La storia infinita. Vicende antiche e recenti del quadro di San Pietro in Bevagna

pietro

di Nicola Morrone

 

Il 14 Marzo u.s. è stato portato solennemente in processione  a Manduria  il quadro di San Pietro Apostolo, collocato tutto l’anno nell’omonimo  Santuario di Bevagna. Esso rimarrà nella chiesa Matrice per otto giorni, insieme ai simulacri dell’Immacolata e di San Gregorio, e al termine dell’ottavario sara’ processionalmente riportato nella sua dimora. Il quadro ha una storia del tutto particolare, che in questa sede ripercorreremo brevemente, sulla base delle testimonianze a nostra disposizione. Come è noto, quello che si puo’ ammirare in questi giorni in Chiesa Madre non è il primitivo dipinto del santo , ma un’ennesima, recente copia.

In relazione alle vicende, antiche e recenti, riguardanti la venerata e taumaturgica immagine, proponiamo la seguente cronologia. In epoca altomedievale (secc.V-X), nel primitivo sacello di Bevagna, officiato dai monaci italo-greci (i cosiddetti  “basiliani”) era certamente presente un’icona su tavola, in stile bizantino, definitivamente perduta. Di essa non è in alcun modo possibile ricostruire l’aspetto originario: si può solo ipotizzare, per analogia con i tanti manufatti coevi presenti in chiese dell’ecumene cristiano sia occidentale che orientale, che presentasse San Pietro in posizione frontale, con atteggiamento ieratico, alla maniera di tante altre icone.

Nel Bassomedioevo, dopo l’affidamento del  santuario al clero benedettino ad opera dell’autorità politica normanna, in un periodo  imprecisato (ma verosimilmente nel sec. XVI) l’originaria “tavola picta” bizantina venne sostituita con un’altra tavola, di stile e iconografia completamente differenti. L’immagine rappresentata nel dipinto, come direbbe Cennini, muto’ di greco in latino”, assumendo un impianto stilistico e compositivo moderni, che l’avrebbero contrassegnata fino ai giorni nostri.

Su questi aspetti si è soffermata la studiosa B.Tragni [Cfr.G.Lunardi-B.Tragni, San Pietro in Bevagna nella storia e nella tradizione (Manduria 1993), pp.74-75]. Il nuovo schema figurativo, fissato non anteriormente al sec. XVI (nelle province meridionali, infatti, gli schemi bizantini prevalsero in pittura fino al sec.XV) propone un’immagine del Santo piuttosto insolita, molto lontana dalla nota  tipologia. San Pietro, qui rappresentato  a mezzo busto e con gli attributi iconografici specifici, non porta il consueto abbigliamento (tunica azzurra e mantello giallo), ma indossa vesti dalle tonalita’ più scure. Nella sua Manduria Sacra il Tarentini riporta che nel 1854 fu effettuato una sorta di “restauro al dipinto petrino, ad opera delpittore Semerano, al quale fu dato agio di richiamare alcune linee già sbiadite [Cfr.L.Tarentini, Manduria Sacra (Manduria 1899), p.42].

Chi era questo pittore? Si trattava con ogni probabilità di Antonio Vito Semeraro, pittore di Locorotondo, che in quello stesso anno 1854 firmava la tela con San Rocco e gli appestati, tuttora collocata nella chiesa di San Rocco a Locorotondo. Gli abitanti di Locorotondo avevano infatti uno storico legame con il Santuario di Bevagna: vi si recavano in pellegrinaggio, insieme ad altri cittadini del barese, il giorno della festa del Santo (29 Giugno) e per le “Perdonanze” (1, 2 e 3 Aprile), come testimoniato ampiamente da ex voto, documenti e ricordi personali.

Non è da escludere che il “restauro” del quadro di San Pietro, che segui’ di due anni il ritocco della tempera con i SS.Pietro, Andrea e Marco ad opera del pittore calabrese F.A.Lupi, sia stato finanziato proprio da uno dei tanti pellegrini di Locorotondo, che probabilmente contattò personalmente il pittore suo compaesano. Ieri come oggi, infatti, tutto ciò che è legato al Santuario, oltre che il clero, vede sempre in primo piano i devoti.

Come è noto, il quadro del sec.XVI fu rubato nella notte tra il 13 e il 14 Settembre del 1914, ma fu ridipinto “ a memoria” dalla pittrice manduriana Olimpia Camerario, e reso disponibile gia’ dal 24 Dicembre dello stesso anno.

Il quadro della Camerario fu sostituito con in altro dipinto, realizzato nel 1972 dal pittore maltese Oscar Testa su commissione dell’allora vescovo di Oria Mons. Semeraro, mentre quello attuale, se non andiamo errati, dovrebbe essere opera del pittore ungherese F. Miklos, che vi ha apposto la sua firma in basso a destra, appena leggibile poichè coperta dalla cornice lignea. Insieme alla firma, si indica anche che il quadro è copia da Olimpia Camerario.

Il dipinto attuale è dunque totalmente moderno, anche come valori luministici: il soggetto, chiaroscurato, è infatti colpito da una lucemistica che ne illumina il volto. L’immagine è inserita in una ricca cornice che rappresenta anch’essa un piccolo capolavoro di artigianato, corredato, in alto, dai segni della potestà pontificale di Pietro e, in basso, da tre ex voto argentei, che testimoniano l’attaccamento al Santo da parte della comunità.

 

Cronaca relativa al quadro di San Pietro in Bevagna

(Archivio Vescovile Oritano, Fondo San Pietro in Bevagna,“Libro de’ conti” del Santuario di San Pietro in Bevagna, compilato dal rettore Venusto Pezzarossa)

 

Anno 1914

“Il 26 Giugno si ebbe la nuova cornice per il quadro di San Pietro, fatta per desiderio espresso dal popolo, il quale si era dispiaciuto della cornice che c’era anche nuova, fatta a spese del divoto Cosimo Tatullo.Questa cornice non fu eseguita secondo il sistema della prima ed  e’ percio’ che il popolo non vedeva bene cio’ che si allontanava dal tipo antico. Il cappellano, incoraggiato da alcuni divoti, cercò di appagare il desiderio popolare, dandone l’incarico a Vincenzo Digiacomo di Michele da Manduria, e dimorante in Napoli. Questo esegui’ il lavoro d’intaglio per la somma di lire 300,00; lire 150,00 furono spese per la doratura, e lire 35,75 per imballaggio, cassa, viaggio, ecc, ecc.Per questa cornice quattro divoti hanno dato la somma di lire 330,00…” [e segue con i nomi dei devoti che hanno finanziato la realizzazione dell’opera]

[………..]

“La sera del 13 Settembre, data memoranda, fu rubato dal Santuario il quadro di San Pietro; i ladri, compiendo un atto di vero vandalismo, bruciarono la parte inferiore della porta secondaria e riuscirono cosi’ a poter entrare per compiere l’orrendo sacrilegio. Il popolo rimase addoloratissimo; l’arma dei reali carabinieri fece delle indagini, se ne interesso’ molto lo stesso Ministero, trattandosi di un quadro pregevole per antichita’ del 1500 e per il suo valore di lire 2000,00. Fatto sta che, per quante ricerche si potettero fare, non si venne a capo di nulla.”

[……….]

“Il 24 Dicembre si acquisto’ il nuovo quadro di San Pietro per la somma di Lire 500,00, quadro dipinto dalla concittadina Olimpia Camerario fu Giovanni.La pittrice seppe molto bene imitare il quadro rubato e il popolo ne rimase oltremodo contento.Il 29 dello stesso mese monsignore D.Antonio di Tommaso venne per benedire il detto quadro, e la sera del 30 se ne fece l’inaugurazione nella Chiesa Collegiata.Il denaro per l’acquisto del quadro fu versato dal vescovo e preso dalla somma che lo stesso vescovo si ebbe dal dottor Tommaso Massari e che gia’ aveva impiegato per culto del Santuario.”

Il quadro, il fonte, la pietra. Nuovo contributo sul santuario di San Pietro in Bevagna

Quantcast

di Nicola Morrone

 

E’ nota l’importanza che per la comunità manduriana riveste il santuario di San Pietro in Bevagna, collocato in riva al mare, a 10 km. dalla città, e fulcro della vita religiosa della omonima frazione balneare, popolata soprattutto d’estate. In questa chiesa, non diversamente da quelle che possono vantare un’antichità così alta, ogni oggetto si riveste di un significato particolare, storico, artistico, o devozionale. E ogni opera, anche la piu’ umile, è testimonianza di un passato, spesso remotissimo, e al tempo stesso nostra  contemporanea, per il fatto di essere ancora presente in questo luogo carico di un indiscutibile fascino, e  pronta a suscitare  piu’ di un interrogativo.  sono tanti, nel santuario, gli oggetti che hanno un particolare significato per i fedeli  o i  visitatori, che vi si accostano con  devozione o semplice  curiosità.

Vi sono oggetti che possono vantare una secolare presenza  nel santuario di San Pietro in Bevagna, ed altri che invece vi  sono presenti solo da qualche decennio, o addirittura da pochi anni.

In questo luogo di culto così significativo per il popolo  manduriano, in cui tra l’altro sono rappresentati  i tre principali riferimenti religiosi della nostra comunità (San Pietro, San Gregorio , l’Immacolata) vi sono chiaramente anche i segni di devozioni più recenti, come quella per San Pio da  Pietrelcina (testimoniata da un quadro gia’ collocato nella cappella) e quella tutta particolare per l’Assunta, cui l’ ex parroco Don Enzo di Lauro consacrò in modo particolare il santuario. Solo per citare un altro esempio, nel santuario fecero la loro temporanea comparsa  anni orsono  anche le reliquie di Santa Faustina Kowalska, anch’ella già  rappresentata nella chiesa con la sua effigie.

Vi sono però tre oggetti cui la devozione popolare , da sempre, annette un’importanza maggiore rispetto a tutti gli altri. Essi sono, come è noto, il quadro raffigurante San Pietro, il fonte battesimale, la pietra d’altare, collocati tutti nel cuore del complesso luogo di culto, cioè il cosiddetto “sacello”, ovvero la piccola cripta alle spalle dell’altare maggiore.

Il primo degli oggetti “mitici” , probabilmente il più significativo per la devozione popolare, è il quadro di San Pietro Apostolo, racchiuso in una bella cornice lignea che possiede tra l’altro una complessa decorazione nella parte posteriore, visibile ai fedeli solo durante la processione per la festa del santo, che si svolge il 29 Giugno di ogni anno nella frazione balneare. A questo quadro, cui in passato erano stati applicati tre bellissimi ex voto in argento risalenti alla fine dell’800 ( poi opportunamente ricollocati nel sacello in una vetrina  perchè possano essere ammirati dai visitatori e dai devoti) sono legate come è noto numerose leggende, fedelmente riportate dagli storici locali nelle loro narrazioni e su cui , in questa sede, non vogliamo soffermarci.

Ci limitiamo a riportare quella (del tutto fantasiosa)che vuole che il quadro di San Pietro, nella sua versione originale, sia stato dipinto addirittura da San Luca Evangelista. Nella realtà, una rassegna delle vicende che hanno riguardato il quadro del santo, custodito a Bevagna, è possibile solo per le epoche recenti, visto che per i periodi più antichi  mancano del tutto i documenti. Sappiamo pero’ con  certezza che la storia di questo oggetto e’ stata segnata da continui trafugamenti e relative sostituzioni.

A partire dalla primitiva icona bizantina di San Pietro, non più ricostruibile , l’immagine ha attraversato i secoli, fino ad arrivare al 1914, quando è documentato il suo trafugamento ad opera di ignoti. Il rettore del santuario, allora, commissionò una nuova immagine del santo, che fosse  il più possibile simile a quella trafugata. Fu sollecitata allo scopo  la pittrice manduriana Olimpia Camerario, che realizzò nel corso dello stesso anno il nuovo quadro del santo. Anche questo, però, fu rubato, e sostituito per l’ennesima volta con un altro simulacro.

Nel 1972, su richiesta della Diocesi, dipinse il nuovo quadro il pittore Oscar Testa di Malta, mentre la versione attuale del quadro è una riproduzione fedele dell’immagine realizzata a suo tempo dalla Camerario.

Il secondo degli oggetti “mitici” che la tradizione popolare riconduce al passaggio di San Pietro Apostolo sul lido di Bevagna è la “vasca”, cioè il  fonte battesimale. Davvero un oggetto misterioso, questo  fonte battesimale! E’ ricavato da un blocco di basalto, è alto cm. 55, ha il diametro superiore di cm. 71 e quello inferiore di cm.31.

Da sempre collocato nel sacello “petrino” è, allo stato attuale, l’unica reliquia plastica di una chiesetta rurale di origine altomedievale che certamente, come tutte le cappelle campestri coeve, non doveva possedere alcun altro elemento decorativo scolpito, nemmeno rozzamente realizzato. Si tratta di un’opera che sarà sempre difficile ricondurre ad un preciso ambito culturale o datare con  certezza, per la totale mancanza di elementi figurativi che la caratterizza e per l’assenza, altresì,  di termini di confronto con manufatti similari datati con precisione .

Ai fini di una più compiuta contestualizzazione storica del fonte battesimale e di una conseguente  ipotesi di datazione , forse l’unico elemento che ci può aiutare, del resto  trascurato da tutti gli studiosi, è quello metrologico. Il diametro di base della vasca misura infatti cm.31, cioè un piede bizantino esatto. E il piede bizantino di cm. 31 (usato fino in eta’ normanna) è tra l’altro, come rilevato anni fa dallo studioso R. Jurlaro, la misura utilizzata per la costruzione della cappella medievale e del sacello.

Il fonte battesimale di pietra lavica fa dunque riferimento, in termini metrologici, alla cultura bizantina, e potrebbe quindi essere datato all’epoca della piu’ significativa  presenza dei Bizantini nell’Italia meridionale , cioe’ ai secc. IX-XI.

Siamo abbastanza convinti del fatto che la “vasca” battesimale, cui sono particolarmente devoti i pellegrini, faccia riferimento alla presenza dei monaci italo-greci (i cosiddetti “basiliani”) nel santuario, mentre escludiamo che il manufatto sia stato fatto arrivare in loco dai monaci benedettini d’Aversa che alla fine del sec. XI presero possesso della cappella  e del vastissimo feudo ad essa pertinente (la famosa”grancia” di San Pietro in Bevagna)in seguito alla donazione dei principi normanni.

Oltre al problema della datazione e della committenza, il fonte battesimale pone quello della sua provenienza. A questo proposito, ci pare naturalmente da scartare l’ipotesi che la vasca sia stata realizzata procurandosi la materia prima dai dintorni del santuario. Il manufatto, composto da pietra lavica (basalto) è stato  verosimilmente importato in tempi remoti.

Uno studio scientifico, pubblicato nel  2000  e condotto dal prof. Paul Arthur dell’Universita’ di Lecce (cattedra di Archeologia medievale) ha evidenziato che le rotte commerciali antiche e medievali relative ai manufatti in pietra lavica, coinvolgenti anche il Salento, avevano come punto di partenza le isole dell’Egeo (soprattutto la località denominata Melos) e, dall’altra parte del Mediterraneo, la Sicilia, e in particolare l’area etnea.

Sia i manufatti provenienti dall’Egeo che quelli provenienti dalla Sicilia (Etna) sono probabilmente transitati, con riferimento al Salento, attraverso porti quali Otranto, Brindisi, Gallipoli e Taranto.

Un elenco dei rinvenimenti di manufatti in pietra lavica (essenzialmente macine), su siti della Puglia Meridionale con presenze di età medievale indagati archeologicamente in modo sistematico, mostrano una prevalenza dei manufatti provenienti dall’Etna rispetto a quelli di origine egea. A questo punto, ferma restando la necessità di un’analisi petrografica della roccia vulcanica che costituisce il fonte battesimale di San Pietro in Bevagna (che potrebbe essere effettuata con la collaborazione e il permesso dell’autorità diocesana), riteniamo che ci siano fondate ragioni per credere, in linea teorica,  che, esclusa naturalmente del tutto un’ improbabile origine locale, la pietra lavica di cui è costituito il fonte battesimale di San Pietro in Bevagna possa provenire dall’Etna o dall’Egeo. E gli artefici di questa importante committenza, destinata a rimanere per secoli nel santuario (attualmente protetta da un artistico cancello in ferro battuto del secolo XVIII con le iniziali S.P.) saranno stati con ogni probabilità i monaci italo-greci al tempo in cui gestivano la cappella, cioè, ripetiamo, nei secc. IX-XI.

Essi, ben più dei benedettini d’Aversa, potevano inserirsi, per la loro stessa provenienza, nella rete di relazioni e di commercio che coinvolse nel medioevo l’area mediterranea, e  che vide transitare sulle navi oggetti, uomini, idee.

I monaci italo-greci vollero con ogni probabilità realizzare una duratura “memoria” del mitico battesimo di San Pietro Apostolo, avvenuto, secondo la leggenda, nelle acque del fiume Chidro intorno al 44 D.C, e ordinarono che fosse realizzato questo suggestivo manufatto, la “vasca” di San Pietro, che ancora oggi i pellegrini contemplano  con devozione e stupore.

Il terzo degli oggetti “mitici” collocati nel sacello petrino è la cosiddetta “pietra” di San Pietro, che secondo la leggenda servì al santo per celebrare la prima messa  sul suolo italiano, appunto a Bevagna intorno al 44 d.C.

Anch’essa è un oggetto su cui nessuno si è mai interrogato troppo, avallando automaticamente  la predetta ipotesi del tutto leggendaria. La “pietra”, in realtà un blocco di calcare delle dimensioni di cm. 93x40x 40, era in origine collocata all’interno dell’altare che si trovava in fondo al sacello, la cui esistenza è documentata da vecchie fotografie. L’altare fu demolito negli anni ’80, nell’ambito di un intervento di restauro invero discutibile, in seguito al quale si decise di stonacare anche le pareti del sacello, che assunse quindi l’attuale configurazione. La “pietra”squadrata era stata quindi collocata nell’altare posticcio a mo’ di  presunto ricordo  del passaggio di san Pietro e della sua opera di evangelizzazione sui nostri lidi, ed è di fatto indatabile.

Ai fini di una ipotesi di datazione, anche in questo caso, come per il fonte battesimale, forse ci puo’ essere di aiuto solo l’elemento metrologico. La pietra è infatti alta 93 cm., cioè tre piedi bizantini esatti. Solo casualità? A noi pare invece che anche per questo oggetto su cui nei secoli si è concentrato l’interesse  popolare si possa ricondurre tutto all’iniziativa dei monaci italo-greci che a partire dal sec. IX occuparono l’area del santuario. Anche in questo caso, con ogni probabilità, i bizantini avranno voluto produrre una “memoria” del  mitico passaggio di San Pietro su questi lidi, e avranno ordinato la fabbricazione di questo oggetto (che non ci pare certo, come del resto il fonte battesimale, di età apostolica!). Un oggetto realizzato stavolta ricorrendo a materiale di provenienza assolutamente locale, come del resto di provenienza  locale sono i blocchi irregolari di tufo e di arenaria con cui e’ stato realizzato nel medioevo l’intero sacello “petrino”.

La tecnica costruttiva del sacello rimanda chiaramente ad una età remota, e ciò sia detto a scanso di equivoci, dal momento  che questa piccola cappella, su cui esiste una vasta bibliografia, è stata considerata in passato, anche da eminenti studiosi, addirittura alla stregua della cisterna della Torre di San Pietro, la quale invece risale al tardo ‘500, ed e’ stata realizzata con una tecnica del tutto differente.

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