L’antichissimo rito del falò a Novoli, il più alto del Mediterraneo

Il rogo dei tralci di vite (sarmente) per la Fòcara di Novoli del Salento leccese

di Antonio Bruno

da http://www.industriadelturismo.com/falo-novoli-lecce/

 

«La Fòcara di Sant’Antonio», che si svolge ogni anno a Novoli del Salento leccese  dal 16 al 18 gennaio, registra dalle 80 alle 100mila presenze. In particolare nella tre giorni novolese del 2008 il flusso stimato delle presenze è stato di 80mila, nel 2009 di 100mila e nel 2010 di 95mila.  Il Sindaco di Novoli Vetrugno ha dichiarato: «Il gran falò che illumina la notte novolese è il segno d’identità di un popolo e di un territorio. Il percorso religioso da cui siamo partiti si è trasformato in un percorso turistico d’eccellenza particolarmente pregiato perché destagionalizzato e legato alla qualità del territorio e dei suoi prodotti. Il pellegrino, devoto al Santo, diventa il turista dell’enogastronomia e della cultura popolare». Ma è così che stanno davvero le cose?

gli ultimi ritocchi per la focara di Novoli del 2012 (ph Mino Presicce)

 

Le origini della Focara di Novoli

A Novoli nessuno sa quando si sia iniziato a riunirsi intorno al fuoco. In una nota della pro loco di Novoli si legge:
“la prima fonte scritta risale al 1893 in quell’anno “La Gazzetta delle Puglie” ricorda che il falò, a causa della pioggia non si accese. Secondo alcune fonti, nel 1905 una nevicata abbondante imbiancò il falò alla vigilia della festa.

Lo studioso di tradizioni popolari F.D’Elia, in un saggio del 1912, parla della sua costruzione come “di un rito antichissimo”. Comunque lo stesso D’Elia non scrive quanto sia antico e neppure a quanto tempo indietro c’è necessità di spingersi.

la focara di Novoli del 2012 (ph Mino Presicce)

 

La focara del Sud Est istituita da un Veneziano?

Sempre la Pro Loco di Novoli in una nota scrive: “L’origine della fòcara è materia controversa tra gli studiosi. Pare si faccia risalire intorno al secolo XV, quando ci fu una presenza veneziana a Novoli che esercitava il commercio sulla produzione locale di vino, olio e bambagia, e gestiva di un centro di allevamento di cavalli (La Cavallerizza).”
La presenza di commercianti veneziani a Lecce è ancora verificabile poichè costruirono nel Salento leccese anche i loro palazzi signorili; tra tutti, ricordo Il Sedile realizzato a Lecce in Piazza Sant’Oronzo nel 1592.
Di certo sappiamo che dal 1546 il feudo di Novoli conobbe un periodo di splendore sotto la casata dei Mattei, i quali fecero edificare il palazzo baronale e numerose chiese, fra le quali la chiesa di Sant’Antonio abate.

la focara di Novoli del 2012, La “catena umana” per passarsi le fascine e collocarle nella parte più in alto (ph Mino Presicce)

 

La foghera del Nord Est di Fulco Pratesi

Con grande interesse e meraviglia ho poi letto queste parole di Fulco Pratesi che ricordo a me stesso è il giornalista, ambientalista, illustratore  e politico italiano, fondatore del WWF Italia, di cui è ora presidente onorario:
“Di certo sappiamo che  nel Meridione i falò si incendiano sulle spiagge nella notte che precede il Ferragosto (15 agosto) e sono occasione per danze, cene all’aperto, tuffi collettivi notturni.
Nell’ Italia del Nord Est, soprattutto nel Veneto e nel Friuli Venezia Giulia, i falò si accendono invece nella notte dell’Epifania, tra il 5 e il 6 gennaio. Si tratta di una tradizione molto antica: prima ancora dei Romani, i popoli pagani festeggiavano in questo modo, dopo il solstizio d’inverno (21 dicembre) quando le giornate riprendono ad allungarsi, per invocare la benevolenza di Belenos (dio celtico del fuoco e del sole) e per allontanare gli influssi malefici. La tradizione di questi grandi falò non fu abolita dal Cristianesimo ed è giunta fino ai giorni nostri……
In tutti i casi i falò (in dialetto «foghera», «pignarul», «fugarisse», «focaraccio») servono soprattutto per far festa, per cercare di indovinare,  dall’andamento del fumo e delle faville,  come sarà l’anno da poco iniziato e banchettare con vin brulé (vino caldo aromatizzato con cannella e chiodi di garofano) e la tipica «pinza» (focaccia di farina di granoturco, pinoli, fichi secchi e uvetta).”
L’articolo di Fulvio Pratesi avvalora l’ipotesi che la focara di Novoli arrivi da Venezia! Non vi sembra?

tanti volontari per la focara di Novoli del 2012 (ph Mino Presicce)

 

La focara che facevo io alle case popolari di San Cesario di Lecce

“Signora nni tai ddo asche pe lla Fòcara??” (traduzione Signora ci regali un po’ di legna per fare un bel Falò?). Ero un ragazzino con i calzoni corti e con i miei compagni di giochi, tutti regolarmente “di strada”, bussavamo alle porte delle case. Altro che “scherzetto o dolcetto” di memoria anglosassone con al loro Halloween, noi lo scherzetto lo facevamo al freddo organizzando la sua fine attraverso una bella Fòcara (Falò).
Tutti quanti impegnati con le gambe livide di freddo a “carisciare asche” (traduzione: trasportare la legna) che accumulavamo nel campo non coltivato che era di fronte al rione delle “Case Ina” (oggi la chiamano 167 come fosse una macchina dell’Alfa Romeo). A seconda della generosità delle signore “la fòcara” diveniva più o meno alta. L’opera di noi bambini era allietata da teorie costruttive per rendere più alta e stabile la Pira e dall’ ansia per l’attesa dell’accensione.
Tutte le persone delle “CASE INA”, che avevano contribuito con la loro legna a quella splendida manifestazione di energia e luce, si avvicinavano al fuoco, si scaldavano e si raccontano cose che non avevano avuto modo di raccontarsi sino ad allora.
Persone che non si frequentavano abitualmente, avevano l’opportunità di parlarsi, di scambiarsi carezze che comunicavano, che provocavano meraviglia e curiosità.
Uno scialle sulle spalle delle donne e il braciere in mano,…quello di rame dura poco, quello di bronzo dura di più… La paletta e…”attento a non scottarti” che la brace brucia, per metterne dentro al braciere e aggiungere in un secondo tempo la “carbonella” ricavata dal guscio delle mandorle, o il carbone fossile.
Tutte le “CASE INA” intorno al fuoco, senza distinzione di età, sesso, ceto sociale e religione. Tutti sono ammessi vicino al fuoco, tutti sono attratti da quel rimbalzante falò che accende l’emozione e scalda i cuori.

la focara di Novoli del 2011 (ph Mino Presicce)

 

Una fòcara per avvicinarsi a casa

E se oggi fossi da qualche parte del mondo e volessi assaporare un po’ di odore di Salento leccese? Magari in preda alla nostalgia, sarei tentato di convincere gli indigeni a costruire un grande falò, per sentire il calore di casa mia, lontano come sono, da qualche parte del globo.
Quel veneziano che commercia i vini di Novoli, io me lo immagino così. Fa buoni affari, acquista il vino del Salento leccese e lo imbarca a Brindisi o a San Cataldo, e lui 500 anni fa è sempre li, per non perdere gli affari, mentre Venezia e la sua umida laguna sono terribilmente lontane.
Il ricco nord est di 500 anni fa che, per fare affari, staziona nel Salento leccese e i veneziani ci costruiscono i loro “Sedile” e le loro residenze e lo fanno rispettando lo stile che hanno a casa loro, lo stesso identico stile della Repubblica di Venezia!

la focara di Novoli del 2011 (ph Mino Presicce)

 

Una proposta al Sindaco di Novoli

Peccato che nessuno sappia come si chiami questo commerciante di Venezia, peccato che nessuno abbia raccolto le sue confidenze e ce le abbia tramandate, per sapere se era innamorato di una bella donna di  Venezia e soffriva per la sua lontananza, oppure se si era dato al commercio lontano da casa per dimenticare un amore che l’aveva fatto soffrire.
I cittadini di Novoli del Salento leccese non ricordano più il nome del commerciate veneziano che amava il fuoco e i cavalli. Dimenticato per sempre.
Strano destino per quelli che scoprono il fuoco o che ne propagandano l’uso. Nessuno ricorda chi è riuscito ad accendere il primo fuoco e nessuno ricorda chi sia l’uomo di Venezia che ha propagandato il fuoco “la focara” di Novoli che porta tanta ricchezza a questa cittadina.
Caro Sindaco Vetrugno visto quello che la città ricava dalla Fòcara,  perché non finanzia una ricerca finalizzata a fare chiarezza e, se emergessero delle novità che comportino la scoperta del nome del misterioso commerciante veneziano, magari proporre alla cittadinanza, visti i grossi affari per tutti,  di fargli un bel monumento? Non le sembra sia il caso?

ph Mino Presicce

 

Bibliografia
La focara di Novoli http://www.cisonostato.it/italia/puglia/3,26,13/viaggi/la-focara-di-novoli/2369/1.html
Fulco Pratesi, Il falò dell’Epifania: lo sapete perché si brucia la Befana?
Antonio Bruno, Un fuoco per illuminare la curiosità accendere le emozioni e scaldare i cuori. http://www.freeonline.org/articoli/com/cs-48645/Un_fuoco_per_illuminare_la_curiosit_accendere_le_emozioni_e_scaldare_i_cuori
http://www.iltaccoditalia.info/public/files/focara2011_scheda%20artisti_16%20gennaio.doc

FILOLOGI (?) vs1 BRAVO CONTADINO 0-1

ph Riccardo Schirosi

 

di Marcello Gaballo e Armando Polito

In questo periodo la vigna viene sottoposta ad operazione colturali molto importanti per garantire (condizioni climatiche ed altri inconvenienti permettendolo…) una buona vendemmia. Chiediamo scusa ai fitotecnici se molto probabilmente incorreremo in qualche inesattezza, nonostante il nostro intento sia solo quello di soffermarci sulle parole che designano tali operazioni.

Al risveglio dal letargo invernale sulla parte inferiore della pianta, lu cippòne2, cominciano a spuntare dei polloni, li pitalòre3, che vanno eliminati al pari, poco dopo, di quelli spuntati sulle branche, li purìsi.

Quest’ultima voce verrà ora trattata direttamente e non in nota come le precedenti, e non solo perché non compare nel dizionario del Rohlfs…

Secondo noi potrebbe essere derivata dal greco porìasis=callo sulla palpebra, da poros= concrezione pietrosa (con riferimento anche alla stalagmite).

Come se non bastasse, però, ulteriori problemi etimologici pone il fatto che la stessa formazione parassita, o succhione, negli alberi prende il nome di sobbracàddhu. A prima vista si direbbe che sia una parola composta da sobbra=sopra+caddhu=callo [dal latino callu(m)] e che, dunque, sia semanticamente connessa con purìsi.

Il problema è che caddhu ha un omofono che significa cavallo [in questo caso, però, è dal latino cabàllu(m)=cavallo da lavoro, cavallo castrato: cabàllu(m)>(sincope di –ba)>callu(m)>caddhu].

E allora, per sobbracàddhu vale il caddhu callo o il caddhu cavallo?

Per fortuna, ancora una volta, l’esame delle varianti è decisivo perché le forme sobbracavàddu (Mesagne, Oria, San Giorgio sotto Taranto), subbracavàddhu (San Pietro Vernotico), sobbacavàdde (Ceglie Messapico) ci autorizzano a salvare il cavallo e a sopprimere il callo, perché quest’ultimo non ha niente a che fare con il nostro sobbracàddhu e forme affini (sobbracàddu a Sava, subbracàddhu a San Cesario di Lecce); infatti filologicamente è plausibile la sincope [caballu(m)>caddhu] ma non l’epentesi [callu(m)>cavàddhu4].

Già, ma, escluso il callo, che ci azzecca, direbbe Antonio Di Pietro, il cavallo? Ci azzecca, ci azzecca, perché il sobbracàddhu sta a cavallo del ramo principale; e così addio per sempre alla stalagmite, che, a pensarci bene, era ancora più suggestiva del callo della palpebra, anche se essa rimane in piedi (se la nostra proposta etimologica è esatta…) per purìsi!

Eliminate le pitalòre, bisogna ntestàre. Quest’ultima voce in generale indica l’operazione di potatura con cui viene impostata la forma che l’albero deve assumere. È chiaramente connessa con l’italiano intestàre, ma nel senso particolare di scelta delle parti destinate a dare alla pianta una certa conformazione nel suo sviluppo vegetativo, determinazione delle teste.

Nel caso della vigna assume il significato particolare di potatura con cui si lasciano solo due punte per tralcio (sarmènta5). Dopo tale operazione si ‘nzurfa  (inzolfa) e poi si pompa (utilizzando sempre lo zolfo non più in polvere ma in soluzione). A distanza di una ventina di giorni vengono eliminati i purìsi.

Basta! Tra latino e greco ci è venuto un dolore di testa peggiore di quello che si scatena quando, pur non eccedendo, il povero vino ha subito l’attacco violento di una percentuale eccessiva di metabisolfito di potassio ad opera di un enologo incompetente o troppo preoccupato di perdere il posto…

E la partita si chiude con la vittoria (fuori casa!) del bravo contadino che magistralmente ha già eliminato pitalòre, purìsi e altrettanto meticolosamente ha ‘nzurfàtu e pumpàtu.  Lo attende ulteriore lavoro e gli auguriamo un felicissimo raccolto; il nostro, quello appena fatto, comunque andranno le condizioni climatiche, resterà, comunque, modesto e non basterà certo la vignetta a smentire il detto scarpe grosse e cervello fino

* Tu riesci a capire che è successo a questa bottiglia?

** Te l’avevo detto che bisognava eliminare le pitalore e i purisi…

*** Quasi quasi questi due fessacchiotti mi hanno dato un’idea…

_______

1 È l’abbreviazione del latino versus=contro; non è per esibizione di cultura (?) che lo usiamo ma solo perché è troppa la rabbia che ci prende quando lo vediamo stampato su una locandina, in italiano, che annuncia, per esempio, un incontro di calcio o di pugilato; quel vs è, paradossalmente, l’unico segno di cui capiamo il significato intuitivamente. In realtà si tratta, come abbiamo detto, di una voce latina usata internazionalmente (sull’esempio inglese!) per indicare opposizione. Usarlo, purtroppo, era l’unico modo per ricordarlo.

2 Accrescitivo di cippo, corrispondente all’italiano ceppo, dal latino cippu(m)=colonnetta.

3 Forma aggettivale da pedale (nel significato di parte basale di una pianta), a sua volta da piede, dal latino pede(m) connesso col greco pus/podòs.

4 È vero che il probabile incrocio è sempre in agguato e che spesso scherzosamente si sentono espressioni del tipo tegnu nnu cavàllu allu pete! (ho un callo al piede!); ma cavàllu è forma italianizzata (dunque più recente) di caddhu, frutto dell’equivoco omofonico, per cui il fenomeno appena ricordato non può qui essere tenuto in conto.

5 L’italiano sarmento è dal latino sarmèntu(m); la voce neretina ne è tal quale il plurale (sarmènta) con valore collettivo e successiva acquisizione del genere femminile e del numero singolare.

La Fondazione Terra d'Otranto, senza fini di lucro, si è costituita il 4 aprile 2011, ottenendo il riconoscimento ufficiale da parte della Regione Puglia - con relativa iscrizione al Registro delle Persone Giuridiche, al n° 330 - in data 15 marzo 2012 ai sensi dell'art. 4 del DPR 10 febbraio 2000, n° 361.

C.F. 91024610759
Conto corrente postale 1003008339
IBAN: IT30G0760116000001003008339

Webdesigner: Andrea Greco

www.fondazioneterradotranto.it è un sito web con aggiornamenti periodici, non a scopo di lucro, non rientrante nella categoria di Prodotto Editoriale secondo la Legge n.62 del 7 marzo 2001. Tutti i contenuti appartengono ai relativi proprietari. Qualora voleste richiedere la rimozione di un contenuto a voi appartenente siete pregati di contattarci: fondazionetdo@gmail.com.

Dati personali raccolti per le seguenti finalità ed utilizzando i seguenti servizi:
Gestione contatti e invio di messaggi
MailChimp
Dati Personali: cognome, email e nome
Interazione con social network e piattaforme esterne
Pulsante Mi Piace e widget sociali di Facebook
Dati Personali: Cookie e Dati di utilizzo
Servizi di piattaforma e hosting
WordPress.com
Dati Personali: varie tipologie di Dati secondo quanto specificato dalla privacy policy del servizio
Statistica
Wordpress Stat
Dati Personali: Cookie e Dati di utilizzo
Informazioni di contatto
Titolare del Trattamento dei Dati
Marcello Gaballo
Indirizzo email del Titolare: marcellogaballo@gmail.com

error: Contenuto protetto!