I Martiri di Otranto e il 1480 (I parte)

I Martiri di Otranto e il 1480

Per una rilettura delle vicende storiche tra ipotesi, protagonisti e complessità processuali

di Mauro Bortone

 

Il decreto  super martyrio

 

Nello scorso mese di luglio, la Santa Sede, per volontà stessa di Benedetto XVI, ha dato parere favorevole alla santificazione dei Beati Martiri di Otranto, uccisi nell’invasione turca del 1480. L’atto è un formale riconoscimento, da parte della Congregazione per le Cause dei Santi, del martirio degli Ottocento: un primo importante tassello, non ancora decisivo, del lungo percorso verso la canonizzazione. Il processo di proclamazione della Santità avviene, infatti, attraverso due momenti: la constatazione dell’avvenuto martirio e l’accertamento di un miracolo per intercessione di quanti si venerano. Il decreto in questione ravvisa che, nelle vicende storiche del 1480, Antonio Primaldo e Compagni siano da ritenersi a tutti gli effetti martiri, uccisi “in odio alla fede”. Nel gergo ecclesiale, è il decreto super martyrio: martiri si, dunque, ma non ancora santi. E ci sarà ancora da attendere, come la tradizione e la storia stessa insegnano: perché, sebbene nel sentire comune dei più, i martiri otrantini siano da tempo “santi”, le fasi e gli sviluppi storici del lungo processo di canonizzazione dicono tutt’altro, o meglio, raccontano di difficoltà di approdo a questa agognato giudizio a dir poco “croniche”. Il decreto non va sminuito nella sua rilevanza, ma occorre anche ricordare che ad esso si è giunti, dopo un percorso lungo 16 anni. La fase del processo diocesano di canonizzazione dei Martiri, si è, infatti, conclusa nel 1991. Ma l’iter è ancor più lungo e complesso, se si pensa a tutte le fasi processuali che hanno interessato i Beati Antonio Primaldo e Compagni. I martiri otrantini furono definiti tali perché al termine di un processo, aperto nel 1539 e concluso il 14 dicembre 1771, la Chiesa ne aveva autorizzato il culto[1]. Da allora gli Ottocento otrantini, morti nel sacco cittadino del 1480, sono “beati”. Con l’entrata in vigore delle nuove norme, in vista di una possibile canonizzazione, il processo è stato interamente rifatto dalla Chiesa con un’accurata ed approfondita inchiesta storica, che ha confermato il risultato di quella precedente. Va precisato che la Congregazione delle Cause dei Santi ha condotto questa «ricognizione canonica» su richiesta appunto della arcidiocesi di Otranto. Viene naturale chiedersi come mai, nonostante siano passati oltre cinquecento anni dall’evento nefasto del 1480 ed oltre 250 anni dalla beatificazione degli Ottocento, l’avvicinamento alla meta dell’attesa santificazione procede così a rilento?

(continua)

pubblicato su Spicilegia Sallentina n°3

[1] A. ANTONACI, I processi nella causa di beatificazione dei Martiri di Otranto, Galatina 1962, 1.

[2] Descritto come un «homo di statura picciola, di color bruno, nasuto, con poca barba, mezzo spano, brutto di volto, d’animo crudelissimo e molto avaro, povero e vile, fatto Bassà da Maumeth per beffeggiamento, perché avanti era stato staffiero» da G. M. LAGGETTO, Historia della guerra di Otranto del 1480, trascritta da un antico manoscritto e pubblicata dal Can. Luigi Muscari, Maglie 1924, 26.

[3] L. VON PASTOR, I Turchi ad Otranto e la crociata di Sisto IV  in Storia dei Papi. Dalla fine del medio evo, Roma 1942, II (1458-1484), 530-543.

[4] LAGGETTO, Historia della guerra di Otranto del 1480, cit., 30.

[5] Ivi, 34.

[6] S. DE MARCO, Compendiosa istoria degli Ottocento Martiri Otrantini, Lecce 1905, 11-12.

[7] Ivi, 13-14.

[8] Il prodigio della conversione e del martirio del turco sono riportati nel processo informativo sugli Ottocento otrantini, celebrato per la prima volta nel 1539, dai quattro testimoni oculari: Francesco Cerra, 72 anni, uno dei quattro affermò: «[…] Antonio Primaldo fu il primo trucidato e senza testa stette immobile, né tutti gli sforzi dei nemici lo poter gettare, finché tutti furono uccisi. Il carnefice, stupefatto del miracolo, confessò la fede Cattolica essere vera, e insisteva di farsi Cristiano, e questa fu la causa, perché per comando del Bassà fu dato alla morte del palo». Cf  LAGGETTO, Historia della guerra di Otranto del 1480, cit., 41. Ad onor di cronaca, nel corso del processo, viene riconosciuto qualche limite alle testimonianze, per così dire, dirette. Cf in merito ANTONACI, I processi nella causa di beatificazione dei Martiri di Otranto, cit., 20.

 

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4 Commenti a I Martiri di Otranto e il 1480 (I parte)

  1. Per via di una ricerca sull’argomento mi interesserebbe conoscere qualche notizia più precisa sulla partecipazione dei tarantini all’assedio di Otranto e se tra i martiti ci furono dei tarantini e quindi della loro beatificazione, possibilmente con qualche indicazione bibliografica sul tema. Grazie
    Prof. Mario Guadagnolo tel. 368/7794732
    mail: mguadagnolo@teletu.it

  2. Dimenticavo di aggiungere le mie congratulazioni per il vostro studio sull’argomento prof. Mario Guadagnolo

  3. DOC./INTERVISTA: “Otranto 1480. Il sultano, la strage, la conquista” di Vito Bianchi *

    Prof. Vito Bianchi, Lei è autore del libro Otranto 1480. Il sultano, la strage, la conquista edito da Laterza. A distanza di oltre cinque secoli, la conquista e la strage di Otranto continuano ad essere ancora molto dibattute: quale importanza storica riveste l’episodio?

    Otranto 1480. Il sultano, la strage, la conquista, Vito BianchiScrive un islamista puntuale quale Bernard Lewis che “… durante la lotta per la successione che vide impegnati da una parte il nuovo sultano Bayazid II e dall’altro suo fratello Djem, le truppe ottomane vennero ritirate da Otranto e il piano di conquista dell’Italia fu rimandato a tempi migliori e, in seguito, abbandonato. La facilità con cui, pochi anni più tardi, nel 1494-1495, i Francesi riuscirono a conquistare uno stato italiano dopo l’altro, senza quasi incontrare resistenza, lascia supporre che, se i Turchi non avessero desistito dall’impresa, si sarebbero impadroniti della maggior parte della Penisola, se non di tutta, senza difficoltà. Un’ipotetica conquista turca dell’Italia nel 1480, proprio agli inizi del Rinascimento, avrebbe trasformato la storia del mondo intero…”. In effetti, dovette trattarsi di un’esperienza scioccante per il mondo occidentale. Nel 1480, il sultano turco Maometto II Fatih, (1451-1481), il Conquistatore nel 1453 di Costantinopoli, aveva architettato l’assalto all’Italia e a Roma partendo da Otranto, in Puglia: una regione che le coeve fonti musulmane paragonavano ad un’arnia “il cui miele è molto… e le cui api sono poche”, a sottolinearne da un lato la floridezza economica e dall’altro le scarse difese. “Rum, Rum”, e cioè “a Roma, a Roma”, era il grido con cui si lanciavano in battaglia gli Ottomani, sin dai primi momenti in cui avevano invaso le regioni balcaniche. Qui erano rimasti incagliati nella resistenza opposta dal principe valacco Vlad III Dracula, detto Ţepes (l’Impalatore), e dai Veneziani, che non intendevano perdere le basi commerciali nel Mediterraneo orientale. Ma dopo che Dracula era morto in battaglia alla fine del 1476, e dopo che nel 1479 Venezia era stata costretta ad arrendersi ai Turchi, al termine di un aspro conflitto durato sedici anni, ecco che per gli Ottomani si era aperta la possibilità di assalire la Penisola italica dal Salento, territorio appartenente al regno meridionale degli Aragona, con capitale a Napoli.

    Contrade ricche e appetibilissime, le terre salentine erano appartenute per secoli ai Bizantini. Ma Bisanzio era divenuta turca. E i Turchi pretendevano adesso di riappropriarsi dei territori che erano stati bizantini: il ragionamento non faceva una grinza.

    L’offensiva della Sublime Porta trovò impreparati gli Aragonesi che, per la pressoché contemporanea Guerra di Firenze, si trovavano allora con un “melione d’oro” in meno nelle casse regie. Pertanto, al profilarsi degli Ottomani, il fronte adriatico dovette configurarsi per il re di Napoli, Ferrante d’Aragona, figlio di Alfonso il Magnanimo, non più come la desiderata base di lancio verso l’area balcanica e l’ex impero bizantino, bensì come una frontiera assolutamente permeabile. Ecco dunque l’attacco turco a Otranto, una località protetta da fortificazioni ormai cadenti e obsolete, che sin dall’epoca dell’imperatore Federico II di Svevia, nel XIII secolo, avevano sofferto per l’erosione marina.

    Gli invasori sbarcarono il 28 luglio ai Laghi Alimini, avanzando per terra e per mare, devastando casali e campagne. In quei frangenti il borgo otrantino risultava praticamente sguarnito, con pochissimi soldati delegati a difendere la comunità locale. Gli altri erano per lo più dei semplici cittadini, degli onesti marinai. Sapevano di barche e reti, di venti e maree. Di armi, proprio no. I musulmani chiesero la resa. La guarnigione di stanza nella città rispose con un colpo di bombarda alla richiesta. Gli Otrantini, allora, subirono un terribile bombardamento, per poi assistere all’ingresso delle schiere turche in città. Il 12 agosto, il comandante ottomano, Ahmed Pascià, detto Gedik, lo “Sdentato”, ordinò di rastrellare i superstiti di sesso maschile e d’età superiore ai quindici anni. I giovani migliori, naturalmente non vennero uccisi ma tratti come schiavi. Le fanciulle più belle furono avviate agli harem della capitale ottomana. Chi poté, pagando un riscatto di 300 ducati, ebbe salva la vita e venne lasciato libero di allontanarsi da Otranto. I restanti prigionieri, per lo più anziani e “inservibili”, a gruppi di cinquanta furono condotti sulla collina detta “di Minerva” – quella che oggi è chiamata “collina dei Martiri” – e decapitati.

    -In quale contesto storico va inquadrata la questione di Otranto e dei suoi martiri?

    La guerra otrantina si pone al culmine di una molteplicità di intrecci, in una fase decisiva per le sorti della storia mediterranea, quando l’impero ottomano era in prepotente dilatazione verso l’Europa e l’Occidente. Sulla traiettoria espansionistica degli Ottomani, l’Italia appariva lacerata da congiure e lotte intestine fra le più splendide signorie rinascimentali. Dietro l’attacco turco alle Puglie c’è il sogno di un sultano quale Maometto il Conquistatore, affascinato dai fasti dell’antichità, che intendeva riunificare l’impero romano togliendo al papa la Città Eterna dopo aver già espugnato Costantinopoli. Ci sono gli interessi della Repubblica di Venezia, che aveva bisogno di preservare le sue basi commerciali sui quadranti orientali; c’è Lorenzo il Magnifico, appena scampato alla Congiura dei Pazzi, angustiato dalla necessità di liberare la Toscana dall’assedio degli Aragonesi; ci sono le mire di dominio della Penisola del re di Napoli, Ferrante d’Aragona; c’è un pontefice come Sisto IV che, mentre pensava alla decorazione della Cappella Sistina, brigava per insignire di nuovi feudi il proprio nipote, Girolamo Riario; ci sono condottieri al servizio del miglior offerente, come Federico da Montefeltro; c’è il coraggio dei Cavalieri di Rodi che resistevano agli assalti degli “infedeli” musulmani. Spie, veleni, trame oscure si fondono fra loro per condurre a una guerra terribile, che rovescerà tutta la sua violenza su una popolazione ignara degli intrighi, ingannata da coloro cui era fedele e, per questo, massacrata. Alla fine non ci saranno vincitori, se non la peste. E si cercherà di recuperare gloria almeno dai resti delle vittime, facendone appunto dei “martiri della cristianità”, contro ogni evidenza e testimonianza. Su tutto, l’impassibilità del potere nei confronti degli umili, degli ultimi, degli indifesi, costretti a pagare il prezzo delle altrui ambizioni. […] *

    * FONTE: “LETTURE. ORG” (https://www.letture.org/otranto-1480-il-sultano-la-strage-la-conquista-vito-bianchi).

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