Nel secolo fui chiamata Margarita…
Una rara leggenda agiografica tra i dipinti della chiesa delle Alcantarine di Lecce.
di Valentina Antonucci
Una delle più belle chiese di Lecce, benché non tra le più note, è quella dedicata a S. Maria della Provvidenza.
Affacciata sull’odierna piazzetta Giorgio Baglivi, poco distante da Porta Napoli, essa faceva anticamente parte di un complesso monastico appartenente all’ordine degli Alcantarini, francescani riformati che seguivano la Regola di S. Pietro d’Alcantara. Nella fattispecie, la residenza di piazzetta Baglivi era sorta per ospitare la comunità femminile delle Alcantarine di Lecce, costituitasi nel 1698.
Si tratta di un edificio ad aula unica con altari laterali e presbiterio a pianta quadrata. La facciata a due ordini, sormontata da cimasa a timpano, è ornata da nicchie con statue di Santi . Fu eretta a partire dal 1724 su disegno dell’architetto Mauro Manieri per volontà e con il finanziamento del barone di Torchiarolo, Giuseppe Angrisani, che lasciò in merito precise disposizioni testamentarie.
La fabbrica fu completata nel giro di vent’anni e nello stesso arco di tempo furono realizzati gli altari, i quali erano originariamente quattro: altri due ne furono aggiunti nel XIX secolo e trovarono posto nel vano di due porte che erano state murate dopo l’abbattimento del convento adiacente e la risistemazione urbanistica dell’isolato.
Qualche anno fa ebbi occasione di osservare e studiare alcuni dei dipinti facenti parte dell’arredo pittorico della chiesa. L’occasione fu quella del loro restauro, che venne affidato ad un laboratorio in cui avevo agevolmente accesso, stanti i rapporti di stretta collaborazione che mi legavano alla restauratrice di esso responsabile. Per uno storico dell’arte, non vi è situazione più felice di quella in cui gli sia dato agio di seguire il restauro di opere pittoriche che rientrino nell’ambito dei suoi interessi di studioso: la visione ravvicinata del dipinto nella luce perfetta del laboratorio, con le emozionanti scoperte di iscrizioni o di dettagli iconografici che quasi sempre comporta, nonché la possibilità di osservare la materia pittorica e persino la consistenza e la struttura del supporto, sono condizioni di studio ideali,