di Maria Grazia Presicce
L’arte è divenuta sin dall’antichità impegno primario nella creazione d’immagini-simbolo attraverso schemi differenti nel tempo e nello spazio e, le stesse, hanno una straordinaria capacità comunicativa, evocativa, persuasiva ed emozionale. Guardandole l’uomo ricorda, si riallaccia ad avvenimenti e si avvicina col cuore al pensiero che ha creato quell’immagine. In un’opera, in generale, arte e simbolo sono imprescindibili l’una dall’altro perché ogni autore, da sempre, nel realizzarla la pervade d’intimi effluvi, desiderando conferire un senso al suo manufatto, impregnandolo del suo mondo esteriore ma, ancor di più del suo mondo interiore, delle sue sensazioni più nascoste.
Il simbolo, in fondo, è sempre parte basilare di un’opera d’arte, ne costituisce il fulcro interpretativo e spesso lo stesso manufatto artistico diventa vettore del simbolo in essa racchiuso. A ben pensarci, arte e simbolo sono coesi l’una all’altro nella storia dell’umanità sin dalle sue origini perché l’uomo, da sempre, ha avvertito la necessità di capire il mondo che lo circondava e, desiderando rendere visibile il sacro nella sua quotidianità, lo ha rappresentato nelle forme artistiche più varie ed anche su supporti più disparati caricando le immagini di una forte simbologia.
Considerando, poi, che l’arte, in genere, è l’illustre linguaggio in cui il segno e il simbolo vengono esplicitati per consegnarli alla società come valori di autenticità e sacralità, è quasi scontato per quel segno essere metafora di comunicazione per chi le sta di fronte.
L’arte, come la poesia, va “scritta” e interpretata secondo il proprio pensiero e per farlo si possono usare varie chiavi di lettura; non vi è dubbio, però, che proprio grazie a questa sua rappresentatività impregnata di simboli e metafore, l’opera d’arte, più della poesia, si presenta ai nostri occhi come fonte inesauribile di segni, di messaggi silenziosi e d’impercettibili vibrazioni che scuotono nel profondo e che, spesso, fanno parte del nostro modo di essere mondo nel mondo e della nostra coscienza solitaria e silente.
Girolamo Comi, forse, si era avvicinato all’arte grazie al suo amico Evola[2] ed era amante dell’arte in genere.
Forse anch’egli aveva provato a cimentarsi nel disegno; infatti nei suoi diari, conservati gelosamente nelle teche della biblioteca provinciale di Lucugnano, ritroviamo in alcune pagine schizzi e disegni o forse simboli.
Brani del diario Comi[3]
Nel momento in cui ho cominciato ad interessarmi agli arazzi presenti nel Palazzo del poeta Girolamo Comi ( oggi Biblioteca della provincia di Lecce) mi ha colpito l’interesse di questo poeta verso l’arte del tessere, sia perché arte