La pianta che fa tribolare

 

L’AZZAPÈTE

  

di Armando Polito

È, in dialetto neretino1, il nome di una pianta annua, ancora molto diffusa nelle nostre campagne2 che non abbiano subito il passaggio di quel novello Attila costituito dal diserbante. Il nome comune italiano è tribolo o caciarello, il nome scientifico Trìbulus terrèstris L. ed appartiene alla famiglia delle Zigofillacee.

Il primo nome italiano (trìbolo) è dal latino trìbulu(m)=trebbia, trebbiatrice (connesso con tèrere=estenuare), a sua volta dal greco trìbolos che indica genericamente una pianta spinosa e nello specifico proprio la nostra; non a caso trìbolos è costituito da tri-(radice di treis=tre) e bolos=lancio, da ballo=gettare. Trìbolos in greco era pure un ferro con quatttro punte divergenti sparso sul terreno per ostacolare il transito della cavalleria nemica, nonché la punta del morso nei finimenti  e, la voce, usata come aggettivo significa triforcuto. Il secondo (caciarèllo) pone seri problemi etimologici: la voce potrebbe essere collegata col romanesco caciàra=chiasso (forse connesso con gazzàrra, che è dall’arabo gazara=mormorio) o col toscano caciàia3=luogo in cui si fa stagionare o si conserva il cacio; nel primo caso ci sarebbe un riferimento all’effetto della puntura dei suoi frutti spinosi, nel secondo alla diffusione particolare di questa pianta in un territorio ben preciso.

La prima parte del nome latino (Trìbulus) è il padre del primo nome italiano (trìbolo), la seconda (terrèstris) si riferisce al suo portamento prostrato e nello stesso tempo funge da elemento distintivo rispetto al Trìbulus aquàticus Mat. o Trapa natans L. (Trappola che nuota), in italiano castagna di palude; per trapa vedi la nota n. 4.

A parte il toscano caciàia tutte le etimologie  fin qui proposte evocano gli effetti  spiacevoli della puntura dei frutti di questa pianta. Per chi non li avesse provati è sufficiente uno sguardo alla foto che segue, che ne mostra uno in dettaglio.

Anche i nomi stranieri confermano questa deduzione:

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