di Paolo Vincenti
In un tardo pomeriggio infrasettimanale, è bello staccare prima dal lavoro e andare per paesi salentini, inseguendo il bisogno intimo di evadere dalle solite e asfittiche stanze di un ufficio per troppo tempo frequentato e respirare un po’ di aria pura, fresca, come pura e fresca è la cultura che sempre si rinnova e dona ampi e piacevoli squarci di sereno, come appunto un soleggiato meriggio, in un orizzonte in cui si addensano nubi minacciose.
Sono a Galatina, nella bellissima piazza centrale, sulla quale domina la chiesa di San Pietro e San Paolo, che a me evoca tante passeggiate fra le bancarelle e le luminarie, fatte negli anni dell’infanzia insieme alla mia famiglia o ad alcuni parenti, in occasione della festa dei Santi Pietro e Paolo ( che, nella vulgata diventano uno solo, “San Pietro e Paolo”, tanto forte, forse, è l’osmosi nella devozione popolare fra le due figure), santi per me onomastici, il 29 giugno.
Erano quelle, ricordo, le occasioni per assistere anche allo spettacolo, per noi surreale e incomprensibile all’epoca, delle ultime tarantate – si era sul finire degli anni Settanta – e delle loro contorsioni, nel centro della piazza e davanti o dentro la cappelletta di San Paolo. Incontro Gianluca Virgilio, insegnante e scrittore. Seduti al tavolino di un bar della piazza, accanto al noto bistrot “Il covo della taranta” (che mi ricorda piacevoli serate estive trascorse in deliziosa compagnia), ci scambiamo i nostri ultimi lavori editoriali. Gianluca