La ricostruzione politica di Galatina nell’Italia Unita

stemma civico di Galatina

 

di Tommaso Manzillo

Il contributo di Galatina alla ricostruzione post-bellica, dopo il secondo conflitto mondiale, doveva venire da ambienti e personalità vicine alla Chiesa, tanto che si andò formando un gruppo di aderenti alla locale sezione della FUCI (Federazione Universitari Cattolici Italiani), grazie all’iniziativa di mons. Antonio Antonaci, per il commento e la lettura sistematica della Rerum Novarum (1891) di Leone XIII, e fu allora che si iniziò a parlare di movimento della Democrazia Cristiana, sia a Galatina che nel Salento, grazie anche all’intervento dell’avvocato Achille Fedele.

Furono, quelli”, scrive Antonaci in Galatina Storia & Arte (1999), “anni ruggenti di battaglie violente per motivi ideali, di cristallina purezza: che meritavano di essere sostenuti”.

Nelle elezioni del marzo del 1946 era la prima volta che le donne esercitavano il diritto di voto, e da questo momento si può parlare di suffragio universale, allora esercitato con il sistema maggioritario. Si presentarono tre liste: quella dell’Orologio, ispirato da interessi trasformistico-borghesi, quella popolare social-comunista, il cui esponente più illustre era l’avv. Carlo Mauro, e la Democrazia Cristiana, ma la lotta, essenzialmente, era tra le prime due formazioni. È in queste elezioni che si intrecciano e si mettono le basi per le premesse politiche e giuridiche indispensabili per un nuovo periodo costituzionale e istituzionale del popolo italiano.

Il più illustre esponente del movimento della Democrazia Cristiana divenne l’on. Prof. Beniamino De Maria, sotto la pressione dell’arcivescovo del tempo, il cappuccino Cornelio Sebastiano Cuccarollo (Otranto, 1930-1952), assumendo, successivamente, il ruolo di leader, sempre presente sugli scranni parlamentari, dalla Costituente fino al 1976.

De Maria, figlio di genitori cattolici, ha sempre mantenuto i contatti con il clero locale, stringendo rapporti con le vecchie classi egemoniche di Galatina, contribuendo a saldare un legame tra il potere cattolico e quello politico in un’idea che lo Stato è soltanto la Chiesa, universale e soprannaturale.

Dopo la caduta del regime fascista e gli orrori del comunismo russo, si creò uno spazio vuoto e ignoto, situazioni di confusione e di incertezze, colmate e risanate dal filone cattolico, divenendo protagonista della politica nazionale e locale. Proprio perché spinto da forti e sentiti principi e valori cattolici, respirati negli ambienti vicini e dentro le associazioni cattoliche, De Maria si prodigò per la costruzione del nuovo ospedale “Santa Caterina Novella”, inaugurato nel 1966 alla presenza del presidente del Consiglio dei Ministri, Aldo Moro.

La diversità delle culture e delle tradizioni presenti nel popolo italiano, figlie di una frammentazione politica centenaria, portano nella Costituente il dibattito sull’organizzazione delle regioni, inteso come decentramento amministrativo, politico e democratico, l’unico in grado di svecchiare totalmente la struttura sociale italiana, mantenendo in sede centrale il rispetto della sovranità popolare, l’unità politica e morale della nazione, secondo i disegni di Antonio Vallone e di Antonio De Viti De Marco. In tema di decentramento federativo, basti pensare che lo statuto della regione Sicilia era già un fatto compiuto davanti alla Costituente del 1946.

L’organizzazione amministrativa dello Stato italiano è ancora al centro delle propagande elettorali e politiche, dopo 150 anni dalla proclamazione dell’Unità d’Italia, e nonostante il tema sia sempre stato al centro degli interessi di molti, sia nella fase pre-unitaria, ma soprattutto all’indomani del 1861. Lo stesso Antonio De Viti De Marco, professore e scienziato delle finanze, affermava: “Accetto l’idea generale del decentramento e delle autonomie locali” nel senso che “il potere centrale si spogli di molte funzioni, specialmente riguardanti la tutela sulle amministrazioni locali, e quindi assicuri a queste una maggiore indipendenza”. Continuando: “Dal decentramento, come lo intendo, mi aspetto benefici effetti per queste ragioni in materia di lavori pubblici, che finora sono stati affidati allo Stato, e che invece andrebbero in più larga misura affidati agli enti locali e ai consorzj. […] Ma io non voglio sollevare questa questione per fomentare uno spirito separatista. Tutt’alto, io sono unitario”. Il pensiero di De Viti De Marco è la risposta adeguata alle critiche mosse da più parti contro il federalismo, ritenuto incapace di affrontare le questioni meridionali,

La situazione di Galatina nell’Italia post-unitaria

di Tommaso Manzillo

Con la battaglia del Volturno e l’ingresso di Garibaldi a Napoli, il re Francesco II fu costretto alla fuga, ma i galatinesi non mostrarono mai grande entusiasmo per questo passaggio reale, perché le radici filo borboniche, nella nostra città, erano ancora molto profonde.

Ci volle l’intervento del decurione Nicola Bardoscia, affinché il sindaco, Antonio Dolce, indicesse la data degli scrutini il 21 ottobre 1860, presso il Corpo di Guardia dei Vigili Urbani, situato presso la Torre dell’orologio (costruita nel 1861 come simbolo dell’Italia Unita).

L’amministrazione galatinese aveva faticosamente soffocato le manifestazioni d’entusiasmo dovute alla notizia dell’ingresso di Garibaldi a Napoli, mentre pochissimi avevano espresso il loro voto, nonostante gli interventi di Nicola Bardoscia, Fedele Albanese (che fu uno dei primi ad entrare, come giornalista, nella  “breccia di Porta Pia” del 20 settembre 1870, insieme a La Marmora) e Innocenzo Calofilippi.

particolare di palazzo nobiliare nel centro storico di Galatina

 

Per sconfiggere l’inerzia dei galatinesi, determinante rimane l’intervento del medico Nicola Vallone, per richiamare gli elettori alle urne, mentre bivaccavano in piazza San Pietro. Nicola, figlio più giovane di Donato e morto in giovane età, ebbe una brillante carriera di medico e scienziato, spesso lontano dalla sua città: a Napoli, per conseguire la laurea in medicina; a Vienna, entrò in contatto con gli ambienti accademici e culturali approfondendo gli studi professionali e la ricerca e la sperimentazione in una branca importante della scienza medica, ossia l’anatomia patologica; alla Sorbona di Parigi, dove seguì le lezioni di Claude Bernard, considerato tra i più grandi scienziati del tempo; a Berlino dove subì l’influenza delle idee democratiche del suo maestro e deputato parlamentare Rudolf Virchow, uno dei più autorevoli esponenti dell’anatomia patologica. Nicola Vallone rappresentò un modello di cultura politica e un prestigioso referente nelle relazioni sociali, proiettando la famiglia nella politica attiva, grazie anche al forte influsso che subiva dall’ambiente liberale galatinese, nel quale erano influenti le figure di  Pietro Cavoti, Berardino Papadia, Giustiniano Gorgoni e Rosario Siciliani.

Ritornando al 21 ottobre 1860, il voto si esprimeva con l’uso dei legumi, dato l’alto tasso di analfabetizzazione: le fave erano per i sì, mentre i fagioli per il no. Il responso fu di 1257 sì, più 1253 voti favorevoli espressi dai forestieri che stavano a Galatina per il mercato.

Dopo la proclamazione del regno d’Italia (17 marzo 1861), la carta fondamentale o Statuto cui fare riferimento era quello Albertino, varato e concesso al popolo in fretta e in furia nel 1848 da Carlo Alberto di Savoia-Carignano, il quale rimase in vigore, seppur con opportune modifiche, fino al 1846, quando fu adottato un regime costituzionale provvisorio, in attesa

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