L’Islam e la Puglia/ 4. Sino a Lecce

Per i nostri lettori uno studio inedito di Vito Salierno, uno dei massimi esperti di islamistica in Europa. Oggi la quarta ed ultima parte dedicata alla cartografia ottomana della Puglia.

 

Otranto nella mappa di Piri Reis

di Vito Salierno

L’ultimo attacco turco in grande stile fu quello dell’agosto 1620 contro Manfredonia, che fu conquistata e tenuta per alcuni giorni dai soldati della flotta di ‘Ali Pascià. Durante quella razzia i turchi rapirono da un convento una ragazza, Giacometta Beccarino, che dopo varie peripezie diventò la moglie del sultano Ibrahim il Pazzo, al quale diede il primo erede maschio, ‘Osman. Nel settembre 1644,  Zafira, questo il nome turco di Giacometta, e il figlio si recarono alla Mecca per compiere il pellegrinaggio, ma la nave e il convoglio di scorta furono attaccati dai Cavalieri di Malta lungo il viaggio. Zafira e l’erede furono condotti a Malta, dove Zafira morì senza abiurare alla sua nuova fede islamica. L’erede ‘Osman fu allevato dai Cavalieri di Malta nella fede cattolica, prese poi i voti diventando fra’ Domenico Ottomano, incaricato di missioni diplomatiche in Francia dal pontefice Alessandro VII. Nominato Priore e Vicario Generale dei Conventi di Malta, il frate che non fu sultano morì il 25 ottobre 1676, in odore di santità, durante la peste a Malta, curando gli ammalati.

Due carte sono dedicate alla Terra di Bari: Trani (qal’e-i Trani), Bisceglie (qal’e-i Pezaye), Molfetta (qal’e-i Malfatta), Giovinazzo (qal’e-i Giovinaso), Bari (qal’e-i Pari), Monopoli (qal’e-i Monapoli). Le altre quattro relative alla costa della penisola salentina sono le più belle e le più accurate: era il tratto che più interessava la marineria ottomana e di sicuro la mèta di numerosi viaggi di Piri Reis e dello zio Kemal.

Piri Reis

Brindisi, denominata città (shehr-i Brindis), è raffigurata con il porto interno chiuso da catene, con ai lati le torri di guardia, e il castello fortificato (burj-i Brindis) su un isolotto all’imboccatura; lungo la costa le isole Pedagne e la torre del Cavallo: “È bene sapere che, in tutte queste coste di Puglia di cui abbiamo parlato, non c’è porto più famoso di Brindisi (Brindis, Pirendis). Infatti, davanti alla città, c’è un bellissimo e grandissimo porto naturale che può dare asilo a trecento o quattrocento navi. Fra questo porto e Valona (Avlona, in Albania) ci sono cento miglia, e da Valona ad Otranto (Otorante) sessanta miglia. Da Brindisi ad Otranto ci sono quaranta miglia. Alla bocca del porto c’è un’isola rocciosa sulla quale è stato costruito un piccolo castello fortificato da cannoni. Le navi straniere non possono entrarvi; fra l’altro la bocca del porto è chiusa da catene. Ai capi delle catene sorgono due grosse torri con sentinelle e difensori. Non potendo dunque alcuna nave entrare, ci si lega con le cime alla sponda che dà a maestrale e ci si àncora. Dato che le navi straniere non possono penetrare nel porto a causa dell’ottima guardia che fa l’isola col castello dalla parte del mare, le navi che stanno fuori si ancorano senza dover guardarsi dai nemici. Quest’isola fortificata col piccolo castello si chiama Isola di Sant’Andrea (Santa Andriya). Le grandi barça possono passare da questo stretto, essendo esso molto profondo verso la costa di nord-ovest, distante mezzo miglio. Sulla riva dello stretto ci sono tre isolette che chiamano Pedagne (Pedanye)”.

Otranto (qal’e-i Otorante) è inserita nel suo contesto naturale: da nord a sud, Lecce (qal’e-i Leç) con il suo scalo (iskaliya Leç), il borgo di Roca Vecchia (qal’e la Roqa), Otranto, il borgo di Tricase (qal’e-i Triqaze) con l’omonimo scalo (iskaliya Triqaze) e il capo di Santa Maria di Leuca (qavo Santa Marya): “Fra i borghi di Otranto e Brindisi, cioè a venticinque miglia da Brindisi, c’è la torre (pirgos) di San Cataldo (San Qatalde) in un luogo per caricar le navi che sta sotto il borgo di Lecce (Deleç) situato a sette miglia nell’interno. È ragionevole chiamare questi luoghi ancora Puglie. C’è un muro pronto, fatto già in tempi antichi. La parte avanti a questa torre è riempita di sassi a fare da molo. Verso il mare ci sono delle secche che non si vedono e alle quali bisogna prestare attenzione. La zona, che va da queste secche al molo, è rocciosa. A sud-est del molo c’è il borgo di Roca (Roqa) che un tempo era una grande città, e ora c’è solo poca gente”.

“Da questo borgo verso sud-est si trova, a cinque miglia, Otranto, che è un borgo sulla riva del mare situato verso nord-est. Sulla punta che sta dalla parte est del borgo c’è una torre (pirgos) detta “fano” ed è chiamata anche Pian Qolsode [forse la Torre del Serpe]. Di fronte a questa torre c’è un’isoletta, e dalla parte di sud-ovest c’è il porto della detta Otranto, ma in realtà non è un vero porto, ed è adatto solo per piccole navi che legano le gomene al molo e si ancorano nel mare. Da quel porto alla città di Valona, che gli sta di fronte ad est, un quarto a nord-est, ci sono sessanta miglia. Inoltre a trenta miglia a sud-est del detto borgo di Otranto c’è il Qavo Santamaria; fra i due, a due miglia all’interno, c’è un borgo chiamato Tricase (Triqara o Triqaze) che significa tre case”.

“Sulla costa, in corrispondenza di Tricase, c’è un qargador [il porto di Tricase]; lì si caricano le navi. È un molo e, verso sud-est, c’è un alto monte che chiamano Monte Santa Maria. A sud-est di quel monte c’è una punta bassa con bassifondi che chiamano Qavo Santamaria perché sulla parte superiore di quella punta c’è una chiesa denominata di Santa Maria. Poi, a quaranta miglia verso ovest dal Capo Santa Maria, c’è Gallipoli di Puglia (Puliye Kalibusi). Su questa via ci sono molte secche, rocce e sassi che si protendono per tre miglia verso il mare, e bisogna fare molta attenzione; e su queste coste ci sono rocce a forma di porto di fronte alle quali, a tre miglia nell’entroterra, c’è un borgo che chiamano Losenti (Ugento). Da questo borgo a Gallipoli di Puglia ci sono otto miglia verso occidente”.

La città, che Piri Reis chiama sempre Gallipoli di Puglia (nella nostra carta shehr Puliye Kalibusi e altrove Puliye Gelibolusu) per distinguerla dalla Gallipoli (Gelibolu) di Turchia, la sua città natale, è riprodotta e descritta in maniera dettagliata: è collocata al centro di un promontorio proteso nel mare Ionio e di un’isoletta congiunta alla terraferma da un ponte. Durante la guerra d’Otranto subì un assedio dei Turchi, ma non fu conquistata; non poche furono le scorrerie barbaresche – una è citata nel testo di Piri Reis: “Gallipoli di Puglia, verso sud, sta su una punta bassa. Questa punta è in realtà un’isola, ma dalle rive alla detta isola c’è un ponte sul quale si passa, e fra le due c’è il mare e il porto. Ad ovest del ponte le barça possono ancorarsi bene. […] Questo borgo si allunga nel mare per un miglio e intorno è tutto mare. Nella parte nord del borgo ci sono due piccole isole. Alcune imbarcazioni viandanti legano le gomene a quelle isolette e gettano le ancore nel mare; ma, ad un miglio verso sud, quel castello ha un’isoletta bassa e allungata che è un buon ancoraggio. [Le barça] legano le gomene alla detta isoletta e gettano le àncore verso ovest-nord-ovest in venticinque tese d’acqua e si ancorano così verso nord-ovest. È un buon ancoraggio e le barça escono ed entrano da due parti”.

L’itinerario pugliese si conclude a Taranto (qal’e-i Tarente), collegata allora da un solo ponte, con il golfo del Mar Grande delimitato dalle isole Cheradi: al centro, la città con il castello quadrangolare costruito alla fine del Quattrocento; ad est, il Capo San Vito (qavo Santa Vi) con l’omonimo santuario, le due isole di San Paolo e San Pietro, e ad ovest il convento dei Cappuccini: “Il borgo di Taranto (qal’e-i Tarente) circonda da tutte le parti un’isola bassa. Dalle sponde a nord di Taranto alla città ci sono sei miglia; verso est le due parti sono collegate da rocce, ma c’è uno stretto attraverso il quale possono passare le kadïrga [navi a venticinque banchi con quattro uomini ogni remo]. Un altro stretto è ad ovest: su questo, fra il borgo e la costa di Rumelia, c’è un ponte su cui passa la gente. Oltre il ponte, c’è un mare simile ad un lago; le navi non possono passare dietro il castello e si ancorano nel mare di fronte al borgo con àncora doppia, un’àncora di fronte al castello, l’altra verso sud-ovest. A quattro miglia a sud del castello ci sono tre isole, ma fra due di esse le navi non possono passare a causa delle secche. Solo navi corsare vi si ancorano. Presso la punta verso nord-ovest dell’isola più grande che sta ad ovest, si allunga verso ovest una fila di rocce dalle quali bisogna guardarsi. Dal borgo di Taranto a Brindisi, per via di terra, ci sono trentacinque miglia”. (4. fine.

 

mappa di Piri Reis

Per concessione del quotidiano Il Paese Nuovo di Lecce.

 

La tre precedenti parti sono state pubblicate:

http://spigolaturesalentine.wordpress.com/2011/03/31/l%e2%80%99islam-e-la-puglia1/

http://spigolaturesalentine.wordpress.com/2011/07/28/l%e2%80%99islam-e-la-puglia-2-nel-paese-di-puliye/

https://www.fondazioneterradotranto.it/2011/09/04/lislam-e-la-puglia-3-nel-segno-di-piri-reis/

L’Islam e la Puglia/ 3. Nel segno di Piri Reis

 

 sarac

 

 

Per i nostri lettori uno studio inedito di Vito Salierno, uno dei massimi esperti di islamistica in Europa. Oggi la terza parte dedicata alla cartografia ottomana della Puglia

 

di Vito Salierno

 

Tutte le coste, i porti e le isole del Mediterraneo erano note da gran tempo ai navigatori arabi: ma è solo con il sorgere della potenza turca ed il predominio ottomano nel Mediterraneo che la cartografia diventò una scienza pratica basata soprattutto sull’evidenza oltre che sulle conoscenze precedenti dei geografi arabi ed europei. Degli ammiragli (qapudan) della flotta ottomana i più noti furono Kemal Rais e il nipote Piri Reis (1470-1554), che navigarono per tutto il Mediterraneo in un’incessante guerra di corsa in proprio e ufficiale contro Veneziani e Genovesi. Durante quest’attività Piri Reis vide e studiò porti, isole e coste, di cui eseguì schizzi e disegni, annotando quanto gli sembrava degno di interesse.

Nacque così il Kitab-ï Bahriyye (Il libro del mare), composto in due versioni, nel 1521 e nel 1526. Le carte della prima versione, destinate per l’uso della gente di mare, erano sommarie e stilizzate, con una non gran cura nel disegno: il testo, a somiglianza delle antiche guide nautiche, aveva lo scopo di dare

L’Islam e la Puglia/ 2. Nel paese di Puliye

L’urna dei Beati Martiri di Otranto

L’Islam e la Puglia

 

Nel paese di Puliye

di Vito Salierno

 

Per i nostri lettori uno studio di Vito Salierno, uno dei massimi esperti di islamistica in Europa. Oggi la seconda parte

Dopo i fasti e il declino dell’Emirato di Bari, la seconda fase dell’impatto dell’Islam in Puglia si svolse nella prima metà del XIII secolo a nord, a Lucera, dove Federico II trasferì una gran parte dei Musulmani di Sicilia. L’esistenza di questa colonia saracena, registrata anche in numerose cronache arabe, attirò su Federico II le accuse della Chiesa, che nel Concilio di Lione del 1245 stigmatizzò l’operato dell’imperatore che aveva fatto della città un’enclave saracena in territorio cristiano (“civitatem maximam Agarenorum fecit in regno”)…

Gli Angioini

Subentrati gli Angioini, la situazione dei Saraceni di Lucera cominciò a diventare precaria. Dopo un’iniziale resistenza, i coloni di Lucera si sottomisero nell’agosto del 1269. Le condizioni imposte non furono dure anche perché Carlo d’Angiò (1266-1285) pensava di sfruttarne le capacità militari così come avevano fatto gli Svevi: parecchi sono i milites saraceni che combatterono tra le file angioine. La situazione peggiorò sotto il regno di Carlo II (1285-1309) con la persecuzione nei confronti dei notabili saraceni sino ad allora considerati fedeli e utili alla corona. Il motivo fu in apparenza il fervore religioso; in realtà le motivazioni erano politiche. La Chiesa aveva da sempre considerato peccaminosa la tolleranza dei due Angiò, così come aveva tuonato contro Federico II e Manfredi, scomunicandoli entrambi. Più che ad un improvviso mutamento di Carlo II l’impresa di Lucera fu decisa dopo un incontro del re con il papa che gli aveva concesso consistenti aiuti finanziari nella guerra di Sicilia in cambio della dispersione degli infedeli, necessaria dimostrazione della supremazia dell’unica vera fede nel primo anno giubilare della Chiesa, il 1300; inoltre i Saraceni non erano più utili né come mercenari per le defezioni ed il basso numero di coloro che rispondevano alla chiamata alle armi né come coloni per le frequenti conversioni che facevano diminuire le imposte gravanti sui musulmani. Infine c’era un risvolto economico non indifferente per un erario dissestato: la vendita dei Saraceni come schiavi e la

L’Islam e la Puglia/1

L’Islam e la Puglia/ 1.

 

 

Per i nostri lettori uno studio inedito di Vito Salierno, uno dei massimi esperti di islamistica in Europa.

Ad esclusione della Sicilia dove il dominio musulmano durò per due secoli e mezzo, tutta l’Italia, in particolare quella meridionale, era nel IX secolo una terra instabile e insicura, teatro di battaglia per Bizantini, Longobardi, Slavi, Ungheri, Saraceni, intenti solo a predare e ad assalire senza alcuna idea di un governo permanente. Lo sbarco degli Arabo-Berberi in Sicilia pose per la prima volta la Cristianità di fronte all’Islam: fino a quando l’Islam si era fermato alle coste del Mediterraneo e alla penisola iberica l’Italia e il Mediterraneo erano ancora un dominio esclusivo della Cristianità. Giunti i primi conquistatori sull’isola i rapporti tra Cristianità e Islam subirono un mutamento: le due fedi si trovarono a convivere sullo stesso suolo e furono costrette a dialogare per necessità anche se le due comunità specifiche, quella latino-bizantina e quella musulmana, convissero ma separate, ognuna con le proprie leggi e le proprie usanze, pur vivendo la stessa vita, gli stessi problemi quotidiani – e qui pensiamo alla maggior parte della popolazione, cristiana, ebrea, musulmana, che dopo ogni scontro doveva riaffrontare situazioni e modi di vita comuni. La massa popolare si adattò come sempre sfruttando le possibilità del momento e cogliendo le opportunità che si presentavano di volta in volta: i miglioramenti nell’agricoltura e l’aumentato volume di commercio crearono le basi per una convivenza più o mena pacifica e per una collaborazione sul piano sociale e amministrativo. I primi contatti con la cultura araba avvennero in Sicilia nel IX secolo e si mantennero fino al periodo normanno, anche se si trattò del tipico scambio che si verifica nell’entente più o meno cordiale tra due popolazioni e due culture costrette a convivere sullo stesso territorio. Sempre a partire dal IX secolo ebbero inizio gli insediamenti saraceni più o meno stabili nell’Italia meridionale e gli scambi commerciali tra arabi dell’Ifriqiyyah e/o saraceni siciliani e le repubbliche marinare.

Le due civiltà, l’araba e la bizantina, pur conflittuali in tutto anche se unite da un comune monoteismo religioso, dopo un arroventato scontro iniziale,

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