di Renato Rizzelli
Parlo di Santa Cesarea. Così come un uomo può parlare di un amore ormai perduto. E ne rammento profumi, voci, personaggi, case, giardini che oramai non riconosco più. Da tempo.
Maria Corti scriveva: “C’è, nel Salento, un luogo marino chiamato Santa Cesaria dalla gente del posto, laddove nel 1913 la passione retorica dei burocrati impose la ridicola variante ufficiale di Santa Cesarea, cui aggiunse Terme, quasi che non al locale San Cesario, ma all’imperiale Cesare si legasse il nome della vergine…” (1).
Dalla passione retorica, col fluire degli anni, siamo passati a una passione ben più pericolosa: quella per la speculazione, per il guadagno personale anche a costo di sfigurare il territorio, sfruttandolo in modo barbaro e miope, fino a corroderne persino l’ormai ingiallito ricordo.
Da tali offese alla bellezza e alla memoria sorge il desiderio di scrivere qualcosa sulle origini di questo luogo che le incarna entrambe, quasi a recuperarne un’eco dell’antica immagine ormai sbiadita, forse irrimediabilmente persa. La ricerca di tali origini è compito che si sostanzia in un nostalgico inseguire i mille rivoli delle leggende locali, variegate sorgenti che formano quel magma unico da cui emana il fascino che avvolge chi, con la memoria, cerca di attraversare questo anfratto di Salento e coglierne il sapore perduto.
La prima leggenda, di essenza pagana, vuole che Ercole, accorso in aiuto di Giove e dei suoi numi insidiati dai Titani, vincesse la battaglia contro questi, ritenuti invincibili, sui Campi Flegrei. I superstiti fuggirono fin verso la costa japigia, impervia e impraticabile, inseguiti da Ercole che qui li raggiunse e uccise. I corpi dei giganti si dissolsero e la loro putrefazione rese sulfuree le acque sotterranee che affioravano dalle sorgenti.
La leggenda cristiana, o meglio, una versione della stessa – forse la più popolare – narra di una fanciulla, Cesaria, figlia di un ricco mercante e orfana di madre già a quindici anni. Per sfuggire alle bramosie del libidinoso padre, la giovane Cesaria, che aveva fatto voto di castità, escogita un tranello per fuggire da casa: lega due colombe al catino dove era solita lavare i piedi e queste, con lo sbattere d’ali, fanno credere al padre che lei sia ancora nella sua stanza mentre, invece, fugge da una porta secondaria. Dopo cinque giorni di cammino, Cesaria giunge sulla costa fra Otranto e Castro. Qui si rifugia in preghiera in una grotta, mentre il padre, bestemmiando, offuscato dall’ira e dalla malsana passione, la cerca disperatamente. La trova, infine, ma ella muore (o viene miracolosamente avvolta da una nube) prima ancora che il genitore possa abusarne mentre lui, investito da una tromba d’aria, viene scaraventato nel mare che, al suo contatto, diviene fetido e impuro (2)(3). “Solo un nuovo odore di zolfo saliva dall’acqua” (4).
Esistono, nella tradizione popolare, delle varianti di tale leggenda cristiana, ma il denominatore comune, anche con quella pagana, vuole che lo zolfo disciolto nella sorgente provenga dalla putredine di corpi malvagi.
Il giudizio di valore sulle sorgenti sulfuree, però, è capovolto: se nel primo caso queste sono oggetto di terrore, provenendo dal disfacimento dei terribili Titani, nel caso di Cesaria acquistano il valore di un dono di Dio che ha voluto, distruggendo il malvagio, creare un bene per tutti.
E chi, fra i vecchi frequentatori di Santa Cesarea, non ha in mente la statua della Santa con le colombe? Chi non avverte ancora, più o meno in base al vento che muove il mare, l’odore penetrante dello zolfo che si libera dalle grotte Solfurea (la grande) e Gattulla (la piccola)?
La processione a mare con la banda nel barcone ad accompagnare il simulacro della Santa fino alla grotta grande è una immagine che mi lega al passato di questo luogo ormai stretto, in estate, dalla morsa delle auto e stravolto, ahimè, nella sua veste architettonica.
Un tempo, moltissimi anni orsono, era il 1500, il culto della Santa si svolgeva attorno ad una cappella sita nei pressi della grotta Sulfurea, sulla scogliera impervia, edificata ad opera di privati cittadini, probabilmente di Cerfignano, con l’idea che fosse il posto in cui Cesaria trovò rifugio o dove fu inghiottita, nascosta per sempre, dalla roccia (secondo una variante della leggenda).
Scrive Girolamo Marciano, illustre medico, letterato e filosofo leveranese, come riportato da Nicola De Donno : “sopra di questo antro o grotta si vede oggi edificata una chiesa in onore di Santa Cesaria, nella quale chiesa ogni anno, il dì dell’Ascensione, concorre molta gente per la divozione”(5).
Immaginate Santa Cesarea, composta, fin verso la fine del 1700, da una chiesetta sulla scogliera, dalla torre saracena in cima alla collina sovrastante e da qualche rifugio di pietre a secco per contadini e pecorai. Vi si giungeva solo percorrendo stradicciole di campagna, mal carreggiabili, che partendo da Vitigliano e Cerfignano andavano, serpeggiando, a congiungersi nell’area della masseria S.Giovanni e da lì in giù, verso la scogliera. Durante quasi tutto l’anno il luogo era deserto affacciato sul mare dell’est, salvo l’afflusso stagionale di infermi e accompagnatori per i bagni di zolfo e la partecipazione alla festa, il giorno dell’Ascensione.
La chiesetta fu abbattuta dopo il 1911, per dar luogo al lungomare. L’ingegnere Corti progettò la nuova chiesa, quella che noi conosciamo. E con essa le strade d’accesso a quel luogo che, fino allora, aveva conosciuto solo il fragore del mare e l’alito del vento.
Molto tempo è passato. Sono arrivati, attratti dalla magia di quel posto incantevole, turisti, costruttori, speculatori.
La chiesetta è morta. Anche nel ricordo.
“…E’ fatta “, disse Mastro Oronzo sedendo sui gradini della sua masseria vicina al mare, lungo la costa rocciosa e impervia che va da Otranto a Castro. E mi piace immaginarlo con gli occhi velati dalle lacrime dopo aver visto pietre portate via, ulivi spezzati dalle mine nel fondo di Santa Lucia che non c’era più. L’uliveto non c’era più sulla terra (4).
Bibliografia:
1. Maria Corti, “Voci dal Nord Est”, Milano, 1986
2. Saverio La Sorsa, “Fiabe e Novelle del popolo pugliese”, Bari, 1927
3. Primaldo Coco, ” Santa Cesaria Vergine Francavillese”, Taranto, 1924, ed. Lodeserto
4. Maria Corti, “La leggenda di domani”, ed. Manni
5. Nicola G. De Donno ,”Santa Cesarea Terme, dal mito dei Giganti all’appalto delle sorgenti”, ed. Congedo.
Non conoscevo la storia della Santa,peccato che tutto sia andato perso.Ancora una volta il passato viene ingioato dalla falsa Civiltà.
Splendida descrizione che lascia, come solo noi sappiamo, un retrogusto amaro… di quell’amore trascorso!!
La bellezza di questo paesino sul mare è davvero unica. Grazie a tutti quelli che hanno il desiderio di difenderla e valorizzarla. Coraggio, intraprendete nuovi percorsi perché non sia abbandonata a se stessa!