Libri| Tra fede e tradizione. Le Confraternite della diocesi di Nardò-Gallipoli. Un volume, tanta Storia

di Nunzia Piccinno

 

La recente novità editoriale Tra fede e tradizione. Le Confraternite della diocesi di Nardò-Gallipoli, a cura di Marcello Gabalo e Fabio Cavallo, è stata pubblicata per i tipi della Claudio Grenzi Editore (ottobrel 2023).

L’opera consta di 645 pagine, cartonata, con sovraccoperta a colori,che riproduce  sul fronte il particolare di una tela, del pittore neritino Donato Antonio D’Orlando (1562/ 1636), raffigurante l’Allegoria del Sangue e del Corpo di Cristo (inizi XVII sec.), conservata nella chiesa matrice di Seclì. Vi compaiono i confratelli incappucciati dell’antica confraternita del Sacramento, i quali, preceduti da un portacroce, sono prostrati in adorazione di Gesù che versa il proprio sangue in un calice sorretto da un angelo. L’abito dei confratelli presenta l’emblema del sodalizio, con il calice e l’ostia.

La scelta di questa immagine esprime in maniera appropriata quanto è contenuto nel poderoso volume, che si apre con il contributo di quattro presentazioni, a firma di importanti figure diocesane (in primis il Vescovo della diocesi di Nardò- Gallipoli, Mons. Fernando Filograna, seguito da Mons. Giuliano Santantonio Vicario generale della diocesi, e Don Giuseppe Casciaro, Assistente spirituale diocesano delle Confraternite). L’Introduzione è a cura di Luigi Nocita, direttore dell’Ufficio Diocesano delle Confraternite.

Il Vescovo esordisce citando un brano dell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium (nn. 123-126), laddove Papa Francesco sottolinea che la fede incarnata in una cultura trova le sue modalità di trasmissione nelle diverse forme di pietà popolare. Una di queste è quella che si ritrova nella storia delle Confraternite. Il presule elogia il lavoro svolto dai curatori dell’opera, con l’ausilio dei Priori e di vari studiosi, grazie ai quali è venuta alla luce la presente pubblicazione.

L’augurio è quello che anche oggi, epoca caratterizzata da innumerevoli sfide, le Confraternite possano svolgere il prezioso ruolo di “scuole di fede popolare, fucine di santità […]” e sappiano “rispondere”, attraverso un cammino sinodale e missionario, “ai bisogni e alle urgenze del nostro tempo”.

Nel suo intervento Mons. Giuliano Santantonio fa notare come il volume presenti una panoramica del fenomeno confraternale, che pone al centro realtà che non avevano ancora goduto delle “luci della ribalta”. Egli, tuttavia, non esclude il rischio di un inesorabile declino dovuto a pratiche percepite come obsolete e ripetitive, ragion per cui ritiene che vadano recuperate le basilari istanze spirituali e sociali che ne costituiscono la genesi.

Don Giuseppe Casciaro, nel congratularsi per il lavoro svolto, rammenta il percorso pastorale della Chiesa Diocesana a partire dall’insediamento nella sede episcopale diocesana di S. E. Mons. Fernando Filograna.

Il Diacono Prof. Luigi Nocita, denota come numerosi confratelli avvertissero da tempo l’esigenza di conoscere l’origine della propria istituzione e gli sviluppi successivi, pienamente soddisfatti con i testi che si susseguono. L’opera difatti consente di cogliere con uno sguardo d’insieme le varie realtà confraternali della diocesi, quasi sempre differenti nelle tradizioni e nel carisma.

Marco Carratta propone due illuminanti saggi introduttivi. Il primo, Per una storia del fenomeno confraternale, contiene i dati storici relativi a numerose Confraternite, le quali risultano attive già nell’Alto Medioevo, divenendo una componente fondamentale della società nel XIII secolo. Esse sorgono per iniziativa di singoli o sospinte da vari ordini religiosi, i quali, come interpreti delle inquietudini presenti nel popolo dei fedeli, si adoperano per arginare fratture emergenti nel rapporto tra Chiesa e laicato pio. E’ attraverso di esse che nel XVII secolo vengono promossi gli ideali post-tridentini, atti a combattere la Riforma Protestante (Scisma occidentale). Le confraternite hanno svolto attività di assistenza reciproca, di apostolato, invogliando i propri adepti ad atti di devozione e aderenza alla liturgia. Compito del Vescovo era di vigilare su tali organizzazioni laicali, la cui stagione più proficua è quella del secolo XVII. In seguito varie riforme secolari riducono la loro sfera di azione.

Nel secondo saggio, I rapporti tra le istituzioni secolari e confraternite durante il regime borbonico. L’esempio della Confraternita dell’Annunziata e del Carmine di Nardò, Carratta indaga i rapporti tra istituzioni secolari e Confraternite, registrandosi in questo periodo una maggiore incidenza dell’azione del potere politico.

In seguito il libro passa in rassegna le diverse Confraternite (59), trattate singolarmente con propria scheda, raggruppate in ordine alfabetico per ognuno dei Comuni della Diocesi. Si parte da Alezio per finire con Tuglie. Risaltano per ovvi motivi di consistenza numericica le realtà confraternali di Gallipoli e Nardò, i cui sodalizi occupano buona parte delle schede riportate.

Di ogni Comune la prima parte è dedicata alle confraternite tuttora esistenti, le quali vengono descritte a partire dall’anno della fondazione, con il relativo Statuto, le regole adottate, le principali opere artistiche di cui sono in posseso, l’abito usato nelle cerimonie religiose, il gonfalone. Alla fine di ogni scheda viene riportata la composizione dell’attuale Consiglio, in cui vengono elencati il nome del Priore, degli assistenti, dei consiglieri e delle altre cariche sociali, del Padre spirituale, con il numero totale degli iscritti, distinti per sesso (i dati sono aggiornati all’anno 2022).

Il ricco apparato iconografico, in buona parte realizzato da Lino Rosponi, si avvale di numerosi altri fotografi, e attira l’attenzione del lettore per i molteplici aspetti che in buona parte erano sconosciuti o comunque poco noti.

Un vero e proprio repertorio storico d’insieme, supportato dalle ricerche dei tanti studiosi che firmano le schede, molti dei quali priori delle stesse. Senz’altro apprezzabile la completa bibliografia e le fonti di archivio riportate a fine scheda,  utili per chi intende approfondire le tante realtà. Anche i rimandi alle varie opere d’arte commissionate dalle Confraternite si rivelano importanti, aprendo nuovi campi di ricerca.

Con questo volume la storia delle varie confraternite della diocesi di Nardò-Gallipoli, non sarà più un segreto. Ne risulta un testo basilare per chiunque voglia  studiare o soltanto conoscere il mondo confraternale diocesano.

Da segnalare nel ricco apparato iconografico frontespizi di libri confraternali, documenti manoscritti, incisioni, tele, statue, tabernacoli, altari, reliquiari, bastoni di priori, stendardi, tabelle di legno, tronetti eucaristici, ostensori, scapolari, abiti devozionali, repositori. Interessanti anche le foto di processioni e di confratelli, di alcune pratiche di pietà, tant che difficilmente se ne potrebbe rinvenire l’eguale.

Nel volume trovano posto anche le Confraternite ormai estinte, anche queste trattate con altrettanta cura e con ampia documentazione. Si ricava, ad esempio, che due paesi della diocesi (Seclì e Copertino) oggi risultano sprovvisti di queste realtà. Ciò dispiace soprattutto per la città che ha dato i natali al santo dei voli e che un tempo era provvista di numerose Confraternite.

Ma sono tanti gli approfondimenti, tra i quali l’antichissima Confraternita della Misericordia di Nardò, anche questa estinta. Alle “Misericordie” attuali, di recente istituzione ed operanti in alcuni Comuni della Diocesi, è dedicato un apposito capitolo.

In conclusione viene offerta la visione panoramica delle antiche e attuali confraternite, con interesanti statistiche che mostrano i dati riassuntivi e globali relativi al numero degli iscritti, distinti per sesso.

Finalmente, chiunque vorrà informarsi su una qualsiasi confraternita diocesana, avrà a disposizione il testo adatto, indispensabile per ogni membro delle confraternite, per il clero e per gli studiosi della materia.

Libri| La sacrestia di S. Giovanni Battista in Parabita: Il simbolismo nei dipinti

 

 

Il volume di recente pubblicazione: La sacrestia di S. Giovanni Battista in Parabita: Il simbolismo nei dipinti di Annunziata Piccinno[1], che si avvale della presentazione del parroco della stessa chiesa, don Santino Bove Balestra, offre una lettura archetipico-simbolica e storico-letteraria dei dipinti settecenteschi che decorano la volta della sacrestia della chiesa parrocchiale dedicata a San Giovanni Battista, collocata nel cuore della città di Parabita.

Il tema trattato costituisce una sorta di guida-base, per un ulteriore approfondimento, che seguirà parallelamente all’opera di restauro conservativo dell’edificio sacro, alla quale anche i preziosi e suggestivi dipinti saranno, a breve, sottoposti.

Il prezioso sussidio è utile a interpretare la simbologia della decorazione pittorica della piccola sacrestia: un’aula di forma rettangolare alla quale si accede dalla porta posta a nord, entrando dalla chiesa. La volta, le lunette e le vele di questo locale sono arricchite da dipinti in stile baroccheggiante. La volta a padiglione a schifo lunettata mette in evidenza il dipinto raffigurante lo stemma di mon. Orazio Fortunato, collocato al centro e contenuto in una cornice rettangolare. Tutto intorno vi sono elementi vegetali, floreali e putti che l’autrice suddivide in 8 gruppi distinti.

Al di sotto della volta in piccole vele sono raffigurati dei putti accanto ad animali ed elementi vegetali. In otto lunette sono effigiate otto marine salentine, delle quali una rimane ignota, caratterizzata solo da una torre costiera.

Ammirare le decorazioni della volta della sacrestia parabitana è emozionate, in quanto tutto quello che passa sotto lo sguardo dell’osservatore suscita molteplici interrogativi. Siamo al centro di una volta in stile barocco veramente singolare, in cui putti in varie pose si susseguono mostrando vari simboli sotto forma di animali, frutta, fiori e ortaggi, tanto da far sussultare e interrogare lo spettatore sul loro effettivo significato. Sono elementi posti lì casualmente oppure essi sono emblema di un qualcosa di “altro” che, ormai lontano nel tempo, oggi riusciamo difficilmente a decifrare?
L’autrice, attraverso lo studio di testi antichi, ne analizza le molteplici simbologie. Appare evidente che il frescante abbia voluto omaggiare il vescovo del tempo: mons. Orazio Fortunato, cui si rifanno anche le otto marine, inserite nelle lunette.

Solo un’attenta lettura del testo permette di valorizzare questi dipinti, per la maggior parte degli studiosi e degli stessi salentini ancora sconosciuti.

 

 

[1] Annunziata Piccinno nata ad Aradeo (LE), laurea in Lettere Moderne (1999)- Università di Lecce; Laurea Triennale e Magistrale in Scienze Religiose, presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Lecce. È autrice di: Gli Altari del ‘600-‘700 a Nardò, in Nardò NostraStudi in memoria di don Salvatore Leonardo, Congedo, 2000; Tra etnologia e folclore in Carmine diario di un emigrante a c. di A. Piccinno, Manduria, 2013; Cuore mente attesa speranza. La Parola di Dio negli scritti biblico pastorali di don Giuseppe Sacino (2018) e Viaggio nell’antica diocesi di Nardò: Gli altari dal XVII al XVIII secolo (2021).

 

Libri| Viaggio nell’antica diocesi di Nardò

A. Piccinno, Viaggio nell’antica diocesi di Nardò. Gli altari dal VII al VIII secolo, Amazon, 2021

 

Il libro di Annunziata Piccinno, Viaggio nell’Antica Diocesi di Nardò: Gli altari dal XVII al XVIII secolo, merita alcune precisazioni[1]. Il termine ‘viaggio’ che introduce il volume è inteso sia come metafora della vita sia come viaggio reale. Esso ci porta a conoscere il mondo circostante, in questo caso quello degli altari, attraverso gli innumerevoli significati che nel tempo sono stati ad essi attribuiti. Oggi la parola ‘viaggio’, a causa della pandemia che ci ha costretti a rimanere in casa per un lungo periodo, è divenuta quasi un ossimoro.

Lo studio, inoltre, proprio come in un viaggio ‘reale’, ha il suo punto di ‘partenza’ nella Tesi di Laurea dell’Autrice[2], e il punto di arrivo nella presente pubblicazione, aggiornata e arricchita da ulteriori approfondimenti e scoperte che i recenti restauri hanno messo in luce.

Vincenzo Cazzato in una sua pubblicazione ha definito gli altari un “mondo in miniatura” in cui scultura, architettura e pittura si fondono insieme e parlano il linguaggio dell’arte in modo eloquente.

L’ingiuria del tempo e l’incuria dell’uomo hanno causato dei terribili ‘vuoti’ nella ‘traduzione’ delle simbologie contenute nei vari altari, i quali spesso sono stati oggetto di spostamento, oppure di manomissioni che hanno provocato come risultato: statue divelte, tele spostate, ecc. Ciò che un tempo costituiva il ‘significante’ dell’opera in esame, venendo meno la parte mancante, annulla parzialmente o totalmente il relativo significato. Ciò costituisce una grave perdita per l’arte sacra del periodo in esame, in quanto viene meno, per noi posteri, quella ‘Bibbia dei poveri’ che, attraverso le immagini, insegnava i contenuti del Testo Sacro ad un popolo per la maggior parte analfabeta, incrementando in esso lo stupore e la devozione verso i santi e la Chiesa.

Il saggio prende in esame gli altari più rappresentativi dell’antica Diocesi di Nardò, intesa come quella parte del territorio strettamente appartenente ad essa, nell’epoca in cui gli altari sono stati originariamente realizzati (XVII-XVIII sec.). Risultano esclusi quei centri che sono stati aggiunti in seguito all’unificazione della Diocesi in esame con quella di Gallipoli (30 settembre 1986[3]).

E’ bene sottolineare, inoltre, che la città di Nardò è antica sede abbaziale. Diverrà sede episcopale nel 1387 ad opera dell’Antipapa Clemente VII e in seguito sarà confermata nel 1413 dall’Antipapa Giovanni XXIII[4].

Questa antica sede episcopale, alle sue origini, comprendeva ben 24 luoghi tra comuni, casali, feudi e parrocchie rurali.

I paesi in cui sono rimasti esemplari di altari del periodo in esame sono i seguenti: Nardò, Copertino, Galatone, Parabita, Matino, Casarano, Taviano, Alliste, Felline, Racale, Melissano, Seclì, Aradeo e Noha.

Gli altari sono esaminati da un punto di vista strettamente architettonico e scultoreo.

 

———————–

[1] Parte di questa ricerca è stata pubblicata in Nardò nostra. Studi in memoria di don Salvatore Leonardo, a c. di GABALLO M., DE CUPERTINIS G., Galatina, Congedo editore, 2000.

[2] PICCINNO A., Gli altari dal ‘600 al ‘700 nella Diocesi di Nardò, Università degli Studi di Lecce, Facoltà di Lettere e Filosofia, a. a. 1997-1998, Relatore Lucio Galante.

[3] In seguito al Decreto Instantibus votis della Congregazione dei Vescovi (cfr. https://www.diocesinardogallipoli.it/diocesi-nardo-gallipoli/storia/due-citta-una-diocesi/).

[4] Cfr. CENTONZE C. G., DE LORENZIS A., CAPUTO N., Visite Pastorali in diocesi di Nardò- (1452-1501) a c. di VETERE B., Galatina, Congedo editore, 1988, p. 11. La Diocesi fu soggetta immediatamente alla Sede Apostolica (Cronotassi, Iconografia ed Araldica dell’Episcopato Pugliese, Bari, Regione Puglia, 1984, p. 245).

Seclì. La chiesetta della Madonna di Luna

La chiesetta della Madonna di Luna

Uno scempio storico-artistico tra Seclì, Galatone e Aradeo

 

di Annunziata Piccinno

 

Nelle campagne salentine sono disseminate le cappelle e le edicole votive; di alcune di queste spesso si ignora l’esistenza o le radici storiche, altre invece sono conosciute e frequentate, altre ancora, sebbene si conoscano le radici storiche e l’importanza che hanno avuto anche in un recente passato, sono abbandonate a se stesse in uno stato di precaria conservazione. La grande quantità di testimonianze del passato, se da un lato ci riempie di orgoglio, dall’altro ci pone di fronte a delle responsabilità nel custodire questa grande mole di opere che i nostri avi hanno saputo realizzare.

Il nostro presente non può esistere senza il passato, e noi abbiamo il dovere di conservare e tutelare ciò che abbiamo ricevuto per trasmetterlo alle nuove generazioni.

In un saggio del 1997 il sovrintendente ai beni culturali, Giovanni Giangreco, denunciava il senso di impotenza ad operare per ragioni magari comprensibili, come la carenza di risorse, ma che non cancellano la nostra responsabilità storica. E scriveva:«Che fare? Questa domanda diventa sempre più pressante col passare degli anni perché le nuove generazioni incalzano […] Bisogna allora individuare la causa di tale impotenza e, se le leggi non aiutano, bisogna adoperarsi con la cultura e con la fantasia per tentare strade nuove che portano alla risoluzione di questi problemi»[1].

Problemi che si ripropongono ogni qual volta veniamo a conoscenza o constatiamo direttamente il degrado in cui certi monumenti sono caduti, nonostante la ricerca storica e il vincolo. Un caso esplicito è la piccola chiesa rurale della Madonna di Luna, in agro di Seclì.

facciata principale (ph A. Piccinno)

Abbandonata a se stessa versa in uno stato di deplorevole degrado, ridotta quasi a un rudere; riconoscibile a malapena da chi ne ricordasse le primigenie sembianze, non tanto per il logorio dei secoli, ma soprattutto per l’incuria e il vandalismo cui è stata soggetta in questi ultimi anni[2].

La storia della chiesa la conosciamo attraverso le ricerche del sacerdote Sebastiano Fattizzo, pubblicate nel suo volume sul Crocifisso di Galatone[3] e in seguito riproposte in un saggio edito dal Comune di Seclì[4].

Sulla scia delle ricerche del sacerdote galateo, è facile tracciare brevemente le vicende della chiesetta, a partire dall’inusuale intitolazione alla Madonna di Luna.

Probabilmente nell’area dell’attuale edificio esisteva un sacello già in epoca pagana. Il titolo dunque deriverebbe da un luogo di culto dedicato alla dea Luna, consacrato alla Vergine una volta scomparso il paganesimo. Ecco perché la festa della titolare, fino a pochi decenni addietro, veniva ancora celebrata alla fine di agosto o ai primi di settembre, in prossimità della luna piena. Nei pressi della chiesetta, del resto, vi era un grosso macigno in pietra viva, chiamato pietra di luna, posto sul ciglio di un quadrivio campestre e poi gettato nel fondo della cava, ormai esaurita, della Masseria Gentiluono. Sarebbe una reliquia dell’antico tempio pagano, o addirittura un resto dell’ara su cui si immolavano sacrifici alla dea.

Sta di fatto che la fantasia popolare dei galatei non disdegnò di imbastire leggende su quello strano cimelio. Così recita una strofa dialettale, che l’ignoto scopritore della pietra avrebbe trovato incisa sul retro, dopo averla rivoltata:Iata a ci mi ota!

E mò ca m’ha bbutàta

M’aggiu totta ddiffriscàta.

Òtame e sbòtame ‘n’addha fiata.

che si traduce così:

Beato chi mi volta!

E ora che mi hai voltata

mi sono tutta rinfrescata.

Voltami e rivoltami di nuovo.

La chiesa, come accennato in precedenza, è sita nei limiti di feudo tra Seclì (appartiene territorialmente a questo comune), Aradeo e Galatone.

prospetto laterale

L’originaria costruzione è di indubbia antichità, anche se ricostruita ed ampliata nel corso degli anni. La chiesa, nell’Inventario dei Beneficji Ecclesiastici di Galatone, redatto nel 1678, appare esistente dal 1657. Ivi si apprende che, in quella data, tal Francesco Buia ristrutturò un’antica cappella preesistente, la ampliò e la dedicò, per una sua particolare devozione, alla Madonna di Costantinopoli; il popolo, però, continuò a chiamare la chiesa con il suo vecchio nome di “Madonna di Luna” e così fino ad oggi.

La chiesetta, sollevata sul piano stradale di circa un metro e mezzo, è a due vani con volta a botte. Nel vano rettangolare, addossato al muro, vi era un altare sormontato dall’affresco della Madonna con in braccio Gesù Bambino. Era dotata degli arredi sacri e di una pregevole acquasantiera. Sul fronte dell’edificio, affacciato sulla strada principale, vi era (e oggi se ne può vedere solo una parte) un piccolo campanile a vela con una campana. Questo fino ad una ventina d’anni fa.

Un campanello di allarme sullo stato del monumento trillava già in un articolo del 1989 dove, tramite un altro scritto di Sebastiano Fattizzo, si denunziavano le pessime condizioni dell’affresco e la necessità di provvedere alla custodia della chiesa:

«[…] l’affresco […] è circondato da una magnifica cornice di pietra scolpita: se non si provvederà quanto prima a riparare il guasto, qualche piromane brucerà i vecchi scanni rimasti dentro la chiesa… ed altri sfonderà l’altare e il pavimento… ed in questo modo tutto sarà sfasciato…».

Profezia che purtroppo si è avverata!

Il monumento, sottoposto dalla Soprintendenza a vincolo di tutela con declaratoria del 19-08-1987, è beneficio dell’Insigne Collegiata di Maria SS.ma Assunta di Galatone. Per tale motivo i canonici galatei avevano l’obbligo di celebrarvi un certo numero di messe e di impegnarsi nella manutenzione e conservazione del monumento. Oggi, messo da parte tale obbligo morale, la chiesa è quasi del tutto inesistente se non per le mura, anch’esse percorse da numerose e profonde crepe. Soggetta a furti ripetuti, da quanto ho potuto personalmente appurare, dell’antico corredo la chiesa non conserva nulla. Durante un mio sopralluogo nel 2001 notai che l’altare era stato asportato e mancava l’acquasantiera. L’affresco della Vergine, picconato giù dalla parete, era a terra, fatto a pezzi, ridotto a un cumulo di frammenti informi; coperti da strati di polvere e calce, si potevano riconoscere come tessere di un mosaico il manto azzurro della Vergine, i piedi del Bambino e altri particolari[5]. Ora neppure questo. È lo scempio più totale! È addirittura arduo e pericoloso poterci entrare, giacché l’architrave è lesionata, così come la volta, e a terra vi sono pietre disseminate dappertutto. Uno scheletro che a malapena si mantiene in piedi, così è disgraziatamente ridotta la chiesetta.

Intanto, a braccia conserte, si resta a guardare. Che ne sarà di Luna? Ai posteri l’ardua sentenza.


[1] G. Giangreco, La Chiesa di S. Angelo De Salute in Galatone o l’eredità culturale del passato, in L’oro di Galatone, Lecce 1997, 135.

[2] Cf M. Grasso, Li petre ti luna, in «Il giornale di Galatone», 29 (2000), 11.

[3] S. Fattizzo, Il Crocifisso di Galatone, Galatina 1982, 484-492.

[4] S. Fattizzo, La leggenda della pietra di luna, in Seclì. Almanacco di storia arte e società 2003-2004, a cura di V. Zacchino, Galatina 2003, 105-113.

[5] A. Piccinno, La Chiesa di “Madonna di Luna”nella Visita Pastorale di Mons. Antonio Sanfelice del 1719, in «Piazza San Paolo, periodico di Seclì», 4 (2001), 9.

 

pubblicato su Spicilegia Sallentina n°6

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