di Armando Polito
Tra i tanti meriti di questo sito c’è anche quello, certamente non secondario, di tramandare il ricordo di persone “qualsiasi” eppure non comuni, di scrivere, senza velleità manzoniane, e più tardi bretchiane, una storia, non solo locale, parallela a quella ufficiale o, addirittura, alternativa ad essa. Né è da trascurare la conseguente stimolazione di interessi col correlato sorgere di domande che probabilmente mai ci saremmo posto.
È il caso, per esempio, per quanto mi riguarda, di sgherru, soprannome del personaggio magistralmente delineato da Salvatore Chiffi nel suo recente post Grigoriu lu sgherru, un contadino amato da tutti e in modo sublime sintetizzato nella vignetta di Melanton.
La voce nel vocabolario del Rholfs è registrata solo per Nardò e, dopo aver riportato il significato (“guercio, strambo”), lo studioso aggiunge: “[ cfr. il calabrese a sgherra=a modo bizzarro, italiano sgherro=bravaccio armato]; v. sghèu”.
A sghèu (voce registrata per il Brindisino a Mesagne e per il Tarantino a Grottaglie) dopo i significati di “guercio, strambo, storto (di occhio)” leggo: “uècchji sghèi=occhi strambi; sghèu, sgheo=brutto, deforme; fàccia di sghèu (Oria)=fraccia brutta [cfr. l’italiano sghembo=storto]”.
In assenza di qualsiasi indicazione etimologica diretta il rinvio, da una parte, da sghèrru/sgherro a sghèu e dall’altra da sghèu a sghembo autorizzano a supporre che per il Rohlfs i collegamenti tra le voci appena elencate non siano solo di tipo semantico ma probabilmente anche etimologico, tenendo presenti i principi da lui stesso enunciati sull’argomento nell’introduzione della sua opera: “Per comodità del lettore abbiamo pensato di indicare brevemente le etimologie, senza però tenerci a norme rigide.Sono state omesse generalmente le etimologie che non offrono nessun problema. Abbiamo pensato di dare preferibilmente le etimologie quando di tratti di parole piuttosto rare ossia quando credemmo, mediante un accenno, di poter facilitare la soluzione del problema etimologico2. In altri casi, in cui la storia della parola non è ancor ben chiarita, abbiamo preferito non sforzar l’etimologia, lasciando agli studiosi che verranno dopo di noi, il compito di approfondire la questione. Per tutte le parole che i nostri dialetti hanno in comune con la lingua nazionale italiana, il lettore potrà trovar utili schiarimenti nei vocabolari etimologici della lingua italiana”.
La nota 2 presente nella citazione precedente così recita: “Diamo i raffronti etimologici in [] fine di ogni articolo.
Proprio il fatto che l’uno e l’altro lemma recano in chiusura un testo fra parentesi quadre rende legittima l’autorizzazione di cui parlavo prima, facendo rientrare entrambi i nostri casi nel punto due del metodo di indicazione etimologica teorizzato nell’introduzione.
Se però dal punto di vista semantico, non c’è ombra di dubbio, qualche perplessità circa la loro comune origine le nostre voci suscitano sul piano della fonologia.
Vediamo brevemente per sgherro e sghembo l’etimologia ufficialmente accreditata (non significa che è quella vera, ma quella, almeno per il momento, accertata):
SGHERRO: dal longobardo skarrjo=capitano.
SGHEMBO: dal latino medioevale sclimbu(m), a sua volta dal gotico o longobardoslimbs=obliquo, dall’alto tedesco medio slimp.
L’etimologia finora concordemente proposta di questa seconda voce non mi convince per motivi fonetici. La presenza, infatti, di c nella voce latina si spiega perfettamente tenendo conto della voce (addirittura preclassica, altro che Goti!) stlembus presente in un frammento di Lucilio (poeta del II secolo a. C.) tramandatoci da Pompeo Festo (grammatico del II secolo d. C.): “STLEMBUS gravis, tardus, sicut Lucilius pedibus stlembum dixit equum pigrum et tardum”1 (pesante, lento, come Lucilio definì sghembo [?] di piedi un cavallo pigro e lento). Sono un incosciente ad aver tradotto (sia pure dubitativamente) lo stlembum con sghembo? E ad immaginare che un cavallo che appoggi gli zoccoli obliquamente sia meno rapido di uno che procede normalmente (la stessa cosa succede, scambiando gli zoccoli con i piedi o con delle scarpe non adatte, agli umani)? Semanticamente ci sta, ma foneticamente come si fa a passare da stl- a sgh-? La risposta è estremamente facile: come in Persio (I secolo d. C.) accanto a stloppus è attestato scloppus che continua nel latino tardo accanto a stoplus e stolpus; e, come stoplus attraverso *scoplus ha dato vita a scoppio, e scloppus a schioppo, così stlembus attraverso *sclembus potrebbe aver dato vita a schiembo, a sua volta padre di sghembo.
Comunque stiano le cose, allo stato attuale mi sembra quanto meno prudente considerare sgherro e sghembo accomunati solo semanticamente ma non etimologicamente.
Approfitto dell’occasione per chiudere con una nota erotica o, se si preferisce, pornofonica. Negli anni ’60 i più audaci tra noi si esibivano in una nnascàta2, non per quella sorta di simpatico tic di Grigoriu (a parte il canto intonato una volta inforcata la bicicletta dopo il pediluvio e la metafora legata alla foratura) ma per manifestare la loro eccitazione (non a caso imitando il maiale…) al passaggio di qualche avvenente donzella.
I problemi che mi son posto e che sono rimasti sostanzialmente irrisolti costituiscono il mio modo di onorare un campione di un’umanità forse perduta, anche se con esiti infinitamente meno suggestivi di quelli del post di riferimento. E, se anche fossi riuscito a dare un risposta alle domande, mi sarei sentito, comunque, piccolo piccolo di fronte ad un uomo che poteva permettersi il lusso di apparire, tutto sommato, saggio, senza conoscere, probabilmente…, né la grammatica né, tantomeno, l’etimologia.
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1 De verborum significatu, XVII; cito e traduco il testo dell’edizione di M. A. Savagner, Panckoucke, Parigi, 1846, XVII, pag. 561.
2 Da nnascàre, a sua volta da ad+nasca=narice, e questo dal latino Nasìca, soprannome degli Scipioni, che, secondo Arnobio (III-IV secolo), avevano il naso appuntito; comunque sia, è chiaro che nasìca (se è diventato un soprannome vuol dire che all’origine era un nome comune) appare forma aggettivale sostantivata femminile (com’è successo, sottintendendo dies=giorno, per alba che, come aggettivo, significa chiara) dal classico nasus=naso. Mi permetto poi di confermare per” zzappa ti scatèna” la derivazione dal verbo “scatenare”, ma nel senso di “liberare la terra dalle catene”.
Armando, ti risulta che con “sghei” si indichino anche i soldi? Fino a qualche anno fa l’ho sentito diverse volte, con questo senso. Forse un modernismo? perchè i più anziani li indicavano spesso con “cuperchi”, “turnisi” o con il più comune “sordi”: “ci tene sordi batte li carte”
a proposito di sghembo e sgherru, mi viene in mente un altro termine di gran lungo preferito dal nostro popolo per esprimere lo stesso concetto: “ccàmbara”. E il richiamo va al noto proverbio “ti ‘na sciumenta ccàmbara no pigghiare mai la figghia; puru ca no gghe totta ccàmbara alla mamma si ssimegghia” (letteralmente: di una giumenta sbilenca non prendere mai la figlia; anche se non del tutto sbilenca assomiglia sempre alla mamma)
SGHEI è voce di origine veneziana. Ecco come si presenta trattato il lemma nel Dizionario del dialetto veneziano di Giuseppe Boerio, Cecchini, Venezia, 1867, pag. 158: “SCHEO Voce nuova. Chiamasi dal basso volgo il Centesimo della lira austriaca per distinguerlo da quello della lira italiana che aveva qualche piccolo valore di più. Dicesi altrimenti CENTESIMÌN”. Per quanto riguarda la sua etimologia, se essa non ha origine onomatopeica o gergale, credo che bisognerebbe indagare partendo proprio dal concetto di “centesimo” o, comunque, di inferiorità. C’è qualche amico veneziano che ci può aiutare? Ad ogni buon conto, ecco quanto è riportato nella Treccani on line: “prob. tratto dall’espressione ted. Schei(demünze) «moneta divisionale» che si leggeva sulle monete austriache circolanti nel Lombardo-Veneto”. Nessun collegamento con sgherru, neppure di natura semantica.
CCÀMBARA non è presente nel vocabolario del Rohlfs, ma con una certa sicurezza credo di poter affermare che non è altro che deformazione, al femminile, di gambero, dal latino càmmarus, a sua volta dal greco kàmmaros. Il collegamento con sgherru/sghembo è esclusivamente di natura semantica.
e quindi la sciumenta ccàmbara procede maldestramente, ben lontana dalla retta via, anzi addirittura retrocedendo!
Da qui immagino derivi il verbo “ccambarare” (peccare di gola o venir meno all’astinenza delle carni, tradendo gli insegnamenti della Chiesa nei giorni comandati). Ma credo che tu abbia altre giustificazioni, che aspetto di leggere
Ccambaràre mi sta facendo perdere le nottate da almeno una decina d’anni. La tua estensione semantica andrebbe bene, ma il Rohlfs mette in campo un “greco dialettale “gamarìzo” (introvabile!)=mangiare di grasso, che secondo me potrebbe essere connesso con gamos=festa nuziale (con riferimento al banchetto) ma ancor più con kàmara=oggetto a forma di volta (e questa volta il riferimento sarebbe alla pancia piena).
Cortesemente… riconfermate la voce CCAMBARU, femm. CCAMBARA e non CAMBARU/-A ?
Esiste nel dialetto neretino il composto anchicàmbaru ?
Grazie
si, ccàmbara e non càmbara. Il raddoppiamento denota una “c” ben diversa da quella di “càmbira” (camera), camisa (camicia), ecc. Ma ancora un esempio mi viene in mente con “lu cusi” (lo cuci, da cucire), diverso da “lu ‘ccusi” (lo accusi, da accusare, o lo colsi, da cogliere). Ma Armando sarà più preciso di me.
Riguardo a “anchicàmbaru”, che, a tal prosposito renderei con “anchiccàmbaru”, non mi risulta, ma se ci fosse in neritino sarebbe “anche ccàmbare”, come quelle della sciumenta ccàmbara di cui ho scritto nel precedente post
Più preciso? Questa volta mi è proprio impossibile!
Se ho capito, esisterebbe solo la forma femminile: sciumenta ccàmbara; ma ritengo che l’origine sia diversa da ‘gambero’. Se all’ital. càmera corrisponde il neret. càmbira, allora all’ital. gambero corrisponderebbe un *càmbiru e, nella forma femm. con funzione di aggettivo (?) *càmbira. Non si tratta naturalmente di una equazione :-) ma secondo me l’etimologia è da ricercare altrove: sia per quanto riguarda l’origine della doppia CC iniziale, sia per il passaggio semantico da ‘gambero’ a ‘sbilenco’ [la giustificazione che il gambero ha le zampe arcuate e quindi sbilenche, mi sembra riduttivo come soluzione].