Prigioniero numero 50860
di Gianni Ferraris
Dopo l’8 settembre, i militari italiani che non aderirono alla Repubblica di Salò, subirono un’offensiva di dimensioni enormi da parte dei nazisti. Ricordiamo, su tutti, i massacri dei prigionieri di Cefalonia, dell’Egeo, di Corfù, dell’Albania. Oltre che di molti altri episodi in Italia e fuori. E sono stati oltre 600.000 i soldati italiani deportati ed internati nei campi di concentramento e di lavoro in Germania. A Hitler mancava mano d’opera per costruire armamenti per “l’offensiva finale” . Già erano utilizzati molti russi, e prigionieri civili e militari di altre nazionalità, ma ancora non era sufficiente. Non è un caso se Goebbels definì l’armistizio dell’Italia “un grande affare per la Germania”.
Per facilitare il tutto, venne scavalcata anche la convenzione di Ginevra con un semplice cambio di denominazione. I militari italiani si trasformarono da “prigionieri di guerra” in IMI (Internati Militari Italiani). Questo consentì di utilizzarli come forza lavoro, ma soprattutto di non riconoscere il governo Badoglio per il quale i militari internati combattevano la loro guerra contro i nazisti. E provocò anche una vera e propria carneficina. Non avendo lo scudo della convenzione, la Croce Rossa Internazionale non potè intervenire in alcun modo. Non a caso la mortalità per stenti, fame, freddo, fu superiore di molto a quella dei “normali” militari internati. Si parla addirittura di quattro volte rispetto a quella dei prigionieri francesi nella stessa situazione, ma protetti dalla convenzione, per fare un