo il detto gli avrebbe fatto le corna. E i fatti andarono così. Avendo rifiutato le nozze per la predizione del sogno e a stento persuaso dagli amici dopo qualche tempo sposò la stessa promessa sposa di prima; avendo però paura del sogno vigilava la donna e si era completamente rassicurato. Ed essa sopravvissuta un anno morì dopo aver tenuto una condotta irreprensibile. Lui, dopo aver sposato un’altra donna e ritenendo che quel sogno poteva non essere tenuto più in considerazione, incappò nella sventura perché accadde che la (nuova) moglie si sbizzarrì in ogni tipo di tradimento.8
Gli avrebbe fatto le corna è traduzione letterale dell’originale greco κέρατά σοι ποιήσει e la testimonianza di Artemidoro non solo consente di affermare che l’espressione attuale è di origine antichissima ma ci fornisce pure un’altra interpretazione legata, dunque, ad un sogno. Questa volta, poi, non si salvano né il montone (o ariete) né il becco, dal momento che in greco κριός può significare l’uno o l’altro.
Il verbo fare accoppiato a corna avrebbe avuto, come il fenomeno che esso descrive, un successo continuato, tant’è che in uno statuto triestino del 1150 il paragrafo 49 del secondo libro ha per titolo De facientibus viros corgnam [Sulle (donne) che fanno le corna ai mariti]9.
Per completare questa sezione va detto che, perfettamente in linea con l’ambiguità di fondo della voce di oggi, fare le corna definisce anche il ben noto gesto scaramantico. Difficile dire se è figlio del precedente (uno o una situazione mi prefigura qualcosa di negativo e io reagisco dicendo che è, rispettivamente, cornuto o cornuta) o se è la versione metaforica replicata dell’amuleto che può essere considerato il discendente della cornucopia con funzioni più apotropaiche (allontanamento delle forze maligne) che propiziatrici (attrazione di quelle benigne)10.
E, dopo i fasti (!) di fare le corna in greco tardo e in latino medioevale11, eccone due testimonianze coeve (XVI secolo) in lingua. Nella prima fare le corna assume il significato edulcorato e generico (senza, perciò, alcun riferimento sessuale) di prendere in giro: Giovanni Maria Cecchi (XVI secolo), Gl’incantesimi, atto V, scena VIII: I’ dubito che ancor tu, Trinca, non abbi tenuto mano con coastoro a farmi le corna; che questo tuo darmi costui per le mani, e questo aver dato fede ai tuoi incantesimi e tue merde m’ha rovinato.
Nella seconda recupera tutto il suo originario significato sessuale ma nella cifra quasi da indovinello … del componimento si ammanta di un’aurea, per dirla con un ossimoro, metaforicamente concreta, che riesce a temperare la “volgarità” del tema: Nicolò Franco, Rime contro Pietro Aretino, CXC: ’O bella man, che mi distringi il core,/perché se tu non fossi, io creperei,/e per te mi soccorro a i casi miei,/co ‘l menarmel talvolta in quell’ardore./Per te senz’altrimenti far l’amore/ed impegnarmi e vendermi a giudei,/ottengo ogni gran donna ch’io vorrei,/e fo le corna al becco Imperadore./Per te, col mal di Francia non mi guasto, e per vera mercè delle tue prove/fo quel ben fatto, e son tenuto casto./Anzi, quando di me pietà ti move, pasco la mente d’un sì nobil pasto,/che ambrosia e nettar non invidio a Giove.
Fare le corna vi sembra troppo diretto e brutale? Eccovi serviti con far le fusa torte molto ricorrente nella letteratura dei secoli scorsi, in cui fusa (lasciate perdere ogni allusione alla donna-gatta, anche se l’etimo potrebbe essere lo stesso) è da intendersi, ma solo letteralmente, come plurale di fuso, lo strumento fondamentale del lavoro tipicamente femminile di un tempo, cioè la filatura. L’immagine sottostante mostra chiaramente il nesso fuso-corno, mentre quel torte è di una pregnanza semantica elevatissima: sembra quasi di vedere il fuso (anzi i due fusi …) diventare lentamente, in una dissolvenza incrociata, un bel cornetto (anzi, un bel paio di corna) …
Su far le fusa torte ecco due esempi entrambi risalenti al XV secolo:
Domenico di Giovanni detto il Burchiello (XV secolo), Rime, sonetto CLXXXVIII: Non ti fidar di femmina, ch’è usa/di far le fusa torte al suo marito;/che metter ti potrebbe a mal partito,/che tu non puoi saper con quanti ell’usa./Se di nulla t’accorgi, ell’ha la scusa/apparecchiata, e fatti stare unito,/sì ch’ogni volta ti verrà fallito,/se la riprendi mostrasi confusa./Che viene a dir, che se tu non la truovi/co i panni alzati, e col brigante addosso,/tu non puoi tanto dir, che tu gliel pruovi./Se le rompessi tutto quanto il dosso,/del suo voler giammai tu non la smuovi,/tanto le piace la carne senz’osso./Ond’io veder non posso,/che solo il mio compagno la contenti,/che ne vorrebbe ogn’ora più di venti.
Bernardo Giambullari, Ballate e canti carnascialeschi, XIII, vv. 1-20: Come vuolle la fortuna,/una falsa giovinetta/mi ferì d’una saetta/sanza aver piatà nessuna./Al mie cor fece tal nodo/co’ su’ occhi pien d’amore/che pensando ancor ne godo;/po’ mi moro di dolore,/perché la fu traditore/a un servo sì fedele./I’ avevo surte le vele/e per lei lasciato ognuna./Tutto quanto il mio disio/era in lei con buona fe’,/imperò ch’al parer mio,/grand’amor portava a me./Ognuno ‘mpari per sé/di non venire a tal sorte:/la mi fe’ le fusa torte;/e non avevo colpa nessuna.
(continua)
la prima parte in
https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/07/17/tutto-o-quasi-sulle-corna-13/
la terza parte in
https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/07/20/tutto-o-quasi-sulle-corna-33/
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1 Cioè carattere da attaccabrighe. Corno qui conserva ancora il significato tutto sommato non negativo ravvisabile nell’espressione dialettale prima ricordata (ddhu agnone tene li corne).
2 È la prima attestazione che conosco dell’uso della voce in senso figurato.
3 Gli opportunisti, ipocriti e adulatori, capaci di andare d’accordo anche con due che tra loro sono nemici. Utrosque parietes linere corrisponde al greco τοὺς τοίχους ὰλείϕειν [Pausania II secolo d. C.), Periegesi della Grecia, VI, 3, 15).
4 Per l’originale greco mi sono avvalso dell’edizione a cura di Costantino Satha in Bibliotheca Graeca medii aevii, La Fenice, Venezia/Maisonneuve & C., Parigi vol. V, pagg. 525-527.
5 Questo è il significato del verbo originale, dunque un significato non necessariamente pruriginoso, ma il lettore comprenderà come, giustamente, per Psello da cosa nasce cosa …
6 Bisognerà attendere mille anni per il grido il corpo è mio e lo gestisco io delle femministe.
7 Τέτριπται ἐν τῇ συνηθεία τοῦ βίου τὸ τοῦ κερατᾱ ὄνομα κἀκείνοις τοῡτο προστρίβεται, ὄσοις ἡ σύνοικος παρ’ἑτέροις ἐναγκαλίζεται· καὶ δοκεῖ πῶς ὁ λόγος ἄλογος εἷναι, οὐκ ἔχων ἀιτίαν, ἥτις τὴν προσηγορίαν ταύτην κοινοτομεῑ· οὐ γὰρ οἷς ἡ ὁμευνέτις μοιχᾱται, κέρατα τῶν κροτάφων ἐκκρούει, ουδὲ αὐτοὶ ἐξεπίτηδες κέρασιν ἑαυτοὺς καθοπλίζουσι· οὐ πρὸς ἀλλήλους διακυρίττονται, οὐχ ἑτέροις τὰς κεφαλὰς προσαρράσουσιν, οὐ πιτύλα ἐκκρεμμανῦσι τοῦ μετώπου, οὐκ ἄλλο τι τῶν κερασφόρων ἐκ τοῦ φανεροῦ ἰδίωμα ἑπιδείκνυνται. Ὅθεν παντάπασι δοκεῖ ἄπορον, ὁπόθεν ἡ πλάσις τοῦ ὀνόματος γέγονεν· ἵνα δέ σοι ἡμεῖς τὴν ἀληθεστάτην παραστήσωμεν τοῦ πράγματος ἔννοιαν, αὐτοὺς πρώτους διέλωμεν, ὄσοις αἱ γυναῖκες κοινωνίαν πρὸς ἔτερα λέκτρα ἐσχήκασι· θῶμεν οὖν μὴ πάντας αὐτοὺς ὀμοίους εἶναι, ἀλλὰ τοὺς μὲν ἀγρίαινειν ἐπὶ τὸ πράγματι, καὶ μετὰ θορύβου πάντα ποιεῖν, τοὺς δὲ τιθασσοὺς εἶναι, καὶ ἡμέρους αὐτόχρημα, ἠρήμα τῇ τοῦ κακοῦ ζεύγλῃ τὸν τράχηλον ὐποκλίνοντας, καὶ μήτε πρὸς τὴν γυναῖκα δυσανασχετοῦντας, μήτε πρὸς τὸν συμμεριστὴν τοῦ ἰδίου σώματος ἀνιαρῶς ἢ δυσφόρως ἔχοντας, ἀλλὰ καὶ δεξιὰν τούτοις ἐμβάλλοντας, καὶ ἡδέως προσαγορεύοντας, καὶ ἀπὸ τῆς αὐτῆς σιτουμένους, καὶ κοινῶν ἐμφορευμένους ἁλῶν· τὴν γὰρ ἑτέραν μερίδα, ὃσοι καὶ προμνῶσιν ἑτέροις τὰς ἑαυτῶν γαμετὰς, ἀποβουκολητέον τῷ λόγῷ. Δυοῖν οὖν φανέντοιν τμημάτοιν ἀπὸ τῆς διαιρέσεως, καὶ τοῦ μὲν ἀγρίου ὀνομασθέντος, τοῦ δὲ τιθασσοῦ, τῇ ἡμέρῳ μοίρᾳ τὸ τοῦ κερατᾶ ἐνήρμοσται ὄνομα· ὀ δὲ πρῶτος ὀνοματοθέτης, πολιτικὸς ὢν ἀνὴρ ὁμοῦ τε καὶ σοφός, ἀπὸ τῆς τῶν ὰλόγων ζώων διαφορᾶς, ἐπὶ τὸ λογικὸν τοῦτο, τὸν ᾰνθρωπον, τὴν ἀφορμὴν μετήνεγκε τοῦ ὀνόματος. Τῶν γὰρ ὰλόγων ζώων, ὅσα μὲν ὀυκ ἔχει κέρατα, ὀργίλα καὶ ζηλότυπα περὶ τὰς ἐυνάς· αὐτίκα ὁ λέων, εἰ μοιχευομένην ἴδῃ τὴν θήλειαν, διασπᾱται τοῖς ὄνυξι, καὶ τὰς παρδάλεις δὲ διαφθαρείσας οἱ ἄρρενες διολλύουσιν· αἵ τε ἄρκτοι ζηλοτυπώτατοι περὶ τὴν μοιχείαν τοῦ θήλεος, τοὺς δέ γε ἀετοὺς καὶ μάλιστα τοῡτο τὸ πάθος ἐνδύεται, ὅι γε καὶ τοὺς ἀπτέρους ἔτι δοκιμάζουσι εἰ γὰρ σκαρδαμύσσουσι πρὸς τὸν ἥλιον, ὥσπερ ἀποκλήρους ἐῶντες, τῆς νοσσιᾶς ἀπελαύνουσι· αἱ δέ γε περίστεραί, τὸ φιλάνθρωπον τοῦτο ζῶον καὶ ἥμερον, εἰ μέν τις ἀφαιρεῖται τὰ νεόττια, οὐδ’ὀπωςτιοῦν ὰντιβαίνουσι, καίτοι φιλάνθρωπον δ’ἄλλως τῇ φύσει καὶ περὶ τὰ πάθη τῶν ἐκγόνων ὐπερβαλόντως καθέστηκε φίλοικτον, ἀλλ’ἐκεῖναι τῶν μὲν νεοττῶν ἀφαιροουμένων, ὐφησυχάζουσι, εἰ δέ τις τῶν ὁμογενῶν, τὴν θήλειαν θέλει τοῦ ἄρρενος, καὶ μοιχεῦσαι ταύτην ἐπιχειρεῖ, ὀ ἅρρην διασπαράττεται καὶ περιτρύζει κύκλῳ περιιὼν καὶ ἀμύνεται τῷ φθορεῷ ταῖς πτέρυξι. Καὶ ἀπαξαπλῶς σύμπαν τὸ ἄκερον γένος τῶν ζώων, ζηλοτυπώτατον περὶ τὴν σύνοικον· τὰ δέ γε κερασφόρα, σχεδὸν εἰπεῖν ξύμπαντα, ῥᾷστα τὸ πάθος ὑφίστανται, ὁπόσα μηκάζοι, ὁπόσα βληχᾶται, ὁπόσα μυκᾶται, καὶ οὐδὲν αὐτοῖς ὀργίλον ἢ μνησίκακον ἐμπέφηνε, διὰ τὴν τῶν συζύγων δεινοτάτην διαφθοράν, ἀλλ’ύπὸ τοῖς τοῦ Πλάτωνος νόμοις πολιτευόμενα, τὴν κοινογαμίαν ἀσπάζεται, καὶ τὸ ἴδιον ἀγαθὸν κοινοποιοῦνται τοῖς ἀλλήλοις· ὄθεν οὐδὲ οἱ τοὺς συζύγους αὐτοῖς διαφθείροντες κύκλῳ περιίασιν, ἤ λαθραίως ἐπιθόρνυνται ταῖς θηλείαις, ἀλλ’ἐνώπιον τῶν ἀρρένων ἐπιχειροῦσι τῷ πάθει. Έντεῦθεν γοῦν τὸν μὴ περὶ τὴν ἰδίαν γαμετὴν ζηλοτυποῦντα, μὴ δ’ἄλλως ἀγανακτοῦντα ἐπὶ τῷ πράγματι, κερατᾶν ὁ ὀνοματοθέτης ὠνόμασεν.
8 Oneirocritica, II, 12, testo originale dall’edizione a cura di N. Rigalth e G. G. Reisk, Crusio, Lipsia, 1805, v. I, pagg. 154-155: Ἔλεγε δέ τις θεασαμένῳ τινὶ ἐπὶ κριοῦ καθημένῳ καὶ πεσόντι ἐξ αὐτοῦ ἐκ τῶν ἔμπροσθεν, μνηστευομένῳ δὲ καὶ μέλλοντι ἐν ἀυταῖς ταῖς ἡμέραις τοὺς γάμους ἐπιτελεῖν, προειπεῖν ἀυτῷ ὅτι ἡ γυνή σου πορνεύσει, καὶ κατὰ τὸ λεγόμενον κέρατά σοι ποιήσει καὶ οὕτως ἀπέβη. Καὶ διὰ μὲν τὴν πρόῤῥησιν τοῦ ὀνείρατος παραιτησάμενος τὸν γάμον καὶ μόλις ποτὲ πεισθεὶς ὑπὸ φίλων μετὰ χρόνον τινὰ ἔγημε μὲν τὴν πρώην αὐτῷ μεμνηστευμένην. Δεδιὼς δὲ τὸ ὅναρ ἐφύλαττε τὴν γυναῖκα καὶ διὰ πάσης ἀσφαλείας διεγένετο, καὶ ἐκείνη μὲν ἐνιαυτὸν ἐπιζήσασα διετέλεσεν ἄμεμπτος. Ἄλλην δὲ ἐπιγήμας γυναῖκα, ὡς καὶ νομίσας ἀυτὸν ἀποσκῆψαι τὸ ὅναρ, περιέπεσε τῷ δυστυχήματι· ἀπέβη γὰρ ἐκείνη εἰς ἔσχατον πορνείας ἐκπίπτουσα.
9 Sul codice che li contiene vedi Domenico Rossetti, Statuti antichi di Trieste descritti ed illustrati bibliologicamente, in L’archeografo triestino, Merenigh, Trieste, 1830, v. II, pagg. 103-149.
10 Non ci vuole molta fantasia per cogliere la somiglianza formale tra il cornetto e il fallo, che come strumento apotropaico a Pompei s’incontra quasi dappertutto. L’esemplare in basso è scolpito in un riquadro sul muro di un edificio che si trova all’angolo di una strada e non è il padre di un moderno segnale di direzione obbligata … anche se gli odierni trasgressori è come se dicessero col cazzo vado in quella direzione!
L’oggetto raffigurato nell’immagine sottostante (pendente, considerato come parte della bardatura di un cavallo, con testa di toro, occhi in vetro nero, fallo e mano chiusa ai lati) rinvenuto ad Augusta Raurica in Svizzera sembra riassumere perfettamente questo complicato intreccio, se non fosse che la mano non fa le le corna ma il gesto delle fiche che in Dante (Inferno, XXV, 2) trovò pure l’onore della poesia.
11 Nel latino classico l’espressione cornua fàcere ha solo il significato militare di schierare le ali dell’esercito e cornutus è solo sinonimo di animale fornito di corna.
Per l’italiano cornuto (come sinonimo di tradito dal partner) la prima ipotesi è che sia da un latino cornutu(m). Nel glossario del Du Cange al lemma CORNUTUS 1 si legge: Curruca. Concil. Mexican. ann. 1585 inter Hispanica tom. 4 pag. 311: Idemque servetur cum quis haec convicia et opprobria, quae maiora sunt coniecerit, illum Sodomitam, Proditorem, Hereticum, aut eo convicii genere, quod vulgus Cornutum, appellando (E lo stesso si osservi quando uno abbia lanciato queste offese che sono alquanto gravi chiamandolo sodomita, traditore, eretico o con quel tipo di offesa che il popolo chiama cornuto).
E a CURUCA 2 (così va corretto curruca del precedente rinvio): … homo qui sanat estrange. Curucare, corrumpre mariée … ( … uomo che mostra le sue attenzioni all’altrui donna … curucare, corrompere una maritata …). C’e, però, da dire che la data (1585) del documento citato dal Du Cange, autorizza a supporre un processo inverso (dal volgare alla forma latinizzata) come dimostra la presenza della voce in un testo veneziano di anonimo del XIII secolo: Muora lo fel cogoço, cornuto e ravaioso (in Contini Gianfranco, Poeti del Duecento, Ricciardi, Milano, 1960) e, per parlare di opere in lingua, quasi un secolo prima sempre rispetto al 1585), fra gli altri, in Matteo Maria Boiardo, Orlando innamorato, II, XXVI, 38, 8: Alla barba l’avrai, becco cornuto!; III, XVIII, 9, 6: Cornuto e becco Trivigante appella e in Giovanni Sabatino degli Arienti, Novelle porretane, XLIX: … tentare le graziose donne per le infinite lacrime de la moglie del cornuto.
Cornutus compare anche in Continuatione del nuntio sidereo di Galileo Galilei, scritto pubblicato per la prima volta nel secondo volume dell’edizione delle opere uscita a Bologna per i tipi degli Eredi Del Dozza nel 1656: Scilicet Venus cornuta non fit, quae tot quotidie cornutos efficit (Certamente Venere non diventa cornuta, essa che ogni giorno crea tanti cornuti). Ancor più evidente qui che nel caso del documento citato dal Du Cange la formazione moderna della voce latina. E poi, vuoi mettere l’ironia del grande scienziato che sapeva di giocare con l’epiteto avendo scritto, a proposito del pianeta Venere, in una lettera del 1 gennaio 1611 indirizzata a Giuliano dei Medici (Opere, XI, 12): La veddi dunque, sul principio, di figura rotonda, pulita e terminata … Cominciò poi a mancare dalla rotondità nella sua parte orientale … e in pochi giorni si ridusse ad essere un mezo cerchio perfettissimo … Ora va calando dal mezo cerchio e si mostra cornicolata, e anderà assottigliandosi … riducendosi … con corna sottilissime … la vedremo pur falcata e sottilissima, e con le orna averse al sole; anderà poi crescendo … sarà semicircolare … e poi dal mezo cerchio passerà presto al tutto tondo, e così rotonda si conserverà poi per molti mesi … dalla quale mirabile esperienza aviamo sensata e certa dimostrazione … che Venere necessariamente si volge intorno al sole …
Successivamente nel Dialogo sopra i due massimi sistemi scriverà: Marte … apparirebbe cornicolato, come fa Venere e la Luna.
Nella stessa lettera, poi, Galilei ricorda anche le sue doti di enigmista asserendo di aver inviato a Praga un messaggio relativo ad una sua scoperta, cioè Haec immatura frustra leguntur oy che fu tradotto alla lettera (Queste cose premature le sto cercando invano, ahi) e ritenuto incomprensibile. In realtà si trattava di un anagramma da risolvere in Cynthiae figuras aemulatur mater amorum (La madre degli amori imita le figure di Cinzia). La madre degli amori, naturalmente, è Venere, Cinzia è un epiteto di Diana identificata con la Luna e le figure sono le sue fasi.
La ricorrente presenza nelle epigrafi latine antiche del gentilizio Cornutus e il fatto che esso non compaia neppure una volta nei graffiti pompeiani (almeno fra quelli fino ad ora scoperti e registrati nel CIL) conferma che in epoca antica la voce non ebbe il significato negativo oggi prevalente se non esclusivo. Quale migliore occasione, infatti, poteva capitare di sfruttare l’eventuale doppio senso per lasciare su un muro il ricordo di uno sfottò? Certo l’autore del graffito, se l’avesse fatto, non avrebbe potuto immaginare che il Vesuvio avrebbe conservato per due millenni il ricordo del suo gesto. Pensate però da quale amarezza sarebbero stati invasi gli autori dei graffiti che furono tracciati e che ci sono pervenuti se avessero saputo che la loro opera, protetta dal Vesuvio per due millenni, sarebbe poi andata in rovina, come sta succedendo, per l’incuria degli uomini …
Connesso, attraverso l’antico francese, con il latino cornu (singolare di cornua) è poi il corner, cioè, nel gioco del pallone, il calcio d’angolo. Purtroppo il saperlo non aiuta a batterlo meglio …
Secondo Petronio io (ariete) dovrei avere molte pecore (ho forti dubbi), testa dura,. ci sta bene, ma proprio il carattere da attaccabrighe non fa per me…ma forse bisogna vedere l’ascendente e il discendente…già allora, comunque si divertivano
Sergio