Don Pippi Palamà e Sogliano Cavour

IL PARROCO SENZA CELLULARE, UN’ISTITUZIONE PER SOGLIANO CAVOUR

 

di Paolo Vincenti

lo stemma civico di Sogliano Cavour

Non aveva il telefonino, Don Giuseppe Palamà, ad eccezione degli ultimi tempi, quando era stato costretto a portarlo dalle nipoti che glielo avevano regalato. E non sapeva nemmeno usare il computer. Portava la tonaca, Don Giuseppe Palamà, Don Pippi per tutti, parroco di Sogliano Cavour per oltre quarant’anni. La tonaca era per lui una seconda pelle, era il suo segno di riconoscimento nel mondo, e Don Pippi la portava fieramente in tutte le occasioni, pubbliche e private, convinto come era che un prete è un prete sempre; la tonaca non era per lui un abito di lavoro, era una condizione esistenziale.

Il 15 agosto del 2004 si è spento Don Giuseppe Palamà, una vera istituzione per Sogliano Cavour, paesino di 4200 abitanti a pochi kilometri da Galatina e da Maglie. All’indomani dell’Unità d’Italia, un decreto regio attribuì a Sogliano il predicato Cavour, in omaggio allo statista piemontese artefice dell’unità nazionale ed anche per distinguere il paese salentino da un’altra Sogliano, in provincia di Forlì, che divenne Sogliano al Rubicone. Ma a Don Giuseppe Palamà non piaceva il secondo nome del suo paese per quelle imbarazzanti simpatie monarchico-massoniche che questo evocava: “Sogliano non è di Cavour, né di nessun altro”, ripeteva, “Sogliano, semmai, è di Gesù”.

Giuseppe Palamà era nato il 3 dicembre1929 aSogliano, da Lorenzo e Ada, primo di cinque figli. Nel 1957 aveva ricevuto l’Ordine del presbiterato ed era stato vice-parroco a Depressa, frazione di Tricase. Nel 1962 era ritornato a Sogliano Cavour ed era divenuto parroco della Chiesa matrice di San Lorenzo. Molte sono le sue opere per la comunità cattolica soglianese, come la costruzione dell’Oratorio, il restauro dell’organo antico, dell’antico mosaico pavimentale e delle tele della chiesa madre.

Era un uomo schivo, di poche parole, Don Pippi, amante dell’arte, della musica, della cultura in genere e grande amante della sua Sogliano.Una delle prime pubblicazioni alle quali collaborò è proprio un libro sulla storia di Sogliano Cavour, edito da Capone, del 1988, di cui è autore Fernando De Dominicis. Aveva fondato il centro studi “Sant’Agostino” e con questo aveva dato un impulso fondamentale alla cultura soglianese. Aveva promosso numerosi convegni ed incontri culturali, aveva pubblicato le tragedie sui Martiri di Otranto e S.Lorenzo (protettore di Sogliano); aveva pubblicato, nel 2003, “Sogliano Cavour – tra Medioevo ed età moderna” (Crsec Le/42 Galatina editore), insieme con altri studiosi come Luigi Manni, Antonio Costantini, Francesca Natolo, Mario Cazzato, Atonia Romano e Maria Rosaria Stomeo. Inoltre, aveva pubblicato una “Analisi chimica e medico pratica di un’acqua minerale sulfurea in Provincia di Lecce” (Panico editore 2000), di Mario Micheli, il medico dell’Ottocento “scopritore” delle terme di Santa Cesarea.

Una delle ultime opere che aveva patrocinato era stata proprio la pubblicazione della tesi di laurea della nipote Francesca, sul canonico Vincenzo Micheli, figlio del medico scienziato, autore delle tragedie che sopra abbiamo citato, rettore del seminario arcivescovile di Otranto, vicario capitolare e poi vicario generale, e soprattutto grande predicatore.

Don Pippi aveva fondato la banda di Sogliano, anche come sbocco lavorativo per molti giovani soglianesi, ed oggi la banda è molto affermata a livello provinciale e regionale. Ad ulteriore motivo di lode, va ricordato il recupero che egli volle fare della facciata del convento agostiniano.

Don Pippi era un prete “prete”, come lo ha definito Don Gerardo Serra, ricordando l’amico. Quella del prete che tira su le vesti della sua tonaca per giocare a pallone con i suoi ragazzi, nel campetto dell’oratorio, è una immagine  che fa ormai parte del nostro passato, quello di un’ Italia provinciale, l’Italia del dopoguerra, l’Italia dei film di De Sica e del cinema neorealista, l’Italia dei piccoli comuni nei quali i referenti sociali erano il sindaco, il maresciallo dei carabinieri, il medico condotto e appunto il parroco.

Il fatto è che oggi alcuni referenti religiosi dei nostri comuni  non ricordano neanche lontanamente i preti alla Don Camillo. Essi si sono trasformati in imprenditori del culto,managers religiosi, in certi casi abilissimi promotori culturali, sempre impegnati fra business plans, posa della prima pietra di erigendi edifici cultuali o inaugurazione di altri gia eretti, sito internet  della parrocchia ed email , organizzazione di viaggi e vari eventi sacri  ma poco, pochissimo tempo per la cura delle anime. Quando si avvicina un periodo particolarmente importante, come la Pasquao il Natale, in cui si prevede un afflusso più massiccio di fedeli in chiesa, i sacerdoti si organizzano chiamando rinforzi dai comuni viciniori o dalle missioni, per fare fronte alle confessioni, alle officiature e insomma a tutte le incombenze previste dal calendario festivo religioso. Don Giuseppe Palamà era di un’altra fatta.

Don Gerardo Serra, sacerdote di Corigliano, ricorda che Don Giuseppe era sempre vicino alle persone più bisognose ed aveva sempre una parola di conforto per i malati, le persone sole, gli anziani, le casalinghe e per i tanti amici, laici e religiosi, che lo andavano a trovare anche da molto lontano. “Egli aveva un modo tutto suo per affrontare certi problemi di scottante attualità. A Natale volle collocare ai piedi dell’altare, accanto la culla di Gesù Bambino, una culla vuota con dentro la scritta: “Papà, mamma, perché non mi volete? Eppure potrei farvi felici!”.

Usava, per catechizzare, un linguaggio semplice, lineare”, come dice sempre Don Gerardo, “l’approccio con le persone era cordiale ed amabile in ogni circostanza, ma parlava di più con il portamento che con le parole; le usava misurate e preferiva piuttosto ascoltare”. E di questo troviamo anche riscontro nelle  nipoti, Ada, Antonella e Francesca, che erano per lui come figlie e che seguiva amorevolmente e apprensivamente nelle loro scelte di vita. Sono proprio le nipoti che conservano il ricordo più intimo ed affettuoso dell’uomo e dello zio, oltre che del prete.

“La sua eredità” ci dice Ada, la nipote maggiore, “consiste nella sua grande fede e nella sua estrema disponibilità; inoltre nella sua fantasia e creatività. Egli si spendeva totalmente per la sua comunità e per tutti quelli che potevano aver bisogno di lui. Nemmeno noi familiari sapevamo quanto fosse apprezzato anche fuori dal nostro paese fino al momento dei funerali, quando abbiamo ricevuto attestazioni di stima e dimostrazioni di affetto oltre ogni nostra aspettativa. La sua assenza non è facile da colmare; eppure le sue azioni erano sempre improntate alla discrezione  e la sua era una presenza- assenza nella nostra vita;  lo zio ci influenzava in maniera impercettibile eppure pregnante; egli non amava apparire, non amava esibire la vasta cultura che aveva. Preferiva dare spazio ai suoi ospiti e tenersi in disparte. Il suo esempio certo ci guiderà nel nostro cammino e, insieme a noi, penso che tutti i soglianesi non potranno che serbare un dolce e sempre caro ricordo dello zio Don Pippi”.

Oggi, a Sogliano ha preso il suo posto Don Salvatore Gemma, un giovane prete, già allievo di Don Giuseppe. Ciò che è stato seminato, sta dando i suoi frutti.

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