I formaggi della pecora Moscia Leccese

 

gregge di Franco Cazzella (ph G. De Filippi)

 

di Franco Cazzella

Nel periodo dei Romani, a colazione si predilige la “melca”, cagliata leggera e fresca al palato, ricavata acidificando il latte con aceto e aromatizzata con salvia, cipolla e porro.
Diffusissimo il consumo di formaggi freschi crudi o impastati con erbe spontanee o con miele; quest’ultimo entra nella preparazione di crocchette dolci e torte rustiche diventando una sorta di lievito.
A chi accusa i primi sintomi di vecchiaia Plinio consiglia di cogliere fiori di pesco, malva, fragola, primula e vulneraria, di porli in una scodella e di condirli con due cucchiai di latte cagliato: un dessert che, mangiato tutti i giorni in primavera, rallenta l’invecchiamento del corpo e della mente.

Lo storico Girolamo Marciano (1571 – 1628) nel suo Descrizioni, origini e successi della Provincia d’Otranto, elenca già i formaggi che oggi sono prodotti come quei tempi: la marzotica, la ricotta forte  …detta volgarmente uschiante, per il sapore alquanto mordace che contrae nella confettura, che non si fa in altro luogo d’Italia...

Ne riporta con precisione il metodo di preparazione e gli utilizzi gastronomici e le riconosce persino proprietà terapeutiche: …giova molto allo stomaco, ed è gratissima al gusto, provoca l’appetito, reprime il vomito, e stringe il flusso del ventre, uccide grandemente i vermi, e posta sulle piaghe verminose, ne fa subito cadere i vermi, genera sangue e nutrisce molto.

La menzioneranno nei loro testi anche V. Corrado (1738 – 1836) e G.B. Gagliardo (1758 – 1826) che nel suo Catechismo Agrario (1793), dà anche alcune dritte sull’uso della ricotta fresca e sul modo di ricavarne da questa “la manteca”, ossia il burro di ricotta.
Per Carlo Salerni, fondatore insieme a G. Palmieri dell’Accademia degli Speculatori (Lecce, 1775 – 1783), fautore dello sviluppo economico e culturale di Terra d’Otranto:

…Ottimi sono i nostri latticini e quandocchè fussero ben apparecchiati, aver dovriano i formaggi al pari de’ più ricercati di Europa, eccellenti…

E’ assai pregiato il cacio del Capo detto di Maglie, e quello delle parti di Taranto chiamato cacio-ricotta è assai acconcio per condire i cibi. L’ottima qualità delle nostre ricotte salate, è soprattutto di quelle che, per essere fatte nel mese di marzo, diconsi marzotiche, son saporose e grasse a segno che non ci par di potersi desiderare cosa di meglio.
Nel dialetto salentino è proprio il verbo cuvernare, governare, avere cura, favorire la stagionatura, stropicciandolo col palmo della mano intrisa di aceto e sale e, di quando in quando, soffregandolo (friculare o stricare), con olio grasso, quasi morchia, che crea una patina idrorepellente, ottenendosi lu casu mmurgatu.
In passato il Duca di Taurisano ha fatto manipolare da latte di pecora gli stracchini ad uso di Milano e sono riusciti eccellenti.

Oggi le nuove tecnologie consentono di migliorare la qualità, di inventare altri prodotti caseari più vicini ai gusti contemporanei. Tuttavia, qualsiasi interpretazione delle produzioni tipiche non può ignorare la tradizione agricola-pastorale salentina, affino che non vada del tutto dispersa.
Prima di tutto vi è una distinzione da compiere. Vi sono due gruppi di formaggi: uno “per la tavola”, e l’altro “per incaciare” (mettere il formaggio, o cacio sulle vivande. I maccheroni, e gli gnocchi devono essere ben incaciati).
Generalmente, il formaggio è casu:
friscu, fresco;
forte o casu ca pizzeca, piccante;
ecchiu, stagionato;
duce, dolce;
siccu, secco o magro;
cull’ecchi o senz’ecchi, con o senza bollicine d’aria;
cu li iermi, con i vermi o inverminato, guasto dai bachi, preferito tuttavia da alcuni buongustai.

La forma, sempre tondeggiante, è indicata con pezza o rota te casu; se è piccola pezzotta. Le pezze da stagionare si pongono su ripiani (taule de lu casu), assi di legno poggiati su grossi chiodi o paletti conficcati nel muro della caciaia, cammera de lu casu, casularu, appositamente adibita.

Il formaggio se è male custodito può unchiare, gonfiare, sollevando la crosta o formando bolle.
Evidenziati questi significativi preliminari, normalmente nella masseria prepara il formaggio la massaia, massara, che diventa per l’occasione caciaia, purchè abbia esperienza, ovvero conosca l’arte di fare il formaggio.

Un altro aspetto a favore della bontà del formaggio è che le pecore non abbiano mangiato forficicchia, coriandolo selvatico, specie di trifoglio selvatico che puzza, e che, mangiato dagli animali, conferisce al latte e al formaggio un sapore sgradevole.
L’operazione preliminare è filtrare il liquido con un insolito colino (culaturu), un sacchettino di tela mussolina bianca, dal tessuto sufficientemente fitto ma capace di trattenere qualsiasi impurità.
Abitualmente la massaia, con le maniche rimboccate, un grembiule legato alla vita ed i capelli raccolti in una cuffia, si fa il segno della croce, accompagnandolo con la richiesta della buona riuscita del formaggio: Lu Signore cu me lu fazza ènire buenu, il Signore che me lo faccia venire buono;  anche una particolare benedizione postuma rivolta a chi consumerà il frutto di tanta fatica: Cu ne sia benedittu a ci se lu mangia, che sia benedetto a chi se lo mangia.

 

(estratto da BIODIVERSITA’ A RISCHIO DI ESTINZIONE. LA PECORA MOSCIA LECCESE. Futuro- Presente- Passato, Mario Adda Editore 2008)


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6 Commenti a I formaggi della pecora Moscia Leccese

  1. Ahaha, dai Luigi, te li possiamo spedire se proprio non resisti fino alla tua prossima discesa salentina! :)
    Effettivamente la vetrina fa venire l’acquolina!

  2. se mi prometti che stavolta non mancherai al nostro incontro culturale, accetterò un assaggio de “casu fiscu”.

  3. Il formaggio con i vermi? Siii a Nardò lo si chiamava CASU PUNTU e non si trattava di un formaggio andato a male e pronto per essere inoltrato nella spazzatura, tutt’altro, era molto ricercato e apprezzato, inoltre al gusto intriseco del formaggio il meglio lo si degustava nel sentire lo scricchiolio tra i denti del vermetto il quale stimolava le ghiandole salivari e per armonizzare al meglio i sapori era necessario e doveroso annaffiare il tutto con dell’abbondante GNORUMARU

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