Recuperi di assenze
di Elio Ria
I palazzi superbi in cieli di barocco. Le chiese di paradiso in preghiera. I vicoli stretti e inaccessibili allo sguardo riservano sorprese. Gli archi testimoni del passaggio frettoloso delle genti. I merletti di pietre decorano altari. Le botteghe in direzione del tempo. Le piazze solitarie e affascinanti. I santi in alto.
Qui, ora, intorno a me ci sei, e una stupenda serenità mi tiene.
Gli spiriti dell’antichità aleggiano su contrade e piazze. Non vi è giorno che non immagini di essere qui. Ho bisogno di canti e melodie per sopire la soave melanconia in subbuglio. La gente del luogo non mi conosce. Va bene così. L’essere forestiero mi dà libertà di movimento nell’incantevole eterna antichità. Non mi perdo e ritrovo le assenze di osservazione. Non so che cosa mi trattiene ancora per darmi buon tempo e buon luogo. Le forze dentro di me stringono patti con il luogo per imporre scritture di destino, nonostante la rassegnazione sia già soddisfazione di sogno. Al cuore ho chiesto di non agire e di lasciare il governo delle emozioni. Qui, in questo luogo che amo, e non dimentico, ed è sempre in me, la suggestione mi conferma tranquillità.
Dovrei possedere la genialità di un grande poeta per rappresentare ogni cosa che scalfisce l’anticamera della sensibilità e rendere omaggio alla città che commuove gli occhi, ma sono contento di non esserlo. Lecce è la strega che dà pienezza ai miei sguardi smarriti e impauriti.