di Armando Polito
È una stella scarna, come qualsiasi cosa che ispiri o persona che nutra la speranza; una stella che affida, una volta tanto, ad una lingua “morta” e non all’inglese il compito di diffondere un auspicio universale. È inutile che il lettore perda tempo con i motori di ricerca per individuare l’autore dell’esametro e delle relative traduzioni: sono io, e si sente…
Non vorrei che quella in dialetto neretino, in cui prevale l’agricolo significato di base del primo verbo, fosse interpretata come la solita paternalistica allusione che il sacrificio su questa terra vale, per chi ci crede, un posto privilegiato nell’aldilà e, in ultima analisi, come un’esaltazione della rassegnazione. Vuole essere, al contrario, la prefigurazione di un mondo i cui protagonisti trovano il loro riscatto nel bando dello spreco e del superfluo e nel rispetto reciproco. Insomma, il trionfo di quella rivoluzione che, anche se non da sola, più di duemila anni fa mise in ginocchio un impero e che in duemila anni ha avuto, quando le cose sono andate bene, solo sbiadite controfigure del più grande e tradito rivoluzionario di tutti i tempi: Cristo.