Anche quest’anno per combattere il caldo si raccomanda di bere…

di Armando Polito

Δεî  μέγα πίνειν.

Copiose bibere opus est.

Se la televisione fosse esistita ai tempi dei Greci e dei Latini quasi sicuramente i nostri antenati si sarebbero dovuto sorbire in questa stagione più volte al giorno un Bisogna bere in abbondanza, che è, poi, la traduzione delle due frasi, di mia invenzione, appena scritte.

Il problema, oggi probabilmente più assillante di allora, veniva risolto bevendo acqua o vino freschi, in un modo, cioè, vino a parte, non dissimile da quello puntualmente raccomandato ai nostri giorni dal tg e suggerito, per non dire subliminalmente imposto,  (questa volta anche ma non solo per l’acqua…) dalla miriade di messaggi pubblicitari al cui bombardamento siamo sottoposti tutte le ore del giorno e della notte.

Si, ma come facevano a rinfrescare ciò che bevevano? Tutto questo lo vedremo tra un attimo, dopo la pubblicità…

Greci e Romani, ma pure altri popoli più antichi, rinfrescavano ciò che bevevano più o meno come si è fatto fino alla fine del XIX secolo: con la neve. E, per mantenere costante la temperatura per un periodo sufficientemente lungo, a partire dal VI secolo a. C.,  i Greci usavano un contenitore chiamato ψυκτήρ (alla lettera refrigeratore, da ψύχω=soffiare, respirare, raffreddare; i primi due significati denotano pure la derivazione dallo stesso verbo di ψυχή=vita, anima; nel linguaggio specialistico ψυκτήρ è reso in italiano con psictère), avente una forma particolare,  che, riempito di  neve o acqua fredda, veniva posto nel cratere contenente il vino (secondo altri il ruolo dei due contenitori era invertito); un altro modello più raro e in uso solo nel VI secolo somigliava ad un’anfora con doppia parete, la cui intercapedine era riempita con il liquido refrigerante: sono, soprattutto quest’ultimo,  gli antenati del thermos.

Psictere attico a figure nere (fine del VI secolo a. C.), Museo del Louvre, Parigi
Anfora psictere di produzione calcidese, da Cerveteri. Collezione Castellani, Museo etrusco di Villa Giulia.

I brani che seguono da me tradotti nelle due sezioni, la prima dedicata agli autori greci, la seconda ai latini1, rappresentano adeguatamente il tema di oggi (limitato all’acqua e alla neve visti solo come mezzi per la soddisfazione della sete e per sollievo dall’arsura e non, tra l’altro, come strumenti terapeutici) nelle sue molteplici sfaccettature: dalla sentimentale alla scientifica, dalla polemica all’economica, dalla sociologica all’ironica (mi riferisco all’ironia dei testi originali, non alle mie superfetazioni alle quali, purtroppo, non ho saputo o potuto rinunciare).

1)

Senofonte (V-IV secolo a. C.), Memorabilia, II, 1 nel citare la favola di Ercole al bivio da un’opera perduta di Prodico (V-IV secolo a. C.) così fa parlare la Virtù all’indirizzo della Felicità: “… per bere con piacere ti procuri vini costosissimi e d’estate vai in giro a cercare la neve…”.

Ercole al Bivio, incisione di Adamo Scultori (1563 c.), Raccolta Bertarelli, Milano

Vuoi vedere che l’allusione non è tanto alla neve che serve alla Felicità (leggi evasore fiscale) per raffreddare il suo costosissimo vino (leggi champagne) ma, piuttosto, a quella artificiale sparata in estate da un cannone ante litteram sui campi da sci di qualche località rinomata per la pratica di sport invernali (se ancora non avviene, potrebbe essere un’idea per qualche coraggioso “imprenditore statale”)?

Teocrito (III secolo a. C.) nell’XI idillio (vv. 47-48) mette in bocca a Polifemo innamorato di Galatea queste delicate parole con cui il gigante (leggi la bestia)  descrive le comodità del suo appartamento (leggi caverna) cercando di conquistare la ninfa Galatea (leggi la bella): “C’è acqua fresca che il boscoso Etna mi fornisce  dalla bianca neve, bevanda divina”.

Altro che altissima, purissima, Levissima!

Strabone (I secolo a. C.), Geographia, XI, 4: “Dicono che qui [in Armenia] nel corso di scalata dei monti spesso intere cordate sono state fagocitate dalla neve; che per far fronte a questo pericolo i viandanti hanno dei bastoni da sollevare in superficie in modo tale che possano respirare e segnalare la loro presenza ai soccorritori e che ne hanno tratto giovamento e sono stati liberati e salvati. Dicono pure che nella neve si formano zolle cave contenenti all’interno, come se avessero la buccia, acqua da utilizzare”.

Sulle capsule di acqua non ho nulla da dire; mi chiedo, invece, quante volte abbiano funzionato i bastoni perché, allora come oggi, quando t’inghiotte la neve o t’investe una valanga, per potere restare col bastone in mano e poi manovrarlo adeguatamente ci vuole la stessa fortuna che ha avuto Schettino col suo scivolone nella scialuppa… Comunque, fatte le dovute differenze non so a vantaggio di chi, il bastone è un ARVA (acronimo di Appareil de Recherche des Victimes en Avalanche), un rilevatore di posizione ante litteram.

Ateneo di Naucrati (II-III secolo d.C.), I deipnosofisti, IV, 21: “Su un treppiedi c’erano uno psictere di bronzo, una brocca, un bacile di argento contenente due coppe e una tazza, una coppa di bronzo più grande per versare il vino”.

E, dopo questa presentazione collettiva di contenitori per bevande, che a qualcuno può pure ricordare per certi versi qualche vendita televisiva di una batteria di pentole:

III, 35:  “Semo di Delo nel secondo libro de L’isoletta dice che nell’isola di Cimolo d’estate vengono approntati luoghi per tenere fresca l’acqua, dove vengono riposti  vasi di creta pieni di acqua tiepida, poi vengono usati come se contenessero neve sciolta…….. Alessi dunque ne Il parassita dice: -Voglio che tu assaggi la mia acqua; ho dentro casa la grande ricchezza di un pozzo la cui acqua è più fredda di Ararote2-. Ermippo ne Il furfante chiama freatica l’acqua del pozzo. Alessi ne La donna che beve la mandragora dice che bevevano pure la neve: Non è forse l’uomo una strana creatura che gode di cose tra loro contrarie? Disprezziamo i parenti, amiamo gli estranei. Pur non avendo nulla siamo ricchi per gli altri, quando si fa una colletta la nostra partecipazione è misera. Per quanto attiene il vitto quotidiano vogliamo che la nostra focaccia sia quanto più bianca possibile e poi la inzuppiamo in un brodo nerissimo; sovrapponiamo ad un colore bello uno indelebile. E siamo pronti a bere la neve mentre critichiamo il cibo se non è caldo. Sputiamo il vino inacidito e poi perdiamo la testa per le salse piccanti. Non è vero dunque ciò che i sapienti vanno dicendo, che sarebbe stato meglio non nascere o morire appena nati? Dexicrate nella commedia intitolata Gli ingannati da se stessi: Quando sono ubriaco bevo neve e l’Egitto mi fornisce un ottimo unguento con cui spalmarmi il capo. Euticle ne I dissoluti o Epistola: Per primo egli seppe se la neve ha un prezzo ma prima fu necessario che quello mangiasse interamente un favo3. L’elegante Senofonte in Fatti memorabili mostra di conoscere la bevanda ottenuta dalla neve. Chares di Mitilene in Le storie di Alessandro espose pure per quale motivo bisognava conservare la neve trattando dell’assedio della città indiana di Petra.  Dice che Alessandro fece scavare trenta fosse poco distanti tra loro le fece riempire di neve e coprire con rami di quercia; così la neve durò parecchio tempo. Stattide in Quelli che prendono il fresco dice che raffreddavano anche il vino per berlo più fresco: Neppure uno sopporterà di bere vino caldo ma molto prima refrigerato in un pozzo, mescolato con la neve. E Lisippo in Le Baccanti: A -Ermone, che succede? Dove ci troviamo? – . B -Nient’altro se non il fatto che, mi sembra,  il padre dall’alto si è calato nel pozzo come fa con il vino in estate-.  Difilo ne Il piccolo monumento dice: Refrigera il vino, Dori. Protagoride nel secondo libro de Le storie comiche narrando la navigazione del re Antioco su un fiume parla di un’artificiale refrigerazione dell’acqua con queste parole: Dopo aver esposto l’acqua al sole di giorno ed averne filtrato di notte la parte più densa, ciò che resta lo espongono all’aria aperta in vasi di creta sulla parte più alta delle case e per tutta la notte due schiavi bagnano con acqua i vasi.  All’alba sollevano i vasi, di nuovo filtrano il sedimento rendendo l’acqua limpida e potabile e pongono i contenitori sotto la paglia. E così si servono di quell’acqua senza aver bisogno della neve. Anaxilade ne La suonatrice di flauto parla così dell’ acqua di cisterna: Sappi che da parte mia è a disposizione per te quest’acqua di cisterna. E di nuovo: Forse si è esaurira l’acqua di cisterna. Apollodoro di Gela ne La traditrice ricorda anche lui l’acqua di cisterna, come noi diciamo, così: Ansiosa, dopo aver sciolto il secchio del la cisterna e quello del pozzo, tenni pronte le funi. Mirtilo sentendo ciò disse:  Amici miei, io che sono amante del pesce sotto sale voglio bere la neve seguendo Simonide. E Ulpiano dice: Si legge amante del pesce sotto sale in Onfale di Antifane così: Non sono per nulla amante del pesce sotto sale, o ragazza. Alessi ne Il potere delle donne chiamò uno pure pesce salato in umido con queste parole: Questo è Cilice, Ippocle, un pesce salato in umido, un ipocrita. Che sia quello che dicesti a proposito di Simonide non lo so. -Certo – ribattè Mirtilo – perché non ti curi della conoscenza delle storie, ghiottone! Infatti sei un goloso e, come dice il poeta Asio di Samo, quello senior, un parassita goloso-. Callistrato nel settimo libro de I mescolamenti dice che, banchettando il poeta Simonide in casa di alcuni nella stagione del caldo e mescolando i coppieri agli altri con la neve il vino da bere e a lui no, improvvisò questo epigramma: Quella [la neve] facilmente un tempo Borea impetuoso muovendo dalla Tracia sparse intorno ai fianchi dell’Olimpo e morse i sensi degli uomini privi di mantello; poi s’intenerì ricoperta viva4 dalla terra di Pieria. Qualcuno me me ne sciolga un pezzo. Non è conveniente infatti porgere ad un amico una bevanda calda”.

Plutarco, Convivio dei sette sapienti, VI, 5: “Penso che tu ricordi cosa ha detto Aristotele intorno alle pietre e ai pezzi di metallo che gettati nell’acqua la raffreddano e la congelano”;   VI, 6: “Come anche la paglia posta attorno delicatamente per la sua leggerezza non indebolisce la massa di ghiaccio; altre volte [la paglia] è fitta e spessa sì da respingere il calore dell’aria e non permettere al freddo della neve di disperdersi”.

Ricordo che fino a tutta la metà del secolo scorso l’unica possibilità di preparare bevande fresche era offerta dal blocco di ghiaccio (la produzione del ghiaccio artificiale era iniziata un secolo prima) e la parte (il blocco intero costava troppo per chi, anche allora, non era un evasore…) acquistata veniva avvolta in un panno, collocata in una cassa e ricoperta di paglia per ritardarne la liquefazione. Sul potere isolante della paglia vedi più avanti anche la testimonianza di Seneca. Un rito era poi, specialmente per noi ragazzini, il movimento di quella specie di pialla usata per raschiare da quel pezzo, con movimenti rapidi per motivi facilmente intuibili,  scaglie con cui preparare granite senza tante scelte nel loro gusto: caffé per gli adulti, limone per noi. Gli adulti maschi (per le femmine sarebbe stato perdizione…), poi, a Nardò potevano gustarle così preparate nella sua rivendita di ghiaccio ed altro dal mitico Pippinu Giuranna.

2)

Plinio il Vecchio (I secolo d. C), Naturalis historia, XIX, 19: “La natura aveva creato gli asparagi selvatici perché chiunque li raccogliesse qua e là; ecco che ora si vedono asparagi coltivati e a Ravenna tre pesano una libbra. Prodigi del ventre! Sarebbe strano che non fosse lecito al bestiame pascersi di cardi, eppure non è permesso alla plebe. Si separano pure le acque e gli stessi elementi della natura sono resi differenti  dalla potenza del denaro. C’è chi beve la neve, chi il ghiaccio e trasforma in piacere della gola i fastidi dei monti. Si conserva il freddo per il caldo e si trova il modo perché la neve rinfreschi nei mesi  caldi. Altri fanno bollire l’acqua e subito dopo la fanno ghiacciare. Così l’uomo non ha nulla che piaccia alla natura”; XXXI, 23: “Fu un’invenzione dell’imperatore Nerone far bollire l’acqua e posta in un vaso di vetro farla raffreddare nella neve. Così il piacere del freddo si ottiene senza i difetti della neve”.

Chissà cosa direbbe oggi il buon Plinio di fronte alle violenze continue cui protervamente sottoponiamo la natura!

Plinio il Giovane (I secolo d. C.), Epistole, I, 15: “Erano state preparate per ciascuno una lattuga, tre lumache, due uova, spelta con vino al miele e neve; infatti terrai conto pure di quest’ultima, anzi di questa soprattutto perché sparisce nel piatto”.

La spelta con vino al miele e neve ha tutta l’aria di essere l’antenata del sorbetto, parola che non ha nulla a cha fare con la sorba e tanto meno con sorbìre (che è dal latino sorbère, di probabile origine onomatopeica) poiché è dal turco şerbet=bevanda fresca, a sua volta dall’arabo sharab=bevanda.

Marziale (I secolo d. C.),Epigrammi, V, 64: “Versa, o Callisto, due bicchieri di Falerno e tu, Alcimo, scioglici sopra le nevi estive”;  IX, 22: “Solo grandi coppe di cristallo siano sfiorate dalle mie labbra e i nostri Falerni  rendano nere le nevi”; 91: “Lontano da ogni fastidio possa tu bucare il ghiaccio col nero vino della coppa”; XIV, 103: “Mi raccomando, allunga nelle coppe il vino di Sezze con la mia neve; con un vino meno pregiato puoi tingere il sacco”; 104: “Anche il mio sacco sa liquefare la neve; dal tuo colatoio l’acqua non zampilla più fresca”; 105: “Quando la chiedi non ti manchi l’acqua fresca nè la calda, ma evita di scherzare con la sete che dura da lungo tempo“; 106: “Ti viene donato questo rosso orciolo col manico curvo: lo stoico Frontone vi beveva l’acqua gelida”; 116: “Bevi il vino riposto nelle grotte di Soleto o dei Marsi; che ti giova il nobile freddo dell’acqua bollita?”7;  117: “S’immaginò un’ingegnosa sete: non bere la neve ma bere l’aqua gelata dalla neve”; 118: “ Evita, ragazzo, di mescolare gli affumicati vini di Marsiglia8 all’acqua fresca proveniente dalla neve, altrimenti l’acqua costerà più del vino”.

Seneca (I secolo d. C.), Naturales quaestiones, IV, 13, 7: “E non sono contenti della neve, ma cercano il ghiaccio come se il freddo fosse più sicuro nella sua solidità e spesso lo sciolgono ripetutamente con l’acqua:  il ghiaccio non è preso dalla superficie ma perché abbia una forza maggiore e un freddo più persistente viene scavato in profondità .  E così il suo prezzo non è unico, ma l’acqua ha dei bottegai e, che vergogna!, un prezzo vario. Gli Spartani cacciarono dalla città i profumieri e imposero loro di allontanarsi rapidamentedai loro territori, poiché sprecavano olio. Che avrebbero fatto se avessero visto i depositi di neve e le tante bestie da tiro necessarie per il trasporto dell’acqua, il cui colore e sapore inquinano a causa della paglia con cui la proteggono?”; Epistulae morales ad Lucilium, XV, 3: “Non pensi che quella neve estiva procuri insensibilità all’animo?”.

Meno male che a distanza di duemila anni noi siamo messi meglio: la privatizzazione dell’acqua, infatti, favorirà la concorrenza e determinerà un calo delle tariffe; proprio com’è già successo per trasporti, telefonia, banche, assicurazioni e chi più ne ha più ne aggiunga; e, per quanto riguarda la neve, è un conforto sapere che, mentre ai tempi di Seneca costava caro conservarla, oggi costa carissimo alle finanze pubbliche eliminarla dalle strade e ai singoli cittadini affrontare e superare i disagi provocati dalla sua caduta… 9

Elio Lampridio (forse IV secolo d. C.), Vita di Eliogabalo, XXIII: “Fece realizzare in estate nel giardino della sua casa un monte di neve fatta trasportare apposta”.

Abbiamo chiuso  in bellezza con colui che fu proclamato imperatore nel 218 d. C. a 14 anni (altro che il Trota!) e che probabilmente fu il primo ad usufruire dell’aria condizionata (sia pure nel solo giardino, poveretto!) grazie ad un sistema molto più spettacolare ed esteticamente appagante dello schiavo-ventilatore di egizia memoria; però dopo quattro anni di malgoverno fu ucciso dai pretoriani, e qui mi fermo…

______

1 Il dato temporale che accompagna ogni singolo autore consente al lettore di approntare, se vuole, un’unica sequenza cronologica.

2 Frecciata micidiale, anche se indiretta, ad Aristofane, il padre della commedia di mezzo, il cui figlio si chiamava Ararote ed era anche lui poeta comico.

3 Qui la tradizione manoscritta è estremamente varia e le interpretazioni molteplici. Ho fornito la mia basata sul testo dell’edizione curata da Johannes Scweighaeuser, Ex typographia societatis Bipontinae, Argentorati, anno IX (1801). L’immagine di chi ingurgita un favo (api comprese) e per lenirne le conseguenze usa la neve è perfettamente plausibile in un testo comico. All’ipercritico che dovesse obiettare che in estate è facilissimo imbattersi nelle api ma impossibile nella neve rispondo che anche a quell’epoca c’erano sistemi per conservare la neve.

4 Interrata in buche prima che sciogliesse.

5 L’apparente ossimoro è da intendere come nevi cadute in inverno e usate in estate.

6 Nell’epigramma precedente ed in questo sono ricordati i due modelli di colatoio per il vino; il primo (colum vinarium o colum nivarium, sembra un gioco di parole…), riservato ai ricchi, era di argento o di bronzo e consisteva in un contenitore con buchi che veniva riempito di neve e poi vi si versava il vino che, freddo, scolava nella coppa; il secondo, quello della povera gente (saccus vinarius),  era costituito da un semplice panno.

Colum vinarium da Pompei (I secolo d. C.). Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei Inv. 18715

7 Che l’acqua prima di essere rinfrescata con la neve venisse bollita è una prova, già allora, della sua scarsa potabilità.

8 I vini importati dalla Gallia Narbonese, spesso contraffatti, erano i più scadenti.

9 http://www.adoc.org/notizie/5743/neve-roma-costi-catene

L’industria del freddo in Età moderna. Le neviere nel Salento

ph Sandro Montinaro

di Lucia Lopriore

Da sempre l’uomo ha avuto l’esigenza di trovare refrigerio, specie durante la stagione estiva, attraverso l’assunzione di cibi e bevande fredde.

Oggi la tecnologia consente la produzione del ghiaccio artificiale in ogni casa, con frigoriferi, congelatori ecc., ma non sempre è stato così.

In passato l’uomo, per poter godere del privilegio di avere bevande e cibi freddi durante i mesi torridi, si ingegnò utilizzando ciò che la natura gli metteva a disposizione: la neve. Essa era merce preziosa ed un’abbondante nevicata era considerata una benedizione.

Con ogni mezzo l’uomo cercò di utilizzare questo prezioso genere anche quando madre natura non lo forniva, ossia durante la stagione estiva.

Nei paesi a clima temperato, l’utilizzo della neve era consuetudine sia per l’uso alimentare sia per quello medico: serviva per preparare sorbetti e bevande, per conservare i cibi, come riserva di acqua potabile per i periodi di siccità, ma era usata anche per curare febbri, ascessi, contusioni, ecc.

La neve veniva raccolta in luoghi esposti a nord, freschi ed umidi, quali sotterranei, grotte, scantinati e fosse oppure in costruzioni apposite, chiamate neviere.

Queste ultime assunsero forme e tipologie diverse in funzione della zona geografica in cui si trovavano ed a seconda delle necessità locali.

In talune zone dell’Appennino, le neviere erano delle semplici buche nel terreno, pressoché circolari, con diametro di 5-10 m. e profonde altrettanto, con pareti di rivestimento in pietra in cui veniva conservato il ghiaccio.

In altre zone, specie nell’arco alpino ma anche in molte zone appenniniche, erano delle vere e proprie costruzioni in muratura, con il tetto a due e a quattro falde, senza finestre e con la sola porta di accesso.

Quando la profondità della neviera lo consentiva, si formavano più strati di neve intervallati da strati di frasche e foglie secche, che avevano funzione isolante. Questo sistema consentiva di mantenere freddo lo strato più profondo, anche quando si estraeva la neve dagli strati più superficiali.

Per il trasporto della neve nei luoghi di utilizzo erano adottati vari sistemi: talvolta sul dorso di muli, altre volte, quando le vie lo consentivano, in carretti o slitte.

Lungo l’arco alpino, ogni malga aveva la propria neviera: serviva per conservare meglio il latte, in attesa dell’accumulo di una quantità sufficiente per l’avvio della lavorazione del formaggio.

Nelle zone vulcaniche le neviere consistevano in un cilindro, scavato nel terreno, con una sola apertura per il carico di neve fresca e per il prelievo del ghiaccio; per garantire un sufficiente isolamento termico la costruzione era ricoperta da un grosso cumulo di terreno. Esse avevano l’ingresso rivolto verso Nord, per ridurre l’irraggiamento solare diretto verso l’interno. Anche la porta d’ingresso era schermata da una fitta copertura di frasche.

In Sicilia fino agli inizi del ‘900, nei mesi invernali più rigidi quando la neve cadeva copiosa, molti contadini di Piana salivano sulla Pizzuta a lavorare nelle neviere di proprietà del comune di Palermo, poste all’inizio del versante occidentale della montagna. La neve, raccolta in buche scavate ad imbuto, era compressa su vari livelli in corrispondenza dei quali veniva inserito uno strato di paglia.

A Catania era molto diffuso il commercio della neve dell’Etna, pertanto, le neviere si trovavano nelle cavità naturali della montagna. La neve veniva trasportata in città e nei paesi limitrofi con carretti coibentati in maniera rudimentale; infatti, per evitarne lo scioglimento i venditori cospargevano il fondo del carro con uno strato di carbonella ricoperto a sua volta di felci; al di sopra di queste ultime si disponeva la neve avvolta in un telo di canapa protetto superiormente da un altro strato di felci.

In Val Mugone, le neviere erano profonde circa 57 metri ed avevano l’ingresso con uno scivolo inclinato che portava direttamente alla cavità, alla cui base era depositata un’enorme quantità di ghiaccio.

Nell’Appennino Umbro Marchigiano, le neviere erano delle strette depressioni esposte a nord, spesso a ridosso di pareti rocciose ed impervie. A Secinaro, vicino alla maestosa catena del Sirente, i nevaroli sin dal ‘500 erano soliti risalire il monte, fino alla neviera, dove si calavano con scale e corde per tagliare i blocchi di ghiaccio e riportarli a valle in gerle di vimini, avvolte in foglie secche isolanti, sul dorso di asini e muli.

Nell’Altopiano delle Murge le neviere erano distribuite soprattutto presso le masserie e nei declivi dei campi; avevano la forma di un parallelogramma con volta a botte ed un piano di calpestìo formato da terriccio ricoprente le lastre adagiate sulla volta per neutralizzare il calore in maniera uniforme. Esse avevano, inoltre, una o due aperture laterali murate o chiuse con porte di legno che servivano per prelevare il ghiaccio mentre la neve veniva infilata dalla bocca posta alla sommità della volta. Sul fondo, all’interno, si deponevano dei fasci di sarmenti il cui scopo era quello di evitare che le neve venisse a contatto con il suolo e potesse sciogliersi o inquinarsi. La neve appena caduta veniva raccolta e, ancora fresca, veniva trasportata sui vaiardi, simili a portantine,perché i traini erano ingombranti e non potevano entrare negli erbaggi senza provocare danni; oppure, si formavano grosse palle di neve e si lasciavano rotolare dall’alto verso il fondo della valle dove erano collocate le neviere. Solo la neve raccolta lontano dalle neviere era trasportata sui traini. Una volta raccolta la neve veniva immessa nella neviera dall’apertura sulla volta mentre le porte laterali restavano chiuse sino al prelievo del ghiaccio. I fasci di sarmenti isolavano la neve dal fondo su cui si lasciava cadere un tubo che serviva per pompare l’acqua che lentamente si accumulava. La neve veniva compressa affinché la neviera potesse contenerne grandi quantità.

ph Sandro Montinaro

Nel Salento il commercio del prodotto era destinato soprattutto all’esportazione, fuori dall’Alta Murgia, verso i paesi costieri. Altamura, Minervivo, Santeramo, Locorotondo ed altri comuni erano i maggiori esportatori di neve. La neve venduta era di due tipi: quella bianca, per uso alimentare e medico, e quella grezza o nera destinata ad altri usi.

In epoca bizantina il territorio salentino era organizzato come provincia dell’impero. Il paesaggio agrario era costituito da muretti a secco che delimitavano le proprietà, costruzioni a secco (furnieddhi) tronco piramidali e tronco coniche che costituivano le case dei contadini, si diffusero nella campagna della “Grecia Salentina”. Con il tempo tali costruzioni si arricchirono di scale esterne e nicchie interne. Spesso intorno alle costruzioni era costruito un recinto per gli animali. Negli avvallamenti naturali del terreno, una serie di cisterne, le pozzelle, raccoglievano e conservavano l’acqua piovana filtrata e arricchita da sali, attraverso il drenaggio del terreno. Le pozzelle risolsero in maniera geniale il problema dell’approvvigionamento idrico.

La tipologia architettonica delle neviere variava di zona in zona. In alcune parti del Salento, ed in particolare a Cellino San Marco, ancora oggi, presso la Tenuta Monte Neviera, nella Contrada Veli, sorge maestosa Villa Neviera o Torre del Rifugio, così chiamata per aver ospitato Sua Maestà Re Vittorio Emanuele III. La villa, chiamata comunemente dagli abitanti del luogo, castello, fu costruita nel 1888, ed è ancora oggi ben conservata, è una vera e propria costruzione costituita da più ambienti, qui fu ospitato il marchese Antonio De Viti De Marco. Riportata al suo originario splendore da un accurato restauro, è attualmente abitata. Essa deve il suo nome alla capacità di conservare anche nei periodi primaverili ed estivi, le scorte di neve all’interno delle sue cantine.

La neviera ubicata nei pressi della masseria Corillo fu edificata probabilmente nel XV secolo. L’edificio di forma rettangolare è scavato nel tufo con volta a botte e sorge sui terreni di pertinenza del complesso della masseria. Tale neviera, è una manifestazione significativa dell’architettura ipogea salentina, scaturita dalla necessità di sopperire alla mancanza di acqua nel periodo estivo. Si raccoglieva la neve nel periodo invernale e si conservava ammassata in queste stanze sotterranee coperte da una volta di pietre e da terreno vegetale. Scavata nella roccia tufacea per una profondità di circa sei metri, a pianta rettangolare e coperta a botte, ha l’accesso mediante una finestrella aperta a piano di campagna su uno dei lati più corti.

Esiste poi la neviera “Cerceto” di Cannole, localizzata all’interno del complesso della masseria, dal quale prende il nome. Risale forse al IX secolo, epoca di costruzione della masseria. In questo caso la neviera ha una struttura simile ad una cisterna, interamente scavata nella roccia; la neve veniva pigiata e coperta con strati di paglia, di piume e di stracci per conservarla quanto più a lungo possibile. All’inizio della stagione calda la neve veniva venduta ai mercati, con notevoli proventi.

Altra tipologia costituisce il “puddaru Neviere” che è situato in una delle campagna di Poggiardo. Si tratta di un elemento architettonico tipico della la civiltà contadina del posto. Il “puddaru” è situato in una delle campagne circostanti il territorio di Poggiardo. Esso prende il nome, “Neviere”, dalla campagna dove è ubicato. Costruito interamente con pietre a secco, presenta una base circolare e una struttura a campana. Sulla facciata si apre un’ampia porta d’ingresso con architrave. Si tratta di una struttura che i contadini usavano per riporre e allevare i polli, da qui il nome “puddaru” ossia pollaio. Nelle campagne circostanti di Poggiardo, così come anche dei paesi limitrofi, si possono visitare numerosi manufatti del genere, con diverse tipologie.

Sandro Montinaro parlando delle neviere di Cacorzo afferma che : “[…] la località “Cacorzo” è uno dei primi nuclei abitativi di Carpignano. Intorno ci sono le neviere che si presentano come anfratti sotterranei profondi circa tre quattro metri, alcune grotte un tempo abitate, il santuario della Madonna della Grotta con la cripta e la torre colombaria più grande ed austera del Salento. Sull’architrave della porta della colombaia (Palumbaru) ci sono gli stemmi Del Balzo e al centro quello dei Del Balzo-Acquaviva […]”

Sempre nel Salento altre tipologie di neviere sono ubicate nelle zone di Matino, Vernole, Neviano, Casarano, Ugento, Tricase, Corigliano, in quest’ultimo centro se ne contano otto, a Lequile sei.

Per quanto riguarda quelle preistoriche, i centri di Alessano e Supersano vantano una discreta presenza, mentre quelle di epoca rinascimentale sono ubicate nelle zone di Galatina e Maglie.

In queste zone le neviere sono scavate nella roccia ad una profondità che si aggira intorno ai cinque o sei metri, a pianta quadrata o rettangolare dalla larghezza di circa dieci metri, coperte con volte a botte cui si accedeva mediante una piccola finestra collocata da un lato a piano di campagna.

In territorio di Cutrofiano è ubicata una neviera presso la masseria “Nevera”, ed in territorio di Acaja, presso la masseria Favarella, ve ne sono altre.

Nei dintorni della la masseria Mollone, nel territorio di Copertino, c’è una struttura che dicono sia stata in passato una cripta bizantina poi trasformata in neviera nei secoli successivi.[1]

La presenza di tante neviere nel Salento, ed in provincia di Lecce in particolare, mette in luce un aspetto dell’economia locale che in passato ebbe grande rilievo.[2]

Dai primi anni del Novecento la fornitura di neve fu soppiantata dalla produzione di ghiaccio industriale venduto fino a tempi recentissimi, ovvero fino a quando non entrò nelle case il frigorifero. Così si concludeva un’era di tradizioni e di folclore lasciando spazio solo ai ricordi.

 

Foto di Sandro Montinaro: Carpignano Salentino, località Cacorzo, neviera sita nei pressi della colombaia e del santuario della Madonna della Grotta.

 

Pubblicato su Spicilegia Sallentina n°7. 

Bibliografia essenziale:

Amici del Menhir, Costantini A., Del modo di conservare le acque e la neve, in “Sallentum a. XI nn.1-2.

Costantini A., Guida ai monumenti dell’architettura contadina del Salento, Galatina 1996.

Lopriore L., Le neviere in Capitanata – affitti, appalti e legislazione, Foggia 2003.

http://forum.meteonetwork.it/nowcasting-discussioni-climatiche-italia-meridionale-insulare/97818-domani-domenica-alta-probabilita-neve-23.html

http://www.turismo.provincia.le.it/home/risorse.php?id=220

http://www.proloco-zollino.it/default.asp?pagina=arte_territorio

http://culturasalentina.forumattivo.com/tradizioni-popolari-f10/le-neviere-salentine-t407-30.htm

http://static.panoramio.com/photos/original/4684206.jpg

 


[1] Si ringrazia Fabrizio per la notizia.

[2] Si ringrazia Stefano Cortese per aver gentilmente fornito le ultime notizie sulle neviere del Salento.

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