Il “Comunichino” della chiesa di Santa Teresa di Gallipoli alla luce di nuovi documenti
di Antonio Faita
Nell’ottobre del 1992, fu pubblicato il libro “Il Monastero delle Carmelitane scalze di Gallipoli”, edito dalla Tiemme di Manduria (TA) e scritto, all’epoca, dalla laureanda insegnante Carmela Casole[1].
Un lavoro paziente e appassionato, in cui la Casole ricostruisce storicamente, sia la realizzazione del monastero e chiesa, voluta dalla costante tenacia del suo fondatore, il vescovo Mons. Antonio Perez, che la vita claustrale, di preghiera e contemplazione delle figlie di Santa Teresa d’Avila. Il tutto, attraverso un’attenta lettura dei documenti archivistici, ma soprattutto di quelli inediti conservati da trecento anni nel monastero[2] delle Carmelitane scalze.
Dalla lettura di questo lavoro ho estrapolato alcuni passaggi interessanti che mi hanno consentito di approfondire alcuni aggiornamenti su determinati aspetti:
Il 30 luglio 1700 si insediò a Gallipoli, proveniente da Napoli, il Teatino Mons. Oronzo Filomarini succedendo a Mons. Perez, la cui morte avvenne il 14 gennaio 1700, lasciando un dolore inimmaginabile per le Carmelitane e per tutti coloro che lo conobbero[3]. Nel verbale redatto durante la Visita Pastorale del 1714 Mons. Filomarini ci descrive minuziosamente il complesso monastico e la chiesa che, dalla costruzione (1687) fino al loro completamento (1690), non subirono molti cambiamenti, per cui la descrizione riportata dalla Casole sul suo libro, è anche quella dell’attuale sistemazione[4].
La chiesa è dominata dal barocco degli altari, un esempio significativo, se non unico, in cui la tenerezza della pietra leccese ha certamente costituito un invito all’esuberanza della decorazione, consentendo nello stesso tempo un linguaggio assai ricco di motivi. Da un accostamento con altri altari in alcune chiese di