Il mirto tarantino: dai giardini di Venere alle coste del Salento, viaggio alla scoperta di una tipica pianta della macchia mediterranea

di Francesco Lacarbonara

Non sono pochi in Italia gli orti botanici, le ville, i giardini (pubblici o privati) che possono vantare nelle loro ricche collezioni di piante superbi arbusti di mirto tarantino, a volte alti anche alcuni metri. Si rimane però sorpresi dal constatare come questa pianta, nota già dai tempi più remoti per le sue propietà cosmetiche e curative e considerata sacra da Greci e Romani, sia così poco conosciuta proprio nel suo territorio di provenienza. Iniziamo allora a fare la conoscenza del mirto accennando a quelle che sono le sue caratteristiche botaniche.

Fiori di mirto (Giancarlo Dessì)

Famiglia numerosa quella delle Mirtacee, quasi 4000 specie, alla quale il mirto (Myrtus communis L.) dà il nome, così come all’ordine cui esse appartengono: Myrtales. Si tratta per lo più di alberi e arbusti tropicali o subtropicali, quasi tutti aromatici e ricchi di oli essenziali. Tra di essi ricordiamo il Caryophillus aromaticus L. (sin. Eugenia caryophillata Thumb.) che cresce spontaneamente nelle Molucche, Isole Reunion, Antille, Madagascar e Indonesia: dai suoi boccioli fiorali, raccolti ed essiccati si ricavano i ben noti “chiodi di garofano” e per questo viene coltivato in Zanzibar, Indonesia e Madagascar.

Ma torniamo al nostro mirto: esso si presenta sottoforma di arbusto alto fino a 5 m. dalla chioma emisferica e globosa; mostra un tronco breve, diviso e ramoso, dalla corteccia bruno-rossastra dalla quale facilmente si staccano strisce fibrose. Pianta sempreverde presenta foglie semplici, lucide, ovato-acute, lunghe da 1 a 5 cm, rigide e a margine intero, provviste di ghiandole che se sfregate emanano un caratteristico odore aromatico. I fiori sono bianchi, solitari, provvisti di peduncolo e disposti all’ascella fogliare; la fioritura avviene nel periodo estivo (giugno-agosto). I frutti sono delle bacche ellittiche, lunghe fino a 1 cm, azzurro-nerastre, ricchissime di semi; apprezzate da molte specie di uccelli, spiccano nel fogliame autunnale e invernale per i vivaci riflessi metallici.

Pur essendo una delle piante più caratteristiche della macchia mediterranea il mirto trae le sue origini in Asia: nella Persia ed in Afganistan. Diffusosi nell’Europa meridionale ha areale circummediterraneo, dove è frequente lungo i litorali, nelle siepi e nelle boscaglie, associandosi volentieri con altre specie tipiche della macchia mediterranea, come il leccio, il pino d’Aleppo, il ginepro, il corbezzolo, la fillirea, il lentisco e i cisti. Insieme ad altre essenze forma nel Salento la macchia litoranea a ginepri, la macchia bassa (in particolare nel Salento meridionale) e (scendendo più a sud) la macchia ad euforbia arborescente.

 

Mirto – Tavola botanica (Otto Wilhelm Thomé)

Amante del sole e del caldo, vive su terreni acidi o subacidi, ma è diffuso anche su quelli calcarei; coltivato come ornamentale è però sensibile alle gelate, per cui è meglio porlo in luoghi solitari e riparati. Del mirto si conoscono numerose varietà coltivate, come, ad esempio, la bellica, la minima, l’angustifolia, ecc., e altrettante varietà naturali, come la lusitanica, la microphilla, la baetica. Pur non essendo più rinvenibile allo stato spontaneo, tra le varietà naturali troviamo la nostra tarentina: facilmente riconoscibile dalle foglie piccole (4-6 mm di larghezza), tipica delle regioni più calde d’Italia, essa si presta in particolare alla formazione di fitte siepi e con la sua presenza abbellisce i viali e adorna i giardini di molte località italiane.

Se da quanto abbiamo descritto appare evidente l’importanza del mirto dal punto di vista botanico, non meno affascinanti sono le storie, i miti e le leggende che lo vedono come protagonista e che sono state tramandate a noi fin dall’antichità.

Dalla stessa radice di myron, che significa “essenza profumata”, sembra sia derivato il nome greco del mirto: myrtos, latinizzato poi dai romani in myrtus.
Stando alla mitologia greca Myrsine era una fanciulla che battè un giovane durante i giochi ginnici e che fu da quest’ultimo uccisa per invidia; Pallade Atena si impitosì dalla triste fine della ragazza e decise così di trasformarla in un arbusto odoroso di mirto. Secondo un’ altra leggenda Bacco, dovendosi recare negli Inferi per liberare la madre Selene uccisa dai fulmini di Giove, avrebbe promesso di lasciare in cambio una pianta di mirto. Per questo motivo all’arbusto viene assegnato un significato funereo, piuttosto raro in campo iconografico, mentre è ancora diffuso l’uso di decorare con le sue fronde urne sepolcrali e cimiteri. Forse anche per questo il mirto divenne in seguito simbolo della colonizzazione greca: gli emigranti ellenici portavano infatti con sé rami di mirto segno che così intendevano porre fine a un periodo della loro vita, per iniziarne uno nuovo.

Nascita di Venere (1879, William Adolphe Bouguereau)

Un’altra leggenda narra che la dea Venere, uscita nuda dal mare e inseguita da un gruppo di satiri, trovò rifugio in un boschetto di mirti; per Ovidio, invece, la dea dell’amore, nata dal mare, approdò sulla spiaggia di Citera e con rami di mirto coprì la sua nudità; per questo l’arbusto fu dedicato alla dea e se ne piantarono boschetti sacri. Attraverso la figura di Enea, mitico antenato dei Romani e figlio della stessa Venere, la leggenda passò poi in Italia, tanto che la bellissima dea divenne protettrice di Roma; secondo Tito Livio invece la città nacque nel punto dove era spuntato l’arbusto. Plinio ci racconta come anche nell’Urbe fosse diffusa l’abitudine di piantare alberi sacri di mirto, soprattutto nei luoghi pubblici. Le fronde del mirto divennero simbolo di vittoria: durante l’ovazione o trionfo minore, decretato dal senato per una guerra vinta senza spargimento di sangue, il vincitore, vestito di bianco, saliva al Campidoglio con una corona di mirto per sacrificarvi una pecora (da cui appunto il termine ovazione, da ovis, pecora). Sempre dai Romani venivano offerti a Venere rami di mirto, in occasione dei sacrifici delle calende di aprile, mentre durante i banchetti era uso che i commensali si passasero tra loro un rametto profumato di mirto, come testimone per il brindisi e incitamento al canto.
 

Virgilio, che ben conosceva il nostro territorio, fa riferimento al mirto come elemento caratterizzante della costa ionico-tarantina. Nel famosissimo passo delle Georgiche dedicato alla campagna nei pressi del fiume Galeso (breve corso d’acqua che sfocia nel Mar Piccolo di Taranto) per i mirti usa l’espressione amantis litora myrtos (i mirti innamorati delle spiagge) avendo osservato come essi preferiscano vivere in zone calde e soleggiate. Nella seconda ecloga delle Bucoliche loda l’aroma del mirto: …e coglierò voi, allori e mirti che crescete vicini, perché così disposti mischiate soavi profumi; mentre nella settima ecloga ci ricorda come il mirto tema il gelo: …mentre difendevo dal freddo il tenero mirto, e il suo essere grata a Venere: Il pioppo è gratissimo a Ercole, la vite a Bacco, il mirto a Venere bella, a Febo il suo alloro. Fedro, con quasi identiche parole, così ci parla del mirto in una delle sue bellissime favole: Piacque a Giove la quercia. Poi a Venere il mirto, a Febo il lauro, ed a Cibele il pino, e l’arduo pioppo ad Ercole.

Come si può ben vedere l’immagine del mirto ha da sempre avuto una valenza positiva e come pianta sacra a Venere è divenuta simbolo di fecondità: gli sposi durante il banchetto nuziale erano soliti portare corone di mirto sul capo e lo stesso Plinio definisce questo arbusto myrtus coniugalis. Anche Catone riconosceva tra le varietà di mirto (oltre alla bianca e alla nera) la coniugale; negli ultimi secoli dell’Impero Romano il mirto divenne poi l’albero propiziatorio per la casa dei giovani sposi e con le sue fronde si componevano ghirlande per gli addobbi delle feste nuziali.
La tradizione si è trasmessa nel tempo e ancora oggi in alcune regioni si usano rametti di mirto fiorito al posto dei fiori d’arancio per comporre il bouquet della sposa. Anche durante il Rinascimento il mirto fu associato alla fedeltà e all’amore eterno e come tale raffigurato nelle allegorie matrimoniali. Ricordiamo anche come gli inglesi citino un loro vecchio detto: Myrtle for remembrance (mirto per ricordare) quando preparano mazzi di fiori con dentro rametti di mirto in occassione dei matrimoni.
Concludiamo questo breve excursus nel mondo dei simboli e dei miti legati al mirto ricordando che, data la delicatezza e il candore del suo fiore, ad esso è stata accostata nell’iconografia cristiana l’immagine della Vergine Maria, in omaggio alle sue virtù di purezza e umiltà.

(Fine prima parte)

 

 

Per la citazione delle fonti, la bibliografia e ulteriori approfondimenti sul mirto tarantino cf F. LACARBONARA, Il Mirto tarantino. Storia e mito di una delle piante più tipiche della macchia mediterranea, in “Spicilegia Sallentina”, n.4 – dicembre 2008, 89-96.

 

 

Referenze fotografiche:
Fiori di mirto: Giancarlo Dessì (file licenziato in base ai termini della GNU Free Documentation License, Versione 1.2 o successive pubblicata dalla Free Software Foundation);
Tavola botanica e William Adolphe Bouguereau, Nascita di Venere, 1879: pubblico dominio.

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4 Commenti a Il mirto tarantino: dai giardini di Venere alle coste del Salento, viaggio alla scoperta di una tipica pianta della macchia mediterranea

  1. Francesco ci hai erudito sapientemente su una pianta della nostra macchia mediterranea. Interessante sono le storie, i miti che abbracciano la storia di questo arbusto. Un prezioso contributo che arricchisce la nostra storia.

  2. Grazie Daniela, se non l’hai ancora fatto ti consiglio di leggere anche la seconda parte di questo articolo dedicato al mirto tarantino; la potrai trovare cercando tra gli articoli che ho pubblicato su Spigolature, alla prossima.

  3. attendiamo con ansia la seconda parte.
    grazie caro francesco di questo prezioso contributo… affascinante!

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