Ai cipressi di Borgagne

cipressi

di Pino de Luca

 

Il cipresso è un albero strano. Sempreverde (Cupressus sempervirens) alto e dalla chioma stretta e con radici dal medesimo disegno. Non serve, dicono, praticamente a nulla. La sua ombra è inesistente, magari potrebbe fare lo gnomone di una meridiana gigantesca. Fitto e dai rami sottili, difficile farci i nidi. Brucia male.
I cipressi sono li, a guardia dei morti, o a coronare viali dal fondo polveroso e sconnesso, sabbie mobili per passi perduti per chi cammina senza una meta precisa.
E invece il cipresso è nobilissimo, il primo albero dell’Eden si dice. Del suo nobile e aromatico legno era la freccia dell’arco di Eros, lo scettro di Zeus e la clava di Ercole.
Segno della salvezza (“Fatti un’arca di legno di cipresso; dividerai l’arca in scompartimenti e la spalmerai di bitume dentro e fuori.” Genesi, 6,14) e della vita (“Se proprio non vuoi bruciare, torna a vivere” disse San Francesco piantando un rametto di cipresso. Quel cipresso è ancora a Santa Croce …)
Segno di eros e di amore perenne. Il suo nome è legato a Ciparisso, giovanetto che, insieme a Giacinto, era l’amato di Apollo.
Apollo, per ringraziarlo della sua disponibilità, gli regalò un cervo ma, un brutto giorno, giocando con il giavellotto Ciparisso colpì il cervo ferendolo a morte. Addolorato per la perdita chiese ad Apollo di rendere perenne il suo pianto e il dio lo trasformò in albero: il Ciparisso o cipresso.
E le galbule? Dioscoride ne fa uno dei medicamenti primari financo contro il veleno degli scorpioni.
Poi, poi viene l’oblìo e, con esso, l’ignoranza. E il cipresso diventa l’albero dei morti e della “sfiga”, l’albero che non ha senso coltivare perché non fa ombra e non fa frutti. Cresce lentissimo e, cosa imperdonabile per gli umani del tempo della fretta, è longevo, molto longevo.
E allora si segano gli alberi, si tagliano e si buttano, perché lo decide qualcuno che magari va in chiesa tutte le mattine e non sa nemmeno di quali legni è fatta la croce di Cristo. Palma, Ulivo, Cedro e Cipresso, per chi lo avesse dimenticato.
Si segano e si buttano incuranti della storia che hanno visto e che possono raccontare.
Sono indifesi gli alberi, non possono fuggire né ferire. Sono lì a guardarci da vivi e anche da morti, a dirci che loro c’erano quando noi non c’eravamo e ci saranno quando noi non ci saremo.
Ma sono utili gli alberi e si possono tagliare, l’importante è che qualcuno sappia per quale ragione, da spiegare ad una cozza che, nel Salento, ricorda i cipressi di Borgagne.
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2 Commenti a Ai cipressi di Borgagne

  1. “Poi venne l’oblio e, con esso, l’ignoranza” scrive magistralmente Pino de Luca, amico di Borgagne e di Borgoinfesta . E gli fa onore questa testimonianza scritta con leggerezza e compatimento, da questo amico che più volte ha intessuto le lodi di questo paese descritto quale fervido, vivace, “autentico” tanto da entrare in Borghi Autentici d’Italia.
    Le sue parole provano a consolare lo sconcerto per un azione sconsiderata, inimmaginabile e sconvolgente, avvenuta in un primo mattino di maggio, nel cimitero del paese: il taglio netto e totale di due cipressi antichi, posti chissà da quanto ai lati dell’ingresso nell’altro mondo…
    Il legname era tanto a dire della vetustà dei due amici silenziosi abbattuti e un motivo accettabile si fa fatica a trovare….il vento a volte è impetuoso e cadono come pioggia le vecchie foglie dei cipressi a coprire il volgare asfalto e lo si considera “sporco” da pulire…ma può bastare questo perché sia deciso il loro abbattimento?…e lo sconcerto non trova ancora una ragione e una ragione “autentica” non c’è…se non in quello che icasticamente scrive l’amico Pino de Luca, a testimonianza che forse…”pietà l’è morta”.

  2. Il legname era tanto, virgola…
    altrimenti non si comprende la grandezza di questi due esemplari arborei che hanno accolto silenziosi varie generazioni di borgagnesi, ma non solo, nel luogo che una volta era di pace.
    Scusate questa nuova mia intromissione, ma una virgola è una virgola e a qualcosa servirà…o no?

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