TONNI, TUNNIDI E TONNARE
di Massimo Vaglio
Sui tunnidi, o più specificatamente su tombarelli, alalunghe, palamite, tonni rossi, ecc… la gastronomia pugliese poggia su una tradizione peschereccia che risale sin ai tempi della Magna Grecia e che perpetuatasi nei secoli costituiva, in periodo bizantino, come si legge in un antico documento, il ramo più lucroso dell’industria peschereccia e l’oggetto più interessante dell’economia pubblica pugliese. In seguito ebbe grande sviluppo, grazie alle numerose tonnare introdotte durante la dominazione spagnola.
La città di Gallipoli, ebbe secoli di controversie con la limitrofa Nardò proprio per le tonnare e nonostante che la prima esibisse un privilegio attestato in un regio decreto del 1327 a firma del re di Napoli Roberto d’Angiò, la cosa non impensierì mai troppo i rivali, che continuarono imperterriti ad intercettare per primi i tonni che discendevano dal Golfo di Taranto con ben due tonnare, una sita nelle acque di santa Caterina e una nelle acque di Sant’Isidoro.
In seguito al duello si aggiunsero le tonnare di Porto Cesareo, sempre in territorio di Nardò, e quella di Torre Pizzo in territorio di Taviano. Un’altra tonnara fu per un certo periodo in attività anche a Torre Ovo nei pressi di Campo Marino.
Situate lungo le rotte seguite dai branchi dei tonni e degli altri pesci pelagici, durante le loro migrazioni primaverili e autunnali, queste tonnare erano costituite da una serie di reti disposte nei punti della costa che l’esperienza suggeriva come più adatti. Lo sbarramento principale, detto pedale, era ormeggiato a terra e proseguiva verso il largo per circa due, tre miglia: le reti alte dai venti ai settanta metri, costituite da robuste corde di canapa, erano mantenute a galla da sugheri e fissate sul fondo mediante ancore e grosse