Strina, Pasca Bbefenìa e šcennaru siccu
di Emilio Panarese
La «strina» o strenna (parola sabina che significa salute, buon augurio) è il regalo di Capodanno.
De Santu Sulivesciu porta la strina allu mesciu.
L’uso dei regali reciproci nel primo dell’anno è antichissimo e risale, secondo alcuni, al re Tito Tazio che andava a raccogliere in quel giorno foglie di verbena, che poi regalava agli amici, nel bosco della dea Strena, la dea della salute. I Romani erano soliti scambiarsi in dono focacce, fichi secchi, miele e datteri o, i più ricchi, tessere di metallo sulle quali facevano incidere la formula augurale «annum novum faustum felicem »: «felice e prospero anno nuovo».
Bon capu d’annu e bon capu de mese / apri la ursa e damme nnu turnese, recitavano invece fanciulli e giovanetti del nostro volgo nella case dei signori per fare gli auguri e ottenere regali in denaro o anche in cibarie…
Ci chiange a Ccapudannu, chiange tuttu l’annu; al contrario ‘chi a Capodanno ride, riderà per tutto l’anno’, come canta D’Amelio:
Sienti a mmie ca nu te ‘ngannu / de llegrìa osce è llu puntu / quandu è lliegru Capudannu / l’autri giurni lliegri suntu./ Statte lliegru, canta e ssona, / nu ppenzare a malatìa/ca la prima cosa bbona, / è llu scecu e lla llegrìa.
L’uso delle strenne creò poi un personaggio simbolico: la Befana, immaginata come una brutta vecchia, sdentata e dal naso adunco, ma benefica e dispensatrice di doni, che va in giro per il mondo cavalcando una scopa e penetra nelle case per la canna del camino. Quest’uso forse è sapravvivenza di qualche rito magico pagano associato poi alla festa cristiana. La parola Befana è corruzione di Epifania, che vuol dire manifestazione divina (adorazione dei Magi, nozze di , etc.).
Fu considerata, insieme con la Pasqua, la festa più solenne dell’anno. Ancora oggi, qui nel Salento, il nostro popolo la chiama prima Pasca o Pasca Bbefenìa. Con essa si chiudono le grandi feste di dicembre, da cui il proverbio:
De Pasca bbefenìa / tutte le feste vannu via.
Tutti i signori in quel giorno si vestivano a nuovo: Te Pasca Bbefenìa se mmuta tutta la Signurìa.
Gennaio è il mese più freddo, anzi è bene che sia freddo, perché se la temperatura è mite, pochi frutti resteranno sugli alberi in primavera: Mandulu ci fiurisce de scennaru / unne ccoji allu panaru.
L’annata sarà buona, invece, se il mese sarà freddo e asciutto: Scennaru siccu, massaru riccu; secondo il suo carattere dovrà essere un mese rigido, perché se scennaru nu scennariscia, febbraru male penza.
Il rigore invernale però non distoglierà i nostri contadini dal lavoro dei campi: essi toglieranno col sarchiello le erbe cattive, perché solo la zappudda de scennaru inchie lu ranaru (il granaio), perché, solo se si zappa e si pota la vigna in gennaio, l’uva nel panaru (cesto) sarà abbondante: zzappa e puta de scennaru: l’ua intru a llu panaru.
In «Tempo d’oggi», II (1),1975
Grazie di cuore Marcello, per papà la sua pubblicazione quest’oggi è un bel regalo di compleanno! Un augurio di buon Anno a tutti voi e alle vostre famiglie