di Luigi Corvaglia
Mario Sansone, che, da critico letterario, era uso a guardare in profondità e che, da oriundo proveniente della non lontana piana dauna, poteva vedere Bari con occhi non nativi, ebbe a dire che questa è città “senza ironia e senza malinconia”. Non una critica. Una efficace, fredda, tagliente rasoiata descrittiva. Da oriundo salentino, non riuscirei a trovare maggiore sovrapponibilità fra questa fendente condensazione semantica e quanto, fino alla lettura di questa definizione, percepivo senza sapere esprimere. Un’epifania. Ecco. Questo volevo dire tutte le volte che farneticavo, sotto sguardi sempre più perplessi, di una seriosità ilare che copula con una tristezza rabbiosa. Lo so, non si capisce. Appunto. Sguardo profondo e occhi non nativi servono a vedere, non a descrivere. Sansone mi è venuto in soccorso. Fatto è che questa definizione, nel suo essere il preciso negativo della fotografia della città che nelle Puglie è il contraltare storico del capoluogo regionale, cioè Lecce, mi permette di riflettere sulle differenze profonde tra i territori di cui le due città sono riferimenti storici e amministrativi.
Lecce la sapevo descrivere molto bene anche prima di conoscere il giudizio di Sansone su Bari. La città salentina è luogo di straripante ironia e sottile malinconia. E’ riflettendo su questo che diviene immediatamente comprensibile, al di là di lingue e campanili, al di là di ripicche storiche e calcistiche, di orgogli snobistici e fierezze mercantili, la lontananza incolmabile fra Puglia e Salento. Non di distanza culturale trattasi, bensì di contrapposizione psicologica.
Questo un “forestiero” non lo capirà mai. Non capirà che la