di Francesco Frisullo* – Paolo Vincenti**
La nascita della monarchia assoluta e nazionale in Francia alla fine del Cinquecento non poteva più ammettere l’esistenza di limitazioni del potere sovrano da parte di un monarca straniero, quale di fatto era il Papa, né forme di libero pensiero. È in questo frangente storico che si sviluppano le vicende che affronteremo. Tra i tanti personaggi che emergono dalla storia dell’“execrable” Vanini, ci soffermiamo sul salentino Andrea de Lizza, abate, vissuto come cappellano e musicista alle corte francese dal 1608 al 1617. Nella bibliografia vaniniana, il suo nome viene citato per primo da Bozzi[1], che riprende René Pintard[2]. Ma su de Lizza, a parte Tabacchi, che lo definisce uno dei confidenti di Leonora Dori Galigai[3], non vi è in Italia alcuna fonte. Invece è tutt’altro che sconosciuto alla storiografia francese, sia pure non per suoi meriti diretti ma per aver fatto la sua comparsa in quel cruciale momento di passaggio in Francia che segna la fine della reggenza di Maria de Medici, “sovrana sapientissima e di fama imperitura”[4], e l’ascesa al trono di Luigi XIII, in una fase caratterizzata da un diffuso sentimento anti-italiano che già covava sotto la cenere dai tempi della regina Caterina de Medici[5]. I coyons, come i parigini battezzarono gli esponenti della schiera italiana già ai tempi della regina Caterina, si erano abbattuti sulla Francia come un nugolo di uccelli rapaci[6]. Ma il coyon per antonomasia è Concino Concini, al cui cadavere, per estremo dileggio, il 26 aprile 1617, come scrive il Nunzio Apostolico Bentivoglio, “furono portate in alto per vari luoghi le parti pubende spiccate dal busto, con parole indegnissime contro la fama della Regina”[7]. Concini divennne l’emblema del parvenu e “raccolse su di sè la violenza dell’odio anti-italiano nella fase terminale della reggenza”[8]. Scrive il nunzio Bentivoglio il 14 febbraio 1617: “Certa cosa è che, a giudizzio [sic] di tutti, la violenza D’Ancre non può durare”[9].
Le due regine italiane portano in dote in Francia il Rinascimento italiano con la sua componente magico-filosofica e il pensiero politico di Machiavelli. Gli italiani infatti vengono percepiti come papisti ma anche come “machiavellisti” e libertini[10]. Una simile percezione sugli italiani nasce e si sviluppa soprattutto dopo la strage di San Bartolomeo (1572) e il regicidio di Enrico IV (14 maggio 1610) e, come è prevedibile nella pubblicistica di matrice ugonotta, s’imputa a Caterina de Medici la responsabilità di tutto e si sottolinea l’origine straniera de “la figlia di Machiavelli”, come la definisce Jean Orieux[11]. Al di là di ogni sciovinistica interpretazione, è un fatto storico ben noto anche alle fonti italiane d’epoca che in Francia si assiste a una rapida ascesa della comunità italiana, il che alimenta il risentimento dei francesi esternato attraverso una notevole produzione libellistica. Scrive nel 1575 François Hotman: “Tutte le tasse, i dazi doganali, sono nelle mani dei pubblicani italiani. Tutta Lione è piena di pubblicani italiani, a Parigi tutti gli episcopati e tutte le abbazie sono in mano degli italiani, essi stessi succhiano il sangue e il midollo del miserabile popolo franco-francese […]. Chi sono oggi coloro che impediscono la pace in Francia con le loro menzogne e le loro invenzioni sofisticate?”[12].
Il risentimento, aumentato dopo il regicidio di Enrico IV (1610), accresce il malcontento popolare e porta alla convocazione degli Stati Generali il 26 ottobre 1614[13]. Concini, marito di Leonora Dori Galigai, sorella di latte di Maria de Medici, raggiunge il vertice del successo quando nel 1610 acquista il Marchesato d’Ancre per 450000 livre e nel 1613 è nominato Maréchal de France[14], da cui il titolo di Maresciallo d’Ancre o semplicemente Ancre con cui è anche noto (mentre Marescialla è chiamata Leonora, sua moglie). L’autorità del Maresciallo d’Ancre oscurava gli altri favoriti del re: “la moglie havea in mano la volontà della regina, il marito lo Scettro del Regno”[15]. I Concini esercitano un vero “trafic d’influence” sulle cariche di corte[16]. L’apice e il crollo del potere del Maresciallo d’Ancre coincide con la fine della vicenda vaninina. Vanini stesso veniva visto come un prodotto dell’“infame” Concini[17]. In realtà, Concini non ha avuto alcuna influenza veramente significativa a livello nazionale fino alla fine del 1615[18].
Anche il poeta Giovan Battista Marino godette della protezione di Maria de Medici a Parigi. Vanini, secondo Raimondi, incontra Marino direttamente a Parigi: “Marino e Vanini godettero delle medesime protezioni poiché ruotano nell’orbita della Regina Madre di Concini, il potente maresciallo d’Ancre, e della moglie Leonora Galigai […]. Finché la fortuna arrise alle sorti della Regina, i due intellettuali ne condivisero lo schieramento a rimorchio dei loro potenti mecenati”[19]. In realtà, Vanini arrivò a Parigi quando il partito degli italiani cominciava a perdere potere in Francia[20], ma paradossalmente Vanini fu uno degli esempi di “emigrazione libertina” e fu vittima del “dogmatismo” delle chiese sia cattolica che riformata[21]. Non va dimenticato che la reggenza di Maria era incominciata con l’assassinio di Enrico IV e termina con il raggiungimento della maggiore età di Luigi XIII.
Dubost circa la formazione politica della regina mette in evidenza il ruolo che svolse Scipione Ammirato (Lecce 1531- Firenze 1601) al quale si deve la reintroduzione della filosofia politica dello stoicismo a Firenze. Ammirato tendeva a giustificare il potere assoluto in una sintesi che ha creato lo “stoicismo cristiano”, e tale pensiero ha caratterizzato la formazione di Maria, particolarmente sull’idea di “bon raison d’etat” (Ragion di stato) propugnata da Ammirato[22]. L’assassinio dell’ “insaziabile” Concini è un esempio di “applicazione della giustizia reale” perché, come scrive il 26 aprile Bentivoglio, “è stato messo in testa al Re, che la Regina ed Ancre lo volevano avvelenare”[23]. Concini poco prima aveva preso delle misure che restringevano i poteri regi[24]. Subito dopo l’assassinio del Concini, il cui corpo venne disseppellito e dileggiato selvaggiamente dai parigini[25], toccò alla moglie di questi, Leonora, ovvero la Marescialla, nelle cui mani si era di fatto concentrato il potere.
Come riassume Pintard, “Maria regge Leonora regna”[26]. A confermare tale stato di cose è la testimonianza di Andrea de Lizza, in occasione del processo alla Galigai[27]. La donna, abbondonata al suo destino dalla Regina, venne richiusa nella Bastiglia, e stessa sorte toccò al suo cappellano[28]. Il 9 maggio viene avviato il processo contro Leonora che finirà sul patibolo l’8 luglio 1617 con l’accusa di giudaismo e stregoneria. Gli atti sono trascritti nella BnF [Bibliothèque nationale de France] Ms Cinq cents Colbert 221. L’interrogatorio di Andrea de Lizza, ai ff.406r-413r., ebbe luogo mercoledi 10 maggio 1617, giudici istruttori Jean e Robert Aubery e Nicolas de Bailleul, presso l’hotel du S. Aubery rue de Neuve S. Merry. Leggiamo dall’interrogatorio:
“Signor l’abbate, perchè voi siete abate, non è vero, abate di livry?,[Livry, Livriacum, abbadia dell’Ordine di S. Agostino] siete nativo di Lecce nel regno di Napoli e avete 38 anni, siete venuto in Francia con il cardinale du Perron nel 1608”[29].
Sull’origine leccese di de Lizza abbiamo supporti documentari ripresi da un articolo della Société archéologique de Sens da cui risulta che è nato a Lecce nel 1579, dal 1608 è al seguito del Cardinal du Perron in Francia e si cita come fonte l’Archivio capitolare di Lecce: 23 gennaio 1601 era diacono, ordinato sacerdote nel 1602, 1603 tesoriere, e dal 20 agosto 1606 non figura più nei registri capitolari[30]. Ma dalla consultazione dell’Archivio Diocesano di Lecce, non si trova conferma dell’ordinazione sacerdotale; diversamente è registrato nel libro delle Conclusioni Capitolari anni 1588-1612, dove viene riportato come “tesoriere” in 5 sedute comprese tra agosto 1603 e novembre 1604, più precisamente: agosto 1603 – ottobre 1603 – giugno 1604 – agosto 1604 – novembre 1604[31]. Altro purtroppo non è emerso. Il cognome di de Lizza è attestato a Lecce, Caputo cita il notaio Genuino de Lizza rogante a Lecce il 2 maggio 1601[32].
Come già detto, le sorti di de Lizza sono legate a quelle del cardinale du Perron ed occorre brevemente soffermarci su questo prelato protagonista di primo piano nella storia religiosa, e non solo, della Francia. Jacques Davy du Perron (1556-1618) apparteneva a una famiglia ugonotta; divenne cattolico per influsso di Bellarmino[33]. “Amico sincero e prudente”, lo definisce lo storico gesuita Fouqueray[34]. I gesuiti furono riammessi in Francia con l’editto di Rouen di Enrico IV (1603). A mediare per i gesuiti fu il padre Cotton; una delle condizioni che il provinciale fosse francese, imponeva il giuramento al re e che un gesuita come cappellano risiedesse a corte, come una sorta di ostaggio. Lacouture fa notare che tali condizioni furono affatto gradite dal Generale[35]. “Davy du Perron è noto con l’appellativo di «monsieur le Convertisseur» per via del ruolo decisivo da lui esercitato nella riconciliazione di Enrico IV con Clemente VIII e la fine dell’interdetto contro la Francia”[36], da cui il noto detto “Parigi e val bene una messa”. Da vescovo, Perron rappresentò il monarca nella cerimonia di abiura del protestantesimo a Roma il 23 settembre 1595.
Elevato alla porpora cardinalizia nel concistoro del 1604 e nominato nel 1606 primo Cappellano di Francia[37], partecipò a tre conclavi; determinante fu la sua mediazione con Venezia per la questione di Paolo Sarpi e dell’Interdetto[38]. Il cardinale du Perron svolse un ruolo importante durante l’assemblea degli Stati Generali e il 2 gennaio 1615 ebbe l’incarico dal clero francese di trattare con il Terzo Stato circa la definizione del potere regio[39]. Nel suo soggiorno romano del 1608 avvenne l’incontro con de Lizza. Perron è stato anche poeta[40] e non possiamo escludere che le doti artistiche di de Lizza siano alla base del suo servizio presso il prelato. Il cardinale volle premiare de Lizza nel 1610 nominandolo Canonico di Sens di cui il 15 settembre 1610 prese possesso per procura. Nel luglio 1611 Lizza rinuncia anche al canonicato e lo permuta con il priorato di Saint Patrice de Mortmer con Jean Regnault de Saint-Simon. Il 20 gennaio 1612 sempre il cardinal du Perron nomina Andrea de Lizza al beneficio vacante della chiesa Saint-Pierre de Chéronvilliers, diocesi di L’Aigle, in Normandia, ma già il 5 settembre 1612 de Lizza si dimette in favore di Mellon de May, di Rouen, e le dimissioni vengono accettate dal Cardinale du Perron il 12 ottobre[41]. Dalla deposizione per il processo contro la Galigai del Consigliere del Re il 17 maggio, apprendiamo che nella primavera del 1613 “Andreè Neapolitain” va a servizio della Regina, la quale, avendo visto che la Marescialla aveva bisogno di compagnia, le invia Andrea che sapeva suonare il “guitaron” e cantare bene.
Per circa 18 mesi Lizza è al servizio della Marescialla celebrando tutti i giorni la messa, intrattenendosi con lei dalla quattro alle sei ore, e assumendo atteggiamenti poco consoni al suo abito clericale, “parlava ad alta voce licenziosamente con i domestici”. Alcune mesi dopo al servizio della Marescialla giunge Montalto, “medico giudeo di religione di cui faceva libera professione con tutta la sua famiglia, dopo di che la Marescialla non frequentava più le cerimonie religiose e preferiva restare sempre in compagnia di Montalto e de Lizza. La marescialla era di umore irritabile (fâcheuse) e malinconico e si immaginava di essere stregata con il solo sguardo o attraverso le lettere. Quando morì Montalto la Marescialla fu ancor più afflitta e si gettò nella disperazione, ma s’accorse che stare lontana da Andrea le faceva bene”[42]. Nell’interrogatorio del 24 maggio, Vincent Ludovici, segretario della Marescialla, circa Lizza dichiara: “Abbate di Linery, cappellano, poi dopo molto tempo gli avevano dato il permesso di ritirarsi nella sua abazia, ma mi pare di aver inteso che non era molto gradito nella sua casa”[43]. Diverse cause intentate contro il monastero di Livry confermano che de Lizza ne era abbate non residente dal 1614 e nel 1615, “signor André de Lizza, prete napoletano, dottore in diritto canonico, cappellano ordinario della marchesa d’Ancre” […] e risiedeva con essa marchesa nella casa e nel castello del Louvre”[44], come inequivocabilmente viene confermato dall’atto notarile rogato dal notaio Mathieu Bontemps, “Procuration d’André de Lizza abbé de l’Abbaye de Livry, Docteur en droit canon demeurant à Paris sur le Quai du Louvre”[45]. Nel giugno 1616, ammalato, si ritira nella sua abbazia di Livry[46]. Nel 1617 Andrea si dimise ma “L’abate di Lizza aveva lasciato gli edifici in rovina”[47].
Particolarmente interessanti e dettagliate sono le informazioni che il de Lizza fornisce sulla Galigai e sul potere che di fatto esercitava la stessa sulla regina, testimonianza su cui si basa decisamente la condanna della Marescialla, tant’è che gli stralci dell’interrogatorio del salentino sono ancor oggi citati come prove di reità nei confronti di Leonora poiché forniscono i retroscena della reggenza di Maria de Medici e circostanziate informazioni anche sulle fortune dei coniugi Concini.
Una delle accuse contro Leonora, come già detto, era quella di praticare la magia con la quale affascinava la stessa regina. Alla domanda: “Giudicate voi che la marescialla aveva incantata la regina madre, per suo piacimento in questo modo per guidarla come vuole?”, Lizza risponde:
“Io non me ne sono mai accorto nè ho sentito dire che lei abbia usato dei sortilegi. Mi sembra che il suo potere sulla Regina derivasse dalla grande e lontana familiarità della marescialla la quale ha provato a consigliare la Regina tanto che l’autorità di lei s’accrebbe e con ciò ella si poté rafforzare e arricchire a dismisura. La Marescialla ha un animo dotato di un grande potere sugli spiriti deboli”[48].
Richelieu riferisce nelle Mémoires che lo stesso Concini non poteva incontrare la moglie perché fortemente depressa e in preda a manie di persecuzione e questa preferiva piuttosto intrattenersi “con il signor Andrea Napolitan, che la rallegrava con la musica dei suoi strumenti e della voce”[49].
Il 10 maggio 1617 venne interrogato de Lizza:
“Siete venuto in Francia con il cardinale du Perron nel 1608 e fino al 1612 lo avete servito come cappellano qui e a Roma. Per quale motivo avete deciso di stabilirvi in Francia?”
“Io non avevo deciso ciò. Da parte mia sognavo di ritornare in Italia, quando fui invitato a recarmi a un concerto musicale che si faceva alla dimora della Marchesa d’Ancre. La Regina Madre cenava. Io suonavo la lira così bene per la marchesa, che ella decise di trattenermi al suo servizio e mi fu ordinato dalla Regina madre di dimorare in Francia. La regina scrisse al cardinale du Perron ed io non sono partito più. Ho servito la marchesa in qualità di cappellano fino al giugno scorso [1616] quando mi ritirai per prendere aria. Fui malato quattro mesi, durante i quali il maresciallo mi spogliò dell’abbazia de Haultefontaine in Champagne che il re mi aveva offerto. Io fui così dispiaciuto che non ritornai dalla marchesa”[50].
L’essere stato privato dell’abbazia dal Concini, come evidenza Duccini, potrebbe aver contribuito al suo rancore[51].
Il 15 giugno venne interrogata la Galigai. Come preambolo nell’interrogatorio, viene ripresa la deposizione di de Lizza.
“Ha testimoniato di avervi servita per cinque anni. Restava cinque-sei ore chiuso nella vostra camera fino alle undici o mezzanotte, tenendo dei discorsi sui vostri affari domestici, sulla gestione della vostra casa, sul vostro argento per la costruzione [“bâtiment”] di Lésigny[52]. Discutevate dell’Italia dove da tre anni vi diceva che voleva ritirarsi”.
A sua discolpa Leonora, interrogata il 15 giugno, risponde:
“M. de Lizza è un bel chiacchierone [“bavard”] ma lui potrebbe attestare che io non ho fatto niente di male”[53].
L’altra fonte quasi coeva, quella di Vittorio Siri, ci offre un’immagine di de Lizza gaudente, dicendo: “dal 1613 per compiacere la Regina Madre prese al suo servigio un tale Andrea Napoletano eccellente suonatore di Liuto, e che cantava bene fatto per avanti al servigio del Cardinale di Perona. Vide costui ottimamente lungo tempo poi si scapestrò parlando delle cerimonie della Chiesa, digiuni, e quaresime tra domestici con molta licenza [sic]”[54]. E poi continua parlando dell’amicizia di Leonora con “un tal Montalto hebreo”[55], dicendo “Costui fece cambiare costumi alla Marescialla non frequentando più le Chiese e udendo la Messa come prima far voleva. Divenne fastidiosa, e malinconica credendo di poter esser ammaliata con lo sguardo fisso in essa; & avvelenata in leggere delle lettere [sic]. Il detto Montalto morì nel villaggio di Bordeos con dispiacere della Marescialla la quale poco appresso cacciò via il detto Andrea lamentandosi ch’era cattivo, dopo la cui espulsione visse meglio, ed era quasi sempre inferma; e poche volte tuttoche Sana [sic] andava à vedere la Regina Madre. Che egli non sapeva quello che ella si parlasse e facesse con Montalto, con Andrea; ma quanto a’ sortilegi, malie, fattucchierie, & incanti non gliè ne havesse mai veduto alcuno nè saputo che ne usasse”[56]. Sulle precarie condizioni di salute psico-fisica di Leonora già dal 1604 Monter riferisce: “Dal 1612 i Concini accolsero presso di loro stregoni, ciarlatani e studiosi d’ebraico, un effetto calmante esercitava sulla D. anche la musica di Andrea de Lizza, un napoletano amico di Montalto, impiegato dalla D. come servitore, segretario e cuoco, che la persuase di essere vittima del malocchio”[57]. Nel gennaio 1617 i Concini furono colpiti da un grave lutto. Scrive il nunzio Bentivoglio: “Io sono venuto qui in congiuntura d’una grande afflizione del Maresciallo D’Ancre e di sua moglie, per la morte della loro figliola. Avevano disegni alti sopra lei, cioè acquistar col suo matrimonio un appoggio di qualche gran casa del regno: e sarebbe successo loro l’effetto, perché, come V.S. illustrissima sa, in mano loro è al presente questa Corona […]. La Marescialla però non sa ancora niente del caso, perché essendo ella oppressa da un lungo male, apparendo che ora cominci migliorare alquanto non voglio dare occasione al male di esacerbarsi con questa nuova”[58]. Una delle poche voci a favore di Leonora è quella di Voltaire: “Cantonata sul maresciallo D’Ancre […] dama di compagnia della regina ritenuta una maga”[59].
Le ultime notizie che abbiamo su de Lizza ci vengono dagli scritti del nunzio apostolico Bentivoglio al Cardinale Scipione Borghese, il quale si mostra interessato alle sorti di Lizza dopo la caduta dei Concini, il che ci permette di suppore che il salentino avesse delle conoscenze negli ambienti romani. La prima di questa lettere è del maggio 1617: “Con un tale abbate di Liuri[60] italiano, che altre volte fu in favore della Marescialla e che ne riportò due abbazie, è stato proceduto con gran violenza; perché un cavaliere francese, con le pistole contro l’ha fatto rinunziare per forza e l’ha tenuto preso. Ma egli essendo fuggito, si trova ora in custodia dal signor Cardinal du Perron, al quale ha servito altre volte, e si crede passerà bene [sic]”[61]. Lo stesso Bentivoglio intercede per le sorti di Lizza: “Ho parlato al Re in favore dell’abate di Liuri [Livry]: avendomene fatta istanza il cardinal du Perron, e perché la materia stessa ancora la mi chiedeva. Ho pregato S.M. a non voler permettere che gli sia fatta violenza nelle rinunzie delle sue abbadie, a lui estorte per forza. S.M. m’ha risposto, che quando ciò sia vero, non permetterà ch’abbia luogo una siffatta violenza”[62]. Ritroviamo de Lizza ospite presso il cardinale du Perron, come riferisce Bentivoglio al cardinale Scipione Borghese il 27 maggio 1617: “La risegna ch’ Ella dice essere stata fatta far per forza [sic] da un tal abbate di Livry, italiano, che ora si trova in casa del signor cardinale Du Perron, non val niente”[63].
Nel luglio dello stesso anno il canonico leccese venne accusato di sodomia ma poi assolto[64]. Dopo questa data non sono note altre notizie di de Lizza; è presumibile che sia rimasto sotto l’ala protettiva del Cardinale du Perron, che però muore nel settembre 1618[65], il che ci autorizza ad ipotizzare che de Lizza possa anche aver lasciato la Francia e fatto ritorno in Italia. Del resto in Francia, data l’aperta ostilità nei loro confronti, gli italiani in massa abbandonarono il paese; ne è conferma la tragica fine di Vanini che “andò allegramente a morire da filosofo”, ritenuto “empio, blasfemo e ateo”, a Tolosa il 9 febbraio 1619[66]. Tutto ciò incrementava lo sciovinismo d’oltralpe all’indomani della fine del potere dei “conchiniste”[67]. Paradossalmente Vanini fu un protetto del maresciallo François de Bassompierre (1579 –1646), “Base della Santa Chiesa di Pietro”, come lo definisce Vanini, che gli dedica il De Admirandis. Il filosofo taurisanese non era del partito del Concini, ma “l’empietà quasi leggendaria degli italiani s’inscriveva in uno stesso schema mentale. Poco importa se ciò abbia o no fondamento”[68], come nota Foucault, che ancora constata amaramente: “la publication dans la capitale d’un livre scandelaux [De Admirandis], et de surcroît signé par un italien, ne pouvait guère survenir un moment plus mal choisi!”[69].
Sulle sorti di de Lizza rimangono molti punti oscuri, ma del resto il suo ruolo è stato quello di una comparsa in una significativa congiuntura storica nella quale invece si staglia la figura di Giulio Cesare Vanini.
* Francesco Frisullo, Società di Storia Patria per la Puglia-Sezione di Lecce, sosfrifra@gmail.com
** Paolo Vincenti, Società di Storia Patria per la Puglia-Sezione di Lecce, paolovincenti71@gmail.com
[1] F. Bozzi, La peregrinatio in Europam di un filosofo pugliese, in Giulio Cesare Vanini dal tardo Rinascimento al Libertinisme érudit, a cura di Francesco Paolo Raimondi, Galatina, Congedo, 2003, p.144.
[2] R. Pintard, Le libertinage érudit – dans la première moitié du XVIIe siècle, Tomo I, parte I, Paris, Boivin & Cie, 1943, pp. 7-8. Cfr. F. P. Raimondi, Giulio Cesare Vanini nell‘Europa del Seicento, Seconda edizione aggiornata, Ariccia, Aracne, 2014, p. 376.
[3] S. Tabacchi, Maria de’ Medici, Roma, Salerno editore, 2012, p. 151.
[4] Giulio Cesare Vanini, I meravigliosi segreti della natura regina e dea dei mortali (1616), a cura di Francesco Paolo Raimondi, Galatina, Congedo editore, 1990, p. 11.
[5] J. Roger Charbonnel, La pensée italienne au XVIe siècle et le courant libertin, Paris, Champion, 1919, p. 304.
[6] A. Castelot, Maria de’Medici [titolo originale Marie de Medicis Les désordres de la passion], Milano, RCS, 1995, p. 30.
[7] G. Bentivoglio, La nunziatura di Francia del Cardinale Guido Bentivoglio: Lettere a Scipione Borghese, Cardinal nipote e Segretario di Stato di Paolo V tratte dagli originali e pubblicate per cura di Luigi De Steffani, Volume Primo, Firenze, Felice Le Monnier, 1863, p. 202. Una più accurata analisi delle fonti storiche rileva come l’ascesa del Concini non fu priva dell’assenso regio e come il giudizio sull’operato del fiorentino fosse gravato dall’opinione pubblica all’indomani del colpo di stato del 1617; non mancarono maliziose voci di una relazione tra Concini e la regina: C. Fabbri, Concino Concini maresciallo d’Ancre: ascesa e caduta di un gentiluomo toscano alla corte di Francia, 1600-1617, Firenze, Aska, 2014, pp. 138-139. Il potere assunto dai Concini era oggetto d’invidia anche da parte dei cortigiani italiani stessi. Ivi, pp. 88-120. Tutt’altro che fantasiose erano le ricchezze che i Concini drenarono dalla Francia verso Firenze e Roma, e che furono oggetto di trattative del governo francese. Ivi, pp. 181-194 e Appendice documentaria, pp. 236-246.
[8] S. Mamone, Firenze e Parigi, due capitali dello spettacolo per una regina, Maria de Medici, Firenze, Edizioni Amilcare Pizzi, 1987, p. 167.
[9] G. Bentivoglio, La nunziatura di Francia del cardinale Guido Bentivoglio: Lettere a Scipione Borghese, cit., p. 106.
[10] R. Mousnier, La Venalite des offices sous Henri IV et Louis XIII, Rouen, Edition Maugard, 1946, p. 128. Per l’accostamento del pensiero di Vanini a quello del Machiavelli nei documenti d’epoca: M. Leopizzi, Les sources documentaires du courant libertin français Giulio Cesare Vanini, preface de Giovanni Dotoli, Fasano, Schena editore e Press de L’Universitè de Paris-Sorbone, 2004, p. 294.
[11] J. Orieux, Caterina De Medici, Milano, Mondadori, 1987, p. 253. Innocent Gentillet in Les Discours sur les moyens de bien gouverner contre Nicholas Machiavelli florentin, Ginevra, 1576, come evidenzia Smith, offre numerosi esempi di «trame transalpine, tratte dalla storia e legate ai termini “massacro”, “macelleria”, “crudeltà”, “tradimento”, “slealtà”, “perfidia”, “avvelenamento”. Inoltre, non è indifferente vedere che Gentillet eviti di usare questo registro lessicale quando si tratta di omicidi o di attacchi premeditati da parte dei francesi»: M. Smith, Complots, révoltes et tempéraments nationaux: Français et Italiens au XVIe siècle, in Complots et conjurations dans l’Europe moderne. Actes du colloque international organisé à Rome, 30 septembre-2 octobre 1993, Rome, École Française de Rome, 1996, p. 95. Per i francesi, il “dissimuler comme l’Italiene” divenne proverbiale. L. Sozzi, Rome n’est plus Rome. La polémique anti-italienne, Paris, Classiques Garnier, 2022, p. 23. Inoltre si veda: S. Mastellone, Venalità e machiavellismo in Francia (1572-1610), Firenze, Olschki, 1972. Il pensiero di Machiavelli fu avversato da parte cattolica ma con più veemenza da quella riformata: S. Apollonio, Giulio Cesare Vanini e il libertinismo francese del Seicento, in Giulio Cesare Vanini nella cultura filosofica francese del Seicento e del Settecento. Dal Libertinisme Érudit all’Illuminismo, a cura di Simona Apollonio, Mario Carparelli, Domenico M. Fazio, Napoli, La Scuola di Pitagora, 2019, p. 92. Il legame di Vanini col machiavellismo, sostiene Di Napoli, è rintracciabile nell’Amphiteatrum e nel De admirandis, ma soprattutto nell’interpretazione che ne dà: “facendone a sua volta una chiave di lettura finalizzata allo smascheramento della religione come strumento di manipolazione delle coscienze da parte dell’ordine costituito”: A. Di Napoli, Vanini tra tormento umano e inquietudine religiosa, in «L’Idomeneo. Giulio Cesare Vanini: dal Salento all’Europa. Nel IV Centenario della morte sul rogo (1619-2019)», Università del Salento, 2020, p. 81. Come evidenzia De Paola, il regicidio di Enrico IV alimentò una reazione antitaliana per cui duemila fiorentini furono espulsi da Parigi: F. De Paola, Giulio Cesare Vanini da Taurisano filosofo europeo, Bari, Schena Editore, 1998, p. 269.
[12] François Hotman, Matagonis De Matagonibus, Decretorum Baccalaurei, Monitoriale Adversus Italogalliam Sive Antifrancogalliam, Antonij Mathare, [senza luogo di pubblicazione], 1575, p. 19. M. Sanfilippo, “Ipsi sugunt sanguinem et medullam miserae plebis Franco-gallicae”: gli italiani in Francia nella lunga età moderna (XIV-XX secolo), in «Studi Emigrazione», n.187, 2012, pp. 456-485, in particolare pp. 362-365. J.-F. Dubost, La France italienne XVIe-XVIIe siècle, preface de Daniel Roche, Paris, Aubier, 1997, p. 271. Jacques Gohory (1576), traduttore di Machiavelli, scrive che “gli italiani se ne vengono in Francia senza portarsi niente che uno scrittoio e delle carte e con le loro banche velocemente arricchiscono e fanno bancarotta” e “si portano via, facendo come le cavallette che se ne vanno dopo aver brucato tutto”: J.-F. Dubost La France italienne XVIe-XVIIe, cit., p. 308. Nel giugno 1572 molti italiani erano stati trucidati nel corso di un tumulto xenofobo, sulla base dell’accusa di aver rapito ed ucciso bambini e di praticare stregonerie: A. Jouanna, La Saint-Barthélemy. Les mystères d’un crime d’État (24 août 1572), Paris, Gallimard, 2007, pp. 160-190, e S. Tabacchi, La strage di San Bartolomeo. Una notte di sangue a Parigi, Roma, Salerno editrice, 2018, p. 101. In definitiva, scrive Dubost, l’antitalianismo francese è di matrice culturale, economica, politica: J.-F. Dubost La France italienne XVIe-XVIIe, cit., pp. 308-318.
[13] D. P. O’ Connell, Richelieu – il cardinale che eresse la grandeur della Francia, Milano, Bompiani, 1983, p. 37. Nell’assise emerse la figura di Richelieu, vescovo di Loudun, altra creatura di Maria de Medici, che intervenne a nome del Primo Stato. Ivi, p. 43. Nel 1615 viene pubblicato l’anonimo libello La Chemise sanglante de Henry le Grand, attribuito al ministro ugonotto Pierre Pèrisse e indirizzato a Luigi XIII, a cui si rivolge il defunto Henrico (“mon cher fils”) che accusa Concini e quindi la conterranea regina di essere responsabili della sua uccisione e non solo “votre mère ne parle pas que par l’organe de Conchine, & sa forciere de femme ce coyon est premier Gentil-Home de votre chambre, maitre de vos tresor”: La Chemise sanglante de Henry le Grand, [s.l. s.d. ma 1615], p. 5.
[14] T. Fillon, 1617: la prise du pouvoir par Louis XIII, d’après les mémoires de Claude Guichard Déageant, Histoire, 2016. https://dumas.ccsd.cnrs.fr/dumas-01459248
[15] Vittorio Siri, Memorie recondite di Vittorio Siri dall’anno 1601 fino all’anno 1641, Volume 4, Parigi, Cramoisy, 1677, p. 29.
[16] F. Leroux, L’autre famille royale. Bâtards et maîtresses d’Henri IV à Louis XIV, Paris, Passés Composés/Humensis, 2022, p. 105.
[17] F.- T. Perrens, Les libertins en France au XVIIe siècle, Paris, Léon Chailley Éditeur, s. d (ma 1896), pp. 61-63.
[18] J. M. Hayden, “The Estates General of 1614” (1963). Dissertations.701. https://ecommons.luc.edu/luc_diss/701, p. 7. Idem, France and the Estates General of 1614, Cambridge University Press, 1974.
[19] F. P. Raimondi, Giulio Cesare Vanini nell‘Europa, cit., p. 389. Tuttavia, il tramonto di Concini, osserva Dubost, segna la fine brutale di un’epoca che ha garantito un spazio di libertà all’uomo barocco, di cui lo stesso Vanini si è giovato. J.-F. Dubost, Marie de Medicis. La reine dévoilée, Parigi, Payot, 2009, p. 566. “Il partito mediceo e filoitaliano” che si scontrava con Luigi XIII, gettò la Francia in una vera e propria anarchia, come scrive Raimondi, che inoltre evidenzia quanto “il biennio della guerre civili (1614-1616) ovvero gli anni in cui [Vanini] si accingeva alla stampa delle sue opere la realtà culturale della Francia era notevolmente mutata”. Lo scontro tra le due fazioni lasciava spazio a una certa libertà di cui anche Vanini poté godere a seguito del cosiddetto “fattore Parigi”. M. Carparelli, Giulio Cesare Vanini nella Francia del Seicento, in Giulio Cesare Vanini e il libertinismo francese del Seicento, cit., pp. 11-15. Con l’ascesa al trono di Luigi XIII, la Francia fu “ricattolicizzata”. “La reazione cattolica cominciò così ad assestare i suoi colpi più efficaci. Condanne esemplari misero fine all’esperienza di un Andrea di Lizza, di un Jean Fontanier, di un Cosme Ruggieri”: F. P. Raimondi, Giulio Cesare Vanini nell‘Europa, cit., p. 376. Per l’accostamento Ruggeri-Vanini: M. Leopizzi, Les sources documentaires du courant libertin français Giulio Cesare Vanini, cit., p. 434. Secondo Tabacchi, fu Marino a introdurre alla corte francese Vanini mentre per il poeta il tramite fu Leonora: S. Tabacchi, Maria de’ Medici, cit., p.180.
[20] F. De Paola, Giulio Cesare Vanini da Taurisano, cit., p. 269; Idem, Nuovi documenti per una rilettura di Giulio Cesare Vanini, in «Bruniana & Campanelliana», Vol. 5, n. 1, 1999, p. 201.
[21] G. Ferroni, Momenti dell’emigrazione intellettuale italiana, in Aa.Vv., L’Italia fuori d’Italia. Tradizione e presenza della lingua e della cultura italiana nel mondo. Atti del Convegno (Roma, 7-10 ottobre 2002), Roma, Salerno editrice, 2003, pp. 127-128.
[22] J.-F. Dubost, Marie de Medicis La reine dévoilée, cit., pp. 82-83; S. Tabacchi, Maria de’ Medici, cit., p. 34. Singolarmente un altro Ammirato operò alla corte in Francia, ovvero Scipione Ammirato il giovane, il cui vero nome è Cristoforo del Bianco (Montaione 1582-Firenze 1656), entrato giovinetto come scrivano e aiutante di Scipione Ammirato, il quale, con un atto di ultima volontà (11 gennaio 1601), di poco precedente la morte (30 gennaio), nominava Cristoforo “testatoris famulo” e gli legava beni, libri e manoscritti, alla condizione di assumere, insieme allo stemma di famiglia, il nome degli Ammirato. C. Valacca, Contributo alla biografia di Scipione Ammirato, in «Rassegna Pugliese di Scienze Lettere e Arti», vol. XIV, Trani-Bari, febbraio 1898, pp. 442-444. Per intercessione del Granduca di Toscana Cosimo II, Ammirato il giovane fu assegnato all’ambasciata in Francia dal 1607 al 1614 come segretario Residente alla Corte di Francia e poi Reggente. R. De Mattei, Scipione Ammirato «Il vecchio» e Scipione Ammirato «Il giovane», in «Archivio Storico Italiano», vol. 119, n. 1, 1961, p. 63.
[23] G. Bentivoglio, La nunziatura di Francia del cardinale Guido Bentivoglio, cit., p. 202.
[24] G. Minois, Il pugnale e il veleno. L’assassinio politico in Europa (1400-1800), Torino, Utet, 2005, p. 250. “L’immagine dell’onnipotenza concinista fu creata e consolidata dalla diffamazione principesca, secondo la quale la bassa estrazione di un gentiluomo fiorentino naturalizzato francese nel 1601 non avrebbe potuto giustificare un accumulo di favori sproporzionati”. Y. Rodier, Les libelles et la fabrique de l’odieux (1615-1617): l’imaginaire de la haine publique et le coup d’État de Louis XIII, in «Dix-septième siècle», vol. 276, n. 3, 2017, p. 445. Il partito dei Concini rispose da par suo tanto che Duccini parla espressamente di “guerres des libelles”: H. Duccini, Concini Grandeur et misère du favori de Marie de Médicis, Albin Michel, 1991, pp. 148-152. Concini minava il potere del principe di Condè il quale era secondo nell’ordine di successione al trono dopo Luigi XIII e punto di riferimento dell’aristocrazia ugonotta che guardava con sospetto alla politica estera filospagnola della Reggenza. M. P. Holt, French Wars of Religion, 1562-1629, Cambridge University Press, 2005, pp. 180-181. Il 3 maggio 1616 venne firmata la Pace di Loudun, un trattato stipulato tra Maria dei Medici e Enrico II di Borbone-Condé, ma quello stesso anno Condè venne fatto arrestare dal Concini, il che portò all’estrema esasperazione la nobiltà francese essendo il Condè di sangue reale.
[25] V. L. Tapié, La Francia di Luigi XIII e di Richelieu, Milano, Il Saggiatore, 1967, p. 96.
[26] R. Pintard, Le libertinage érudit – dans la première moitié du XVIIe siècle, cit., p. 7.
[27] Dal 1615 in poi ella ebbe nella nomina o destituzione di alti funzionari responsabilità ancora maggiori del Concini: “Conduceva gli affari senza consigliarsi con lui, scrivendogli solo a cose fatte”. Si veda la voce, a cura di William Monter, in DBI, Vol. 41, 1992 (on line). Nel 1617 alla regina madre fu imposto l’esilio e venne condannata alla damnatio memoriae. C. Casanova, Regine per caso. Donne al governo in età moderna, Bari, Laterza, 2014, p. 161. Più vivo di quello della Regina è il ricordo della Galigai, ancora oggi oggetto di interesse letterario che ne perpetua la “leggenda nera”. C. Fabbri, Concino Concini maresciallo d’Ancre, cit., pp. 196-214. “Il boia afferrò la testa dei lunghi capelli neri come se si trattasse della testa della Medusa”: M. Strukul, La decadenza di una famiglia, in I Medici la saga completa, Roma, Newton Compton Editore, 2018, p. 923. Ancora più triste è la sorte storica della finzione letteraria; infatti il 5 luglio Bentivoglio scrive al cardinal Borghese: “fu tagliata pubblicamente la testa ieri l’altro ed il corpo fu poi abruciato e le ceneri sparse nell’aria”. G. Bentivoglio, La nunziatura di Francia del cardinale Guido Bentivoglio, cit., p. 338.
[28] H. Duccini, Concini Grandeur et misère du favori de Marie de Médicis, cit., p. 319. La regina pochi giorni prima dell’inizio del processo, il 3 maggio, con Richelieu abbandonerà Parigi per il castello d Blois.
[29] Ms Cinq cents Colbert 221, f. 406r, trascrizione in F. Hayem, Le Maréchal d’Ancre et Léonora Galigaï. Notice biographique, Paris par M. Abel Lefranc, 1910, p. 308, e in E. de Castro, La Galigai, Oliver Orban, 1990, p. 395.
[30] E. Chartraire, Un chanoine de Sens impliqué dans le procès de Léonora Caligaï, Maréchale d’Ancre. André de Lizza, in «Bulletin de la Société archéologique de Sens», Tome XXXV, 1927, Sens, Emm. Duchemin Imprimeur Éditeur, 1928, pp. 82-83.
[31] Si ringrazia il dott. Giacomo Cominotti dell’Archivio Storico Diocesano dell’Arcidiocesi di Lecce.
[32] A. Caputo, In umbelico civitatis: profilo storico e note archivistiche dei Teatini di Lecce, Castiglione, Giorgiani, 2018, p. 101.
[33] G. Galeota, Genesi, sviluppi e fortuna delle controversie di Roberto Bellarmino, in Bellarmino e la Controriforma, Atti del Simposio internazionale di studi, Sora, 15-18 ottobre 1986, a cura di Romeo De Maio, Agostino Borromeo, Luigi Giulia, Georg Lutz, Aldo Mezzacane, Sora, Centro di Studi Sorani “Vincenzo Patriarca”, 1990, p. 14, nota 30. Scrive Fuligatti: “il sign cardinale di Perona quando doveva andare a trovare il cardinale Bellarmino soleva dire Eamus ad magistrum”. Giacomo Fuligatti, Vita del cardinale Roberto Bellarmino della Compagnia di Giesù (S.I.), Roma, appresso l’Herede di Bartolomeo Zannetti, 1624, p. 67. Perron divenne l’esponente di punta degli ultramontani che reclamavano una maggiore fedeltà della Francia al papato attraverso il recepimento dei decreti tridentini. S. Mastellone, La reggenza di Maria de’ Medici, Firenze-Messina, Casa Editrice G. D’Anna, 1962, p. 25.
[34] H. Fouqueray, Histoire de la Compagnie de Jésus en France: des origines à la suppression, (1528-1762), Paris, Picard, 1913, p. 433. Bellarmino e du Perron furono punte di diamante della Riforma cattolica. Si veda S. Tutino, Empire of Souls: Robert Bellarmine and the Christian Commonwealth, Oxford University Press, 2011, pp. 145ss.
[35] J. Lacouture, I Gesuiti. La conquista (1540-1773), Casale Monferrato, Piemme, 1994, p. 441.
[36] J.-F. Dubost, Marie de Medicis, cit., p. 97.
[37] J. Bergin, L’itinéraire d’un prélat de cour en temps de transition, in Jacques Davy du Perron (1556-1618): Figures oubliées d’un passeur de son temps, Rennes, Presses universitaires de Rennes, 2023 https://doi.org/10.4000/books.pur.189823 pp. 16-17.
[38] Les Ambassades et negotiations de l’Illustrissime et Reverendissime Cardinal Du Perron, Archevesque de Sens, primat des Gaules et de Germanie, et Grand Aumonier de France. Avec les plus belles et eloquentes lettres, tant d’Estat et de doctrine, que familieres, qu’il a écrittes sur toutes sortes de sujets, aux Roys, Princes, Princesses, Ducs, Republiques, Grands Seigneurs,[…]Recueillies & accompagnées de Sommaires & Advertissements, par Cesar de Ligny, secrétaire du dit Seigneur […], Paris, Antoine Estienne, 1623.
[39] R. Mousnier, La costituzione nello stato assoluto. Diritto, società, istituzioni in Francia dal Cinquecento al Settecento, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2002, pp. 191-192.
[40] P. Brunel, Storia della letteratura Francese, edizione italiana di Giovanni Bogliolo, Bologna, Il delfino, 1973, pp. 155-156.
[41] G. Guéry, Doyenne de l’Aigle, du Diocese d’Eureux Grand Pouillé Di diocèse D’Euvreu Conservè aux archive dell’Eure G.22 à G.35, in «Diex Aie Revue Catholique de Normandie», Anno XXXIII, n. I, Evreux-Rouen, 1924, pp. 52-53.
[42] F. Hayem, Le Maréchal d’Ancre et Léonora Galigaï, cit., pp. 241-243.
[44] A. E. Genty, Livry et son abbaye: recherches historiques, Société anonyme de publications périodiques, P. Mouillot, 1898, p. 89. È anche indicato come “presbyter Neapolitanus”. Denis de Sainte-Marthe, Gallia christiana in provincias ecclesiasticas distributa, T. VII, Paris, ex Typographia Regia, 1744, p. 845.
[45] Archives Nationales, MC/ET/LXXIII/286, con firma autografa “A. De Lizza”.
[46] Mémoires du cardinal de Richelieu : publiés d’après les manuscrits originaux pour la Societé de l’histoire de France sous l’auspices de l’Academie française Tome 2, 1615-1619 publie sous la direction de le Baron de Courcel par Horric de Beaucaire; avec la collaboration de Robert Lavollee, Paris, 1909, p. 237, nota 1.
[47] A. E. Genty, Livry et son abbaye, cit., p. 90.
[48] E. de Castro, La Galigai, cit., p. 396 e F. Hayem, Le Maréchal d’Ancre et Léonora Galigaï, cit., pp. 310-311. Lizza di fatto con questa affermazione fornì elementi d’accusa contro la Galigai poichè sostanziava l’ascendente malefico che la stessa poteva esercitare anche sulla regina. J. Bloundelle Burton, The Fate of Henry of Navarre, London, Everett & Co, 1911, p. 91. L’accusa di stregoneria nei confronti della Galigai finì col rendere meno grave la posizione della regina poichè, essendo ella “affascinata”, non veniva ritenuta responsabile dell’operato dei Concini. A. E. Duggan, Criminal Profiles, Diabolical Schemes and Infernal Punishments: The Cases of Ravaillac and The Concinis, in «Modern Language Review», n. 105, 2, aprile 2010, p. 375.
[49] Mémoires du cardinal de Richelieu, cit., p. 327, nota 1.
[50] BnF Ms Cinq centes Colbert 221, f. 406r, trascrizione in E. de Castro, La Galigai, cit., p. 179 e F. Hayem, Le Maréchal d’Ancre et Léonora Galigaï. Notice biographique, cit., p. 308. Il tutto viene ribadito nell’interrogatorio alla Galigai del 15 giugno 1617.
[51] H. Duccini, Concini Grandeur et misère du favori, cit., p. 370.
[52] Lizza fa qui riferimento al castello che Concini acquista a Lésigny (Seine-et-Marne) nel 1613 e che viene poi confiscato nel 1617. Félix Pascal, Histoire topographique, politique, physique et statistique du département de Seine-et-Marne, Tome 1, Crété et Thomas Corbeil et Melun, 1836, p. 218, e Dori Galigai Leonora, a cura di William Monter, in DBI, V. XLI, 1992 (on line).
[53] E. de Castro, La Galigai, cit., p. 262.
[54] Vittorio Siri, Memorie recondite di Vittorio Siri dall’anno 1601 fino all’anno 1641, cit., p. 70.
[55] La frequentazione di un ebreo fu un altro fra i capi d’accusa contro la Galigai, insieme alle “fattucchierie ed empietà delle giudaiche superstizioni della Concina”, come dice Vittorio Siri, Memorie recondite di Vittorio Siri, cit., p. 71. L’antisemitismo si manteneva forte nell’Europa del tempo e gli ebrei erano stati espulsi dalla Francia. Già dai tempi della regina Caterina alla corte di Francia sono noti gli interessi per le forme magico-filosofiche (magismo) proprie della cultura del Rinascimento Italiano, basti citare la figura di Nostradamus. J. M. Bradburne, Donne, immagini e potere, in Caterina e Maria de’ Medici: donne al potere. Firenze celebra il mito di due regine di Francia, a cura di Clarice Innocenti, Firenze, Ediz. Illustrata Mandragora, 2008. p. 24. S. Mamone, Firenze e Parigi, cit., p. 145.
[56] Vittorio Siri, Memorie recondite di Vittorio Siri, cit., p. 70. I. de Kertanguy, in Leonora Galigaï, l’âme damnée de Marie de Médicis, Paris, Pygmalion, 2005, p.108, parla espressamente di isteria e crisi epilettiche. Se pensiamo all’uso della musica come palliativo e consideriamo le origini salentine del de Lizza non sarebbe azzardato supporre di essere di fronte a manifestazioni riconducibili al tarantismo.
[57] W. Monter, Dori( Galigai) Leonora, cit..
[58] G. Bentivoglio, La nunziatura di Francia del cardinale Guido Bentivoglio, cit., pp. 30-31.
[59] Voltaire, Opere Storiche, a cura di Domenico Felice, Milano, Bompiani, 2022, pp. 92-93. Comunque la “leggenda nera” dei Concini, come la definisce Tabacchi, “deriva in larga parte da una costruzione ideologica”. S. Tabacchi, Maria de’ Medici, cit., p. 81.
[60] Come si riporta alla nota 1 di p. 323 in La nunziatura di Francia del cardinale Guido Bentivoglio, cit., “è scritto Liuri come nell’originale; ma si deve leggere Livry en Lannoi, abbadia di Agostiniani di cui era abbate Antonio da Lizza, Napoletano”.
[61] Parigi, 9 maggio 1617, in Ivi, p. 213.
[62] Parigi, 16 maggio 1617, in Ivi, p. 232. Queste lettera parla solo di de Lizza.
[63] Roma, 27 maggio 1617, in Ivi, p. 323.
[64] Mémoires du cardinal de Richelieu, cit., p. 327, nota 1.
[65] Lo storico di corte di Luigi XIII, Scipione Dupleix, nel 1643 nella sua Histoire de Louis le Juste, commentando la morte del presule crea un suggestivo paragone con “Lucilio Italiano Athéé” (cioè Vanini) un “mostro” divorato dall’inferno mentre il cielo nello stesso anno, dice, accoglie “une des plus belle ames du monde”, ossia Du Perron. M. Leopizzi, Les sources documentaires du courant libertin français Giulio Cesare Vanini, cit., pp. 265-266.
[66] Nella vicenda vaniniana, ebbe un ruolo determinante la Compagnia di Gesù e proprio nel collegio di Tolosa operò per oltre un decennio il gesuita, conterraneo di Vanini, Ignazio Balsamo (Specchia 1543-Limonge 1618). C. Ginsbourg, ad vocem, in BDI, V. 5, 1963 (on line); M. A. Lynn, The Jesuit Mind. The Mentality of an Elite in Early Modern France, Cornel Uninersity Press, 1988. Ignazio fu prefetto dei novizi nel collegio di Avignone, direttore di coscienza a Tolosa per sedici anni e per diciassette a Limoges. Qui si spense il 2 ottobre 1618. Nel 1612 a Colonia diede alle stampe Instructio de perfectione religiosa, tradotto in francese, tedesco e in inglese nel 1622. Oltremanica questo libro divenne il testo di riferimento della controriforma. Si veda: An instruction how to pray and meditate well Distinguished into thirtie six chapters. […]by the reverend Father Ignatius Balsamo Priest of the Societie of Jesu And Traslated out French into English by Iohn Heigham, Whith license of superior, 1622, e ancora edito nel 1972 a Menston, per Scolar Press. Balsamo ebbe un ruolo attivo nel progetto di riconversione dell’Inghilterra. M. J. Yellowlees, Father William Crichton’s Estimate of the Scottish Nobility, 1595, in Sixteenth-century Scotland: essays in honour of Michael Lynch, edited by Julian Goodare and Alasdair A. MacDonald, Leiden, Brill, 2008, p. 300.
[67] M. Leopizzi, Les sources documentaires du courant libertin français, cit., p. 54. Contro Concini furono pubblicati nel 1615 386 libelli, 180 nel 1616 e 200 nel 1617: Y. Rodier, Les libelles et la fabrique de l’odieux (1615-1617): l’imaginaire de la haine publique et le coup d’État de Louis XIII, in «Dix-septième siècle,» vol. 276, n. 3, 2017, p. 441.
[68] D. Foucault, Un Philosophe Libertin Dans l’Europe Baroque: Giulio Cesare Vanini 1585-1619, Paris, Classiques Garnier, 2023, p. 433.