Riportiamo gli abstract dei saggi pubblicati sul nuovo numero de Il delfino e la Mezzaluna
Anna Bolognese, L’ovale della Madonna Immacolata di Liborio Riccio: cronaca di un restauro
in Il delfino e la Mezzaluna, Periodico della Fondazione Terra d’Otranto, anno V, nn° 6-7, 2018, pp. 269-273.
ITALIANO
L’autrice fornisce una sintesi dei lavori di restauro eseguiti su un antico ovale rappresentante la Madonna Immacolata. La tela, conservata presso il museo diocesano di Gallipoli, è opera del pittore gesuita Liborio Riccio, nato a Muro Leccese, formatosi tra Gallipoli e Roma ed operante in Terra d’Otranto nella seconda metà del Settecento.
ENGLISH
The author provides a synthesis of the restoration work carried out on an old oval showing the Virgin. The painting, kept in the Gallipoli’ s diocesan museum, is a work of Liborio Riccio, a Jesuit painter, born in Muro Leccese, grown up between Gallipoli and Rome and working in Otranto’s land in the second half of the eighteenth – century.
Keyword
Anna Bolognese, Liborio Riccio, Museo Diocesano Gallipoli, Madonna Immacolata
Da un bozzetto ritrovato ad una singolare congiunzione di tre artisti in rapporto con Gallipoli
di Antonio Faita
Chi entra nella cattedrale di Sant’Agata, sin dal primo sguardo, percepisce d’essere entrato in un tempio importante per la sua ricchissima decorazione pittorica. E’ una vera e propria galleria d’arte dove sono presenti opere di artisti locali e napoletani del ‘600-‘700 e tra le quali spiccano quelle di Giovanni Andrea Coppola, Gian Domenico Catalano, Luca Giordano, Nicola e Carlo Malinconico. Su questi ultimi due, e soprattutto su Nicola, mi vorrei soffermare e, in particolar modo, sul suo dipinto: “La cacciata dei mercanti dal Tempio” che sovrasta la porta centrale.
Recentemente, lo studioso napoletano Achille della Ragione ha ricostruito, cronologicamente e con più precisione, il percorso inerente l’attività pittorica di Nicola Malinconico, sulla scorta di numerosi documenti di pagamento che lo studioso Umberto Fiore è riuscito a reperire nell’archivio storico del Banco di Napoli e nell’archivio di Stato.
Ciò ha permesso di datare gran parte dei lavori del Malinconico, correggendo molti precedenti errori, tra i quali la data della sua morte, indicata da Bernardo De Dominici e riportata, successivamente, da vari biografi, al 1721 ed oggi spostata al 1727[1].
Nel 1700 la cattedrale di Gallipoli, grazie alla volontà del nuovo prelato mons. Oronzo Filomarini della casa dei teatini di Sant’Eligio di Capua[2], fu oggetto di abbellimento e di trasformazione in chiave barocca. L’artista, chiamato a completare il programma perseguito da mons. Filomarini[3], fu il napoletano, esponente di area giordanesca, Nicola Malinconico (Napoli 1663-1727)[4] il quale, per il gran numero di tele commissionategli, fu impegnato quasi sicuramente, anche se non ininterrottamente, dal 1715 fino al 1726, un anno prima della sua morte. Non è documentato infatti quel che molti sostengono, e cioè che il Malinconico abbia dipinto per la chiesa di Sant’Agata già a partire dal 1700, mentre è attestata la sua presenza in Gallipoli nel 1715. Infatti, dalla Visitatio ailocali della cattedrale che mons. Filomarini fece il primo agosto di
A Muro Leccese si restaura il Sacrificio di Abramo di Liborio Riccio
La vicenda storico-artistica dell’opera
di Giancarlo Brocca e Santo Venerdì Patella
Recentemente sono iniziati, a Muro Leccese, i lavori di restauro della grande tela raffigurante il Sacrificio di Abramo, opera del pittore e sacerdote murese Liborio Riccio (1720-1785), realizzata per la chiesa matrice della sua città natale.
Il quadro è di dimensioni considerevoli: misura quasi 30 metri quadrati, sui quali è campito uno degli episodi più affascinanti dell’Antico Testamento.
L’opera è attestata per la prima volta nel 1754, nell’inventario redatto durante la visita pastorale dell’Arcivescovo di Otranto Mons. Caracciolo.
Si sa invece con certezza che fino al 1768 la tela aveva una collocazione diversa dall’attuale ed era posta dietro l’altare maggiore tra i due grandi quadri di Serafino Elmo: Eliodoro cacciato dal Tempio e La danza di David davanti all’Arca dell’Alleanza.
In una data imprecisata – ma sicuramente dopo il 1768 – il quadro fu spostato nel braccio destro del transetto e corredato da una cornice in legno e stucco, oggi dorata, su cui fa capolino la testa di un moro, stemma della città.
Fin dall’inizio dei lavori, il restauro del Sacrificio di Abramo (così è intitolata l’opera nelle fonti) è sembrato un’occasione propizia per uno studio più accurato sull’opera, che servirà certamente a chiarire numerosi dubbi circa le sue vicende storiche.
Intanto la parte posteriore del quadro ha già rivelato alcune novità: si sono riscontrate due aggiunte nelle porzioni laterali, realizzate nel momento in cui l’opera venne spostata dalla sua prima collocazione. Nella stessa circostanza, la parte superiore del corpo centrale della tela, ossia la più antica, fu ritagliata a forma di centina e si provvide anche a modificare il telaio per adattarlo alla nuova collocazione.
Forse, nei prossimi mesi, ciò che più desterà l’interesse degli studiosi e dei restauratori, sarà l’intervento di pulitura della pellicola pittorica, che certamente promette di riservare molte novità.
Sino a quando lo si è osservato dal basso, posto com’era a diversi metri d’altezza, il quadro risultava abbastanza omogeneo: ora invece, ad un esame ravvicinato, si rilevano delle differenze stilistiche abbastanza evidenti tra il corpo centrale e le due aggiunte laterali.
Queste ultime risalgono a una fase matura dell’artista, di cui se ne riconosce lo stile, mentre la parte centrale, che dovrebbe essere un’opera giovanile, presenta delle affinità stilistiche con la produzione di Serafino Elmo.
Probabilmente il giovane Riccio, all’inizio della sua carriera, prese a modello anche le espressioni del pittore leccese, presente nella sua città già dal 1734, ricordandolo da vicino in alcuni episodi della sua pittura, al punto tale che verrebbe quasi la suggestione di vedere nella parte centrale dell’opera la mano dello stesso Serafino Elmo, autore delle altre due grandi tele alle quali questa faceva compagnia, (si confronti, ad esempio, la figura dell’angelo del Sacrificio di Abramo con una simile eseguita per la tela di Santa Rosa nella chiesa di San Giovanni Battista a Lecce).
Tuttavia, il Sacrificio di Abramo è da sempre attribuito a Liborio Riccio e A. Antonaci sostiene che sia stato commissionato all’artista da parte del Capitolo di Muro nel 1752, senza citare la fonte.
A ogni modo, il pittore ripropose almeno altre due volte il tema del Sacrificio di Abramo: nella chiesa della Purità a Gallipoli e in quella dell’Immacolata a Taviano. Le opere ricordano quella murese nell’impostazione, ma le figure risultano sacrificate per adattarsi alla forma a lunetta delle tele.
Il restauro dell’opera approfondirà certamente la conoscenza circa le vicissitudini storico-artistiche a cui si è accennato, ma l’augurio è che ciò possa accadere senza dover modificare l’ultimo aspetto dato al quadro dal suo stesso autore, il quale lo ingrandì e ridipinse in più parti con l’aggiunta e l’occultamento di alcune figure (come nel caso dell’ariete sulla tela centrale, nascosto da uno strato di colore scuro e riproposto nell’aggiunta al lato destro), per adattarlo al nuovo assetto architettonico e decorativo che la Matrice Murese cristallizzò alla fine del ‘700.
Tali riflessioni, valide per meglio inquadrare l’opera ai fini dell’importante restauro in corso, sono da considerarsi preliminari ad un contributo storico-critico più organico ed esaustivo che sarà possibile realizzare a lavori ultimati.
A Muro Leccese si restaura il Sacrificio di Abramo di Liborio Riccio
La vicenda storico-artistica dell’opera
di Giancarlo Brocca e Santo Venerdì Patella
Recentemente sono iniziati, a Muro Leccese, i lavori di restauro della grande tela raffigurante il Sacrificio di Abramo, opera del pittore e sacerdote murese Liborio Riccio (1720-1785), realizzata per la chiesa matrice della sua città natale.
Il quadro è di dimensioni considerevoli: misura quasi 30 metri quadrati, sui quali è campito uno degli episodi più affascinanti dell’Antico Testamento.
L’opera è attestata per la prima volta nel 1754, nell’inventario redatto durante la visita pastorale dell’Arcivescovo di Otranto Mons. Caracciolo.
Si sa invece con certezza che fino al 1768 la tela aveva una collocazione diversa dall’attuale ed era posta dietro l’altare maggiore tra i due grandi quadri di Serafino Elmo: Eliodoro cacciato dal Tempio e La danza di David davanti
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