Libri/ Stagioni mediane (Pensieri multipli lungo una litoranea salentina)

Da Marina Serra a Leuca

alla ricerca dell’io perduto

di Francesco Greco

Frammenti di un’identità mediterranea lacerata, sparsi nell’aria untuosa di scirocco. Il puzzle della memoria magno-greca scomposto in mille tessere.

Nel mezzo del cammin di nostra vita, nella “terra di mezzo” dove la tramontana sagoma i fianchi delle montagne albanesi e svela l’isola greca di Fanos. Fra mediani di spinta, oscuri e faticatori, e politici mediani, parassiti attaccati all’auto blu e a tutti i benefit castali impudici più che mai, retaggio di un feudalesimo destrutturato.

Nella bufera di una recessione globale, che dal 2009 riscrive i confini del mondo e l’animo degli uomini, oltre alla loro quotidianità, la lettura del reale di un imprenditore di successo incuriosisce, intriga la sua password. La offre Alfredo De Giuseppe in “Stagioni mediane” (Pensieri multipli lungo una litoranea salentina), Minuto d’Arco editore, Tricase, pp. 130, € 10.

E dunque, sebbene la giovinezza pare infinita – almeno per bamboccioni e sfigati – giunge il giorno di un bilancio, pubblico e privato.

E se il viaggio più faticoso è quello che si compie dentro se stessi, quando ci si avventura nel sottosuolo, il labirinto, gli inferi danteschi, l’inconscio, se con lo stupore del bambino in noi si riesce a portare in superficie un diario di bordo disincantato e folle, comporre un affresco dai colori schizzati come nell’action painting (quelli che vediamo sulle fiancate delle littorine quando scivolano felpate fra ulivi e muri a secco), allora la mission è compiuta.

De Giuseppe si mette in discussione. Non ha formule alchemiche particolari da offrire, è la sua sensibilità di artista a tutto tondo che gli consente di penetrare nella “selva oscura”, il suo navigare in mare aperto, pronto a tutte le contaminazioni possibili: politiche, esistenziali, estetiche, e comunque a porre in chiave dialettica i postulati della sua formazione culturale. Ne esce un libro ricco di spunti e di poesia, di pensieri e di input. Vagando in luoghi particolari (i locali fra Marina Serra e Leuca tra maggio e giugno, quando si preparano alla nuova stagione), e sintonizzandosi con la loro “anima” segreta, lo scrittore (che ha dato prova di sé anche come poeta e cineasta) riesce a cogliere e dilatare gli echi dei suoi passi nudi.

Le pennellate sociologhe e antropologiche sono rapide quanto sapide, l’occhio e l’orecchio attenti. E dove noi vediamo un cameriere annoiato, sottopagato, lo scrittore intravede storie, osserva i tic di tipi curiosi, i loro destini piegati amari, i sogni infranti, le contaminazioni (l’uomo del Nord che apre un locale fra Torre Nasparo e Scalamasciu, scala di maggio, il “Blu Pub”). In certi passaggi riecheggia la pietas dolente di Ettore Mo nel suk di Kabul o ai bordi delle risaie di Saigon, in altri il furore iconoclasta di Pasolini (“Noi siamo dei privilegiati… Quelle popolazioni non volevano continuare ad accettare la sottomissione della povertà”, “Le religioni tendevano ad ostacolare qualsiasi scoperta che mettesse in discussione i dogmi della loro fede”, “…dopo il 1989 la nuova storia dell’umanità era già scritta: bastava saperla leggere”). Ma anche l’Arbasino che nel suo “viaggio” anni Settanta colse l’Italia in rapida trasformazione (e il Salento oggi lo è), come il Piovene che nel dopoguerra scannerizzò un paese ricco d’inconsapevole bellezza, di passato e di umanità, che poi sarebbe sfociato nel “fantastico trentennio”.

A “Lido Piscina” (invenzione di un disoccupato che per non emigrare si incuneò fra gli scogli morbidi), col “mare a due metri, la luna davanti e nessuno intorno (…). Puoi stare qualche minuto a sentire la risacca… amplificando oltremodo i tuoi pensieri atei (…). Senti nell’attimo di una risacca ripetuta di aver compreso il tuo tempo, quello che verrà e quello che potrebbe essere”. Curioso lo scontro fra vecchio e nuovo: una presentatrice tv ha scambiato la Serra per l’Eden e porta in tribunale i ragazzi che al “Jamao” tirano tardi nelle sere d’estate ascoltando musica. Ovviamente perde. Bello lo sdoganamento del termine “mediano”, che forse lo scrittore proietta su se stesso: lavoro tanto, anche per gli altri, gloria poca. Furino (Juventus) e Lodetti (Milan), Pelagalli (Atalanta) e Gregori (Bologna), Bedin (Inter) e Mascetti (Verona).

E’ poco il vetriolo sui politici mediani: “topolini della casta, che ottengono privilegi per loro e la ristretta cerchia di amici e famigliari… figli del monopolio televisivo… l’immagine conta molto, ancora più lo stravolgimento del significato delle parole”.

Ma dove il libro ha uno scarto lirico è nel diario parallelo della ragazza bolognese, che lavora, e guadagna bene, nella pubblicità, che sugli stessi topoi dello scrittore passa vacanze solitarie: la sua vita è ferma in una palude, cerca qualcosa, forse un uomo che valga la pena, forse ha fretta di diventare madre: “Sarei ancora in grado di essere moglie e poi mamma?”, “Forse sono qui a cercare qualcosa che ancora non so, indefinito totem della mia personale felicità”. Come noi aborigeni, del resto…

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