di Lucio Causo
Le origini
Tuglie, in provincia di Lecce, ha origini molto antiche. Lo confermano i quattro “Menhir” tugliesi che si trovano in aperta campagna: il menhir di “Monte Prino”, alto circa due metri; il menhir delle “nove croci” in contrada “Camastra”; il menhir che si trova all’incrocio della via vicinale del “Caruggio” con la via vicinale “Camastra”; il menhir del fondo “Scirocco”, al confine tra le tenute Santese e Losavio.
Sono di particolare interesse le “Grotte Passaturi” o “Case vecchie”, situate in prossimità delle scuole elementari, che, secondo alcuni studiosi, costituivano la dimora dell’antico popolo dei “Tulli” [1].
Intorno al 1270, il piccolo nucleo abitato, sorto spontaneamente a ridosso della collina, era denominato “Casale Tulli” ed apparteneva ad Almerico di Montedragone, ufficiale dell’esercito di Carlo d’Angiò. Il sovrano lo aveva donato al nobile cavaliere in cambio di alcuni beni posti nel territorio di Sulmona, città natale di Almerico [2].
Nel 1280, il conte di Montedragone dovette accorrere a Taranto per sedare una rivolta popolare. Della sua assenza approfittò Gervaso da Matino che occupò con la forza il casale di Tuglie, ribattezzandolo “Castri Tulli” [3].
Si racconta che Almerico, prima di lasciare il casale, fece edificare una piccola cappella nel posto dove prima c’era una nicchia di pietra con l’immagine delle Anime Sante, proprio dove ora sorge la Chiesa Matricededicata alla Madonna dell’Annunziata [4].
Il 28 luglio 1480, una formidabile flotta di galee turche con 1.600 pezzi di artiglieria e 18.000 soldati, si schierò di fronte al porto di Otranto. Acmet, il capo dei turchi, promise vantaggiose condizioni, in cambio della resa, ma gli otrantini decisero di resistere ad oltranza. Cominciò così un assedio violentissimo, che durò 15 giorni. L’artiglieria ottomana bombardò le mura, l’abitato e la rocca. Poi i turchi, travolta ogni resistenza, dilagarono nella città mettendola a ferro e fuoco. L’assedio si concluse l’11 agosto: moltissimi cittadini morirono nei combattimenti. Tre giorni dopo, Acmet, sul Colle della Minerva, invitò i superstiti a convertirsi all’islamismo, ma gli otrantini rifiutarono, andando incontro al martirio. I corpi degli ottocento martiri non furono sepolti ma abbandonati sul posto, dove rimasero fino alla liberazione della città.
Dopo l’occupazione di Otranto, le orde ottomane compirono terribili scorrerie in tutto il Salento, saccheggiando e distruggendo villaggi, paesi e chiese. Anche il casale di Tuglie venne raso al suolo, nonostante la resistenza organizzata dai Tulli e dagli abitanti di Paravita nella grotta detta di Fra’ Nicola, dal nome del frate che animò la lotta contro i turchi [5].
Per lungo tempo il feudo di Tuglie rimase abbandonato e senza vita tanto che i feudatari, non avendo vassalli alle proprie dipendenze, non potevano esercitare alcun diritto di proprietà.
Poiché nessuno si occupava della coltivazione della terra, fu inevitabile la comparsa di abbondante vegetazione spontanea. In contrada Passaturi, intorno alla masseria dei Tulli, crebbero in gran numero gli alberi di tuie. Secondo un’antica leggenda, proprio per la presenza di queste piante, appartenenti alla famiglia delle conifere, il piccolo centro abitato, risorto intorno al palazzo baronale, venne chiamato Tuglie [6].
[1] Popolazione stanziata sul posto al tempo dei romani, meno importante e famosa dei Messapi. Lo storico Tito Livio considerava i Tulli persone di classe inferiore (minores gentes). Le prime notizie sulla nascita di Tuglie si fanno risalire a Plinio il Vecchio (64 d.C.) perché, parlando in un suo scritto di Aletium, accenna ad un altro centro abitato situato a nord-ovest (probabilmente Tuglie).
[2] Almerico di Montedragone sposò nel 1274 la contessa Riccarda Maramonte, sorella di Ruggero, luogotenente di Goffredo da Buglione, distintosi nelle Crociate e nella conquista di Gerusalemme.
[3] In realtà, fu lo stesso Almerico che, stanco delle continue scorribande prima di Giovanni Autilio, poi del suo successore Giovanni di Tiglio ed infine di Gervaso, preferì andarsene cedendo il casale di Tuglie.
[4] Il culto per la Madonna dell’Annunziata risale ai tempi del Casale di Tuglie (secolo XIII), quando Almerico di Montedragone entrò in possesso del feudo. Il conte Almerico, essendo molto devoto all’Annunziata, patrona di Sulmona, volle diffonderne il culto in altre parti d’Italia. Partito per le Crociate, combatté valorosamente sotto le mura di Gerusalemme. Il re Carlo d’Angiò, per il coraggio dimostrato in battaglia, lo nominò Provveditore agli accampamenti di Puglia (Provisor Castrorum Apuliae) e signore del Casale di Tuglie. Egli si presentò umilmente ai tugliesi e con grande devozione propose, come loro protettrice,la Madonna dell’Annunziata. I tugliesi accettarono la proposta e d’allora onoraronola Vergine Annunziata.
[5] La grotta, detta anche “te lu Nicola fazzu”, è vicina a Tuglie, ma collocata in agro di Parabita. Alcuni speleologi fiorentini hanno trovato graffiti, resti di scheletri, sedimenti umani ed animali, cocci di ciotole e frammenti di utensili. E’ pure indicata come “Grotta delle Veneri” perché sono state trovate due piccole statue in osso denominate “Veneri”, conservate nel Museo di Firenze. Secondo gli studiosi appartengono al periodo paleolitico.
[6] Le opinioni sulle origini del nome Tuglie sono alquanto discordi. Il nome è riportato in Rationes decimarum Italiae, nei sec. XIII e XIV Apulia-Lucania e Calabria a cura di D. Vendola, Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano, 1936, in un antico documento del 1373: “Prothopapa et clero Fortuniani Aradei et Tulle”. Altri documenti (Palazzo Ducale) fanno riferimento alla tuia, pianta del genere delle conifere, che nasceva e vegetava spontaneamente in Contrada Passaturi, intorno alla Masseria dei Tulli. Gerhard Rohlfs (Berlino 1892-1986), filologo e glottologo tedesco, studioso dei dialetti meridionali, lo fa risalire ad un etimo prelatino Tulliae.
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