Dai Redentoristi ai Missionari della Consolata: una storia di tentativi, speranze e opere al Santuario della Madonna della Coltura di Parabita

foto Emanuele Toma

di Marcello Gaballo

La storia del Santuario della Madonna della Coltura di Parabita, oggi saldamente affidato ai Padri Domenicani, è segnata da una lunga e complessa vicenda di affidamenti e tentativi di conduzione religiosa. Nei primi decenni del Novecento, sotto l’episcopato di mons. Nicola Giannattasio (1908-1926), numerose furono le interlocuzioni con diversi ordini religiosi per garantire una presenza stabile e operosa presso il santuario, divenuto fulcro della devozione mariana locale e sempre più centro attrattivo per il culto e la vita spirituale del territorio.

I tentativi falliti con i Redentoristi, i Guanelliani e i Carmelitani

Nel marzo del 1923 il vescovo Giannattasio si rivolse alla Congregazione del Santissimo Redentore, cercando il favore del superiore generale, padre Patrick Murray, per l’istituzione di una comunità redentorista presso il Santuario della Coltura. La risposta, datata 9 marzo 1923, è chiara e netta: l’istituto, dedito principalmente al ministero delle missioni popolari e degli esercizi spirituali, era impedito dalle proprie regole a gestire opere parrocchiali o sociali stabili, come quella desiderata a Parabita. Inoltre, l’ordine era già impegnato in nuove fondazioni a Francavilla Fontana e in Calabria, e non poteva dunque accollarsi ulteriori incarichi. L’ipotesi fu quindi definitivamente accantonata.

In estate, Giannattasio tentò un nuovo approccio, stavolta con l’Opera Don Guanella. Grazie all’intermediazione del sacerdote Mauro Mastropasqua, amico personale del vescovo, la proposta fu presentata al vicario generale dell’istituto, don Leonardo Mazzucchi. In una lettera dell’11 settembre 1923, Mazzucchi comunicò l’interesse dei Servi della Carità ma anche la loro difficoltà logistica: la lontananza delle case guanelliane esistenti rendeva complicata l’assegnazione immediata di personale idoneo. Fu chiesto un rinvio di almeno un anno, ma in assenza di possibilità di attesa, anche questo tentativo venne abbandonato.

Il vescovo si rivolse allora ai Carmelitani Scalzi, avviando contatti attraverso la Madre Priora del monastero di Gallipoli, dove era monaca la sorella dello stesso presule. I padri visitarono il Salento per conoscere direttamente la realtà di Parabita, e da Napoli giunse un segnale d’entusiasmo per l’ipotesi di fondazione. Tuttavia, non si giunse ad alcuna concretizzazione. È evidente che anche questo tentativo si risolse in un nulla di fatto, nonostante il coinvolgimento personale e affettivo del vescovo.

il santuario oggi (foto di Emanuele Toma)

L’arrivo dei Missionari della Consolata (1930)

Dopo il susseguirsi di rifiuti e rinvii, la soluzione definitiva giunse all’inizio del 1930, quando il Santuario fu finalmente affidato ai Missionari della Consolata, istituto fondato da mons. Giuseppe Allamano nel 1901, con una forte vocazione missionaria e pastorale. Il decreto formale dell’erezione canonica e dell’affidamento risale al 1° febbraio 1930, anche se già nel 1932, come riferisce il vicario foraneo Gaetano Ferrari, i Missionari erano stabilmente presenti a Parabita con due sacerdoti e una scuola apostolica. La comunità religiosa prese sede accanto al santuario, dando impulso a una serie di iniziative spirituali, formative e assistenziali.

A dare notizia del clima fervente che si respirava in quegli anni è, tra le altre, una lettera del 1938 indirizzata al vescovo Gennaro Fenizia da Vincenzo Gerbino, il quale si dichiarava “fondatore del Santuario della SS. Vergine della Coltura e del Convento per i Padri della Consolata ed Opere annesse”. Gerbino sollecitava un intervento dell’Ordinario per rafforzare la presenza dei missionari, reinserire le suore e ripristinare l’attività degli apostolini, lamentando una gestione che, a suo dire, rischiava di svuotare il santuario della sua forza attrattiva e religiosa.

Il legame tra i Consolatini e la diocesi fu ancora formalizzato nel 1948, con una lettera del card. G. Marmaggi, Prefetto della Sacra Congregazione del Concilio, che confermava l’amministrazione del Santuario ai Missionari, ma con la prescrizione di una convenzione scritta in cui fossero definiti ruoli, responsabilità e modalità di gestione economica e pastorale. La convenzione prevedeva che il Santuario mantenesse la sua natura secolare, con l’ufficiatura affidata ai religiosi; che vi fosse una contabilità separata tra la comunità religiosa e il Santuario; che i missionari presentassero un rendiconto annuale al vescovo e che la comunità fosse composta da almeno cinque religiosi.

Un periodo di fioritura spirituale e artistica

Gli anni Quaranta e Cinquanta furono un periodo di grande vitalità per il Santuario, anche grazie all’apporto delle Suore Missionarie della Consolata, la cui “umile e zelante opera” viene lodata in un articolo dell’epoca. Si ricorda come “il forestiero sosta volentieri sotto le arcate e ammira l’ordine e la pulizia: frutto del loro intelletto pieno di fede”. Allo stesso modo, il documento sottolinea il servizio dei sacerdoti: nell’ufficiatura, nell’assistenza agli ammalati, nella formazione degli Apostolini, e nella realizzazione di importanti interventi artistici e strutturali, come gli affreschi interni (1943), l’altare di san Giuseppe, il corridoio absidale, la zoccolatura marmorea e il pavimento lucidato.

Nel 1952, il rettore padre Federico Civilotti, allora anche direttore della “Compagnia della Coltura”, presiedette una riunione in cui si discusse l’avvio del Bollettino del Santuario e si programmarono attività assistenziali e artigianali, come il laboratorio delle Dame della Coltura, destinato a promuovere la pietà e l’impegno sociale femminile.

Foto Emanuele Toma

Il declino e l’uscita dei Missionari della Consolata

Ma negli anni Sessanta, con il progressivo ridimensionamento delle vocazioni e la riorganizzazione degli ordini missionari, la presenza dei Consolatini a Parabita cominciò a vacillare. Un documento del 2 aprile 1962, durante l’episcopato di mons. Antonio Rosario Mennonna, testimonia la cessazione dell’officiatura da parte dei Missionari della Consolata.

Con la partenza dei Consolatini si chiuse un importante capitolo della storia del Santuario della Madonna della Coltura, un capitolo contrassegnato da fervore pastorale, apertura missionaria e crescita strutturale. La loro presenza, benché non perpetua, lasciò un’impronta visibile e duratura, contribuendo a consolidare Parabita come uno dei centri più significativi della devozione mariana nel Salento.

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