L’eremita della Pastorizza

di Rocco Boccadamo

Sembra accadimento di ieri, eppure ben dodici calendari si sono succeduti dal mio passaggio, diciamo così, a vita privata, dopo circa un quarantennio di attività lavorativa, e dal contestuale ritorno nel minuscolo e defilato mondo dove sono nato. Pastorizza sta per denominazione del fondo su cui insiste la mia casetta con pineta, dimora stabile in primavera e d’estate, approdo del weekend durante le restanti stagioni. E’ Pastorizza per tutti i compaesani, giacché su questo triangolo di terreno, gli antichi proprietari, fino a mezzo secolo fa, solevano mandare a pascolare la loro piccola mandria, in gergo dialettale murra, di ovini. Per la precisione, ve ne erano quattro, di murre, facenti capo ad altrettante famiglie benestanti, materialmente affidate a “pecorari”, i quali ultimi, in contropartita della cura continuativa agli armenti, ricevevano – unico loro salario – una quota (non ricordo se la metà o una misura diversa) del formaggio prodotto dalle mandrie e del ricavato dalla vendita della lana e degli agnellini.

Serbo ancora vivi nella memoria i volti e i nomi dei “pecorari”, Rocco, Saverio, Luigi e compare Tommaso, anche se i medesimi, da un bel po’, si sono insediati su pascoli ben più in alto, ma sempreverdi.

Da quando ho scelto di divenire eremita – tale, almeno per via dell’isolamento e della lontananza dai figli – ho avvertito un nuovo bisogno, ossia a dire disporre della compagnia di un gatto. Così, se ne sono già alternati sei, maschi e femmine, in prevalenza di pelo nero e occhi da favola, e però con due eccezioni, esemplari parimenti fantastici, rappresentate da un persiano e un certosino.

Non impongo un nome ai miei gatti, sono e li chiamo semplicemente micio o micia; do loro, bensì, affetto, attenzione, compagnia, assistenza e, a dir la verità, i cari amici mi contraccambiano oltre misura. Alla loro presenza e vicinanza, ho trascorso momenti lieti e meno, ho visto ovviamente venire alla luce micetti e ho sofferto di qualche misteriosa sparizione e/o epilogo tragico. Mentre, in precedenza, erano i miei figli e i nipotini più grandi – durante le vacanze estive – a partecipare alla coabitazione con i simpatici e giocherelloni felini della Pastorizza, quest’anno, nella casetta al mare, è presente un batuffolo biondo, la nipotina ultima nata, la quale festeggerà la sua candelina numero uno a fine agosto, insieme ai genitori e ai nonni.

E’ immediatamente e con naturalezza spuntata una bella, semplice e simpatica amicizia, intesa e complicità fra E. e l’attuale amico a quattro zampe, dal solito pelo nero e dotato di due azzurre e vispissime pupille da sbirro. Così, gli occhi del ragazzo di ieri che scrive, adusi nel tempo ad allietarsi di fronte a cascate di fusa, salti, scalate agli alberi, rincorse, capriole, goffi e avventurosi agguati alle farfalle, hanno al presente un motivo in più, speciale, per tendere a sorridere ed illuminarsi, ciascun mattino segna una nuova e insolita scoperta di compagnia e giocosità.

E, intanto, va scorrendo anche l’estate 2010, aggiungendo un ulteriore petalo al già consistente bouquet di stagioni calde e piene che si trovano ormai alle mie spalle. Nondimeno, per buona sorte, la vita racchiude ancora un senso e un significato: valori che avverto e percepisco dentro, con eguale intensità e nitidezza, come specchiati sulla trasparente distesa di questo mare che dà la sensazione di volerti parlare e sullo sfondo blu intenso del cielo, particolarmente alle prime luci dell’alba e tra i lumicini scintillanti della sera.

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3 Commenti a L’eremita della Pastorizza

  1. Anche a volersi limitare ad un giudizio soltanto estetico, questo è un esempio concreto, che nella sua esemplare semplicità non necessita peraltro di astruse teorizzazioni, di come non ci sia distinzione alcuna tra prosa e poesia; la prosa, però, dev’essere come quella di Rocco Boccadamo.

  2. Da un “gattaro” come me un sentito ringraziamento a Rocco per averci regalato questo piccolo, delicato, quadro di vita vissuta e di “amicizia felina”. I nostri “amici mici”sanno come ricambiare l’affetto che nutriamo per loro, ma lo fanno con discrezione, quasi con pudore, gelosi custodi della loro (e della nostra) libertà di amare.

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